Tutto sommato non sono affatto male le previsioni sull’andamento dell’economia europea appena elaborate dalla Commissione nelle “Previsioni d’Estate”. Più in particolare, i dati evidenziano che il PIL dell’Eurozona dovrebbe crescere, nel biennio 2021-2022”, del 9,3% (4,8 % quest’anno e 4,5% nel 2022) in deciso miglioramento rispetto alle precedenti “Previsioni di Primavera”. Anche il PIL italiano, in genere fanalino di coda, dovrebbe muoversi in linea con la media europea (+9,2%) anche grazie ad una crescita 2021 prevista in rialzo del 5%. Tuttavia, è del tutto evidente come la vera battaglia per rimettere in moto l’economia europea si giochi sulla capacità di trasformare questo impulso iniziale (dovuto alla riduzione delle restrizioni anti-Covid) in una crescita solida e duratura. Come è evidente che questa battaglia, che poi è la battaglia per il futuro dell’impalcatura europea, si vinca solo riuscendo a sfruttare a pieno il “booster” costituito dal Next Generation EU. È su questo Piano, dunque, che bisognerebbe puntare il faro. Anzi, più precisamente, il faro andrebbe puntato sulla data del 15 Giugno 2021 quando la Commissione Europea ha emesso il suo primo bonddestinato a finanziare il citato Piano di rilancio. In particolare, la Commissione ha collocato un bond a 10 anni da 20 mld di euro che ha riscosso un grande interesse da parte degli investitori. Infatti, la domanda (142 mld) è stata 7 volte superiore all’offerta ed il rendimento ai sottoscrittori, di conseguenza, particolarmente contenuto (0,06%). Non banale anche il fatto che oltre il 50% dell’emissione è stata collocata fuori dall’Unione, coinvolgendo in maniera rilevante investitori asiatici e cinesi.
In realtà, la data del 15 giugno 2021 non andrebbe ricordata solamente per il successo intrinseco dell’emissione, ma, piuttosto, per le sue conseguenze di natura “strutturale”.Innanzitutto, questo collocamento non costituisce in assoluto il primo esempio di debito condiviso europeo offerto agli investitori, tuttavia, in passato, si è sempre assistito ad emissioni spot di importo irrilevante. In questo caso, al contrario, l’emissione del bond in esame deve essere considerato come il punto di partenza di una lunga serie programmatica di emissioni che dovrà reperire, entro il 2026, gli oltre 750 mld previsti dal Next Generation EU. Infatti, una seconda tranche di 15 mld, è stata già collocata a fine giugno con una domanda pari a 11 volta l’offerta. Ma il punto da evidenziare è che questo programma di “emissioni seriali” ha aperto una crepa nella diga che i “popoli del Nord” hanno da sempre opposto a qualsiasi ipotesi di condivisione di debito sovrano con i Paesi mediterranei. Ora, è indubbio che questa crepa sia figlia dell’estrema emergenza sanitaria, tuttavia, non si può assolutamente escludere che nel 2023, quando si ragionerà sull’obsoleto Patto di Stabilità, forme di debito europeo condiviso possano essere confermate o amplificate. Da evidenziare, a questo proposito, che la precedente doppia crisi del 2008/2015 ha dimostrato chiaramente come misure considerate prima emergenziali e transitorie si siano poi trasformate in strumenti consolidati di gestione dell’economia europea. Un ottimo esempio è costituito dagli strumenti di natura monetaria utilizzati negli ultimi anni dalla BCE. Il programma “Quantitative Easing” (QE), con cui la BCE di Mario Draghi ha iniettato liquidità nei sistemi bancari affinché gli Istituti potessero sostenere il comparto produttivo, era assolutamente impensabile ante 2015. Al contrario, il Pandemic Emergency Purchase Program (legittimo erede del QE di Mario Draghi), messo in campo nel 2020 dalla BCE per fronteggiare l’allarme sanitario, è stato salutato come un doveroso intervento della Banca Centrale in una situazione di emergenza. Ed è del tutto plausibile che in futuro questi interventi di natura monetaria della BCE possano essere tranquillamente attivati, magari con dosaggi più soft, anche per governare situazioni non estreme. Il tutto senza generare alzate di scudi da parte dell’ala rigorista dello schieramento europeo. Dunque, questa prima emissione ha costituito un importante passo avanti verso una Europa più coesa sia dal punto di vista economico che politico. Ovviamente, però, a patto che l’esperimento “Next Generation EU” si dimostri assolutamente vincente nel rilancio strutturale dell’economia europea post pestilenza. Infatti, qualora per qualsiasi motivo questo primo serio tentativo di finanziare investimenti europei considerati prioritari (transizione ecologica, informatizzazione, infrastrutture) dovesse fallire, inevitabilmente il percorso sin qui delineato subirebbe una pesante battuta di arresto. E, in questo processo, volente o nolente, l’Italia verrà gravata da una pesante responsabilità. Infatti, da una parte, il nostro Paese, con una quota di circa 200 mld, sarà il primo beneficiario del Recovery Fund. Dall’altra, l’Italia sarà anche il Paese che godrà dei maggiori risparmi sugli interessi sul debito pubblico. Basterà evidenziare, a questo proposito, che se l’Italia, ipoteticamente, avesse collocato il bond da 20 mld al posto della Commissione, avrebbe dovuto garantire ai sottoscrittori un rendimento 9 volte superiore a quello pagato dalla Commissione stessa. Dunque, essendo il nostro Paese quantomeno uno degli attori protagonisti, è innegabile che qualsiasi nostra incertezza nella messa a terra del Recovery Plan stopperebbe il processo verso una nuova Europa e ridarebbe forza a pericolose forze centrifughe al momento, per fortuna, piuttosto sopite.