“Rosario Livatino – Le tappe di un cammino di santità” è il titolo dell’incontro organizzato da Don Andrea Celli con gli interventi di Alfredo Mantovano, Consigliere di Cassazione e Vicepresidente del Centro Studi Livatino, S.E. Mons. Michele Pennisi, Arcivescovo di Monreale e la partecipazione di Alfredo Ruocco, Consigliere di Corte d’Appello, quale moderatore.
Con questa iniziativa prosegue l’impegno di Don Andrea, parroco della chiesa di San Pio X nel quartiere Balduina di Roma, al confronto sul tema del credente impegnato nel sociale, perché consideri il proprio ambito lavorativo come un’opportunità per la diffusione di principi di fede e solidarietà in un rispettoso scambio di idee.
In meno di due anni dal suo arrivo, Don Andrea ha rivoluzionato la parrocchia e, senza ombra di smentita, anche l’intera Balduina, assurgendo la sua chiesa a vero e proprio centro di aggregazione sul territorio aperto a tutti, fedeli e non, attraverso una pastorale continua rivolta a giovani e adulti e l’organizzazione di eventi culturali e sportivi.
Con l’incontro su beato Livatino, Don Andrea ha dato risalto a come si possa essere santo nel quotidiano, nello svolgimento del proprio lavoro, rigoroso come deve essere quello di un magistrato, ma anche umano e rispettoso dell’altro, come era la personalità di Rosario Livatino.
Nell’occasione ha emozionato la proiezione di alcuni minuti del video del memorabile discorso di Giovanni Paolo II ad Agrigento il 9 marzo 1999 contro la mafia: “Mafiosi, voi che portate sulle vostre coscienze tante vittime innocenti, convertitevi, cambiate vita”.
«Sembrava giusto» – così ha esordito Don Andrea – «continuare le nostre Conversazioni, rimarcando la beatificazione di questo giudice e, sottolineando il fatto che in questo territorio parrocchiale ci siano molti magistrati, è un modo per omaggiarli per il delicato lavoro quotidiano che svolgono. Una fede creduta e vissuta quella di Rosario Livatino, in nome della verità, che spesso citava, e dell’adesione totale a Cristo, che è verità e quindi l’adesione alla verità è adesione a Cristo».
«Livatino, come tanti suoi colleghi all’epoca in terra di mafia» – ha fatto seguitoAlfredo Mantovano – «operava a mani nude contro una criminalità radicata e aggressiva. Anche se è un uomo del nostro tempo, gli anni che sono trascorsi da quando è stato ucciso hanno visto dei cambiamenti profondi e sarebbe un errore avvicinarsi a lui immaginando che le condizioni nelle quali oggi un magistrato opera fronteggiando la criminalità mafiosa siano simili a quelli che hanno caratterizzato l’esercizio delle funzioni da parte di Livatino, prima come pubblico ministero per 10 anni e poi come giudicante ad Agrigento».
Mons. Pennisi, nel celebrare la figura di Livatino, ha fatto conoscere che: «durante il processo canonico è emerso che il martirio formale subìto da Livatino si fonda su una vita ordinaria caratterizzata da una sintesi tra religione e diritto». Ha anche ricordato l’impegno esemplare del magistrato martire della giustizia ucciso “in odium fidei” dalla stidda agrigentina nel 1990 e beatificato il 9 maggio scorso: «Chi ha studiato i diari di Livatino giudice, ma prima ancora uomo e credente, attesta di incertezze, di lacerazioni interiori e di silenzi che lo rendono ancora più umano, vero e vicino. Il Vangelo e il crocifisso, sempre presenti sulla sua scrivania, erano una perenne provocazione al compito che svolgeva. Ha sempre sentito profondamente il fascino di Dio come garante di libertà e di giustizia». «La causa prima dell’uccisione di Rosario Livatino è stata la difesa della giustizia, l’affermazione del diritto contro il delitto. Ma indirettamente il dono della sua vita è da attribuire alla forza della fede cristiana. Un teste durante la causa ha dichiarato: La fede di Livatino veniva considerata qualcosa di avverso, perché il suo zelo nell’esercizio della giustizia significava che non era corruttibile», così ha concluso Mons. Pennisi.
Anche Alfredo Ruocco ha sottolineato che: «la forza di volontà insieme alla fede trasparivano già all’inizio della sua attività, per la quale aveva una vera e propria vocazione».
A conclusione degli interventi, numerose sono state le domande poste ai relatori dall’uditorio, a chiara dimostrazione dei tanti temi di riflessione emersi dall’incontro.
L’attività a 360 gradi di Don Andrea Celli è meritoria a dir poco e illuminante di quanto possa essere vicina e a portata di mano la santità nel quotidiano. Non servono gesti straordinari, emblematici, fino al sacrificio della propria vita per seguire un percorso di santità e in grazia di Dio.
Sono i comportamenti tenuti da Livatino, quale stile di vita, che devono essere considerati di esempio, per tutti, formatori, classe dirigente, magistrati compresi, soprattutto in questi momenti di forti fibrillazioni sociali, per aspirare a una vita degna di essere vissuta, perché improntata alla rettitudine, alla ricerca del bene comune, al rispetto del prossimo, alla giustizia.