
Si avvicinano i termini di presentazione delle dichiarazioni dei redditi ed ecco riemergere i “dilemmi” dei contribuenti, stretti tra le richieste di un fisco troppo spesso incapace di essere equo e solidale, l’obbligatorietà dei versamenti d’imposta e la necessità di far quadrare i conti.
È giusto riversare allo Stato una consistente parte della remunerazione del proprio lavoro quando i numeri dell’economia non osservata continuano a registrate margini sempre più significativi di evasione? Come rilevato dall’ISTAT nell’ultimo report sui conti nazionali 2019 – 2022, il valore aggiunto dell’economia non osservata, ovvero l’insieme delle attività produttive di mercato che sfuggono all’osservazione diretta, essenzialmente l’economia sommersa e quella illegale, ha toccato nel 2022 la strabiliante cifra di 201,6 miliardi di euro, con una crescita del 9,6% rispetto all’anno precedente. In tale contesto, risulta significativo l’aumento della sotto-dichiarazione, ovvero del valore aggiunto occultato tramite comunicazioni intenzionalmente errate, pari all’11,5% per un valore di 10,4 miliardi di euro, seguito dall’impiego di lavoro irregolare, che ha registrato un più 6,7% pari ad 1,2 miliardi di euro, e dalla somma delle altre componenti, ovvero mance e affitti in nero, cresciuta a sua volta per oltre 2 miliardi di euro. A quanto sopra si aggiungono le attività illegali, volte alla produzione di beni e servizi la cui vendita, distribuzione e possesso sono vietati dalla legge, nonché quelle che, pur essendo legali, sono svolte da operatori non autorizzati, che hanno complessivamente raggiunto i 19,7 miliardi di euro.
Ha ancora senso elucubrare sull’annoso tema del tetto all’uso del contante, dopo che dal 2002 ad oggi e con il susseguirsi dei diversi governi di centrodestra e di centrosinistra, si sono registrati più di dieci cambiamenti di rotta?
Venendo ad incrociare i dati degli Stati aventi o meno un tetto all’uso del contante ed il livello di evasione fiscale, non sembra riscontrarsi una diretta correlazione tra le due cose, considerato che in quei Paesi, come ad esempio l’Italia, ove è previsto un limite all’uso del contante, il livello di evasione fiscale risulta superiore rispetto a quello dei Paesi che invece non hanno fissato alcun limite, come la Germania.
L’uso del contante, come puntualizzato dalla Banca Centrale Europea, rappresenta ancora il metodo di pagamento più utilizzato nei negozi, anche se in diminuzione e per importi modesti, risultando, di contro, i pagamenti digitali in costante crescita, soprattutto in termini di valore.
Quando nella zona euro si va a pagare in un negozio, al bar o al supermercato, si utilizza quasi per il 48% una carta o una app, quota che scende al 38% in Italia dove negli ultimi due anni l’uso del contante si è comunque ridotto del 9%.
La Banca d’Italia, con l’obiettivo di verificare un possibile rapporto tra economia sommersa ed uso del contante, ha pubblicato nel 2021 il volume “Pecunia olet. L’uso del contante e l’economia sommersa” nel quale viene a concludere: “Abbiamo studiato il ruolo dell’utilizzo del contante nell’alimentare l’economia sommersa, facendo affidamento su un set di dati unico che unisce le stime ufficiali provinciali sulla sottosegnalazione delle imprese italiane con le transazioni in contanti estratte dalle segnalazioni antiriciclaggio aggregate presentate all’Unità di Informazione Finanziaria Italiana (UIF) dalle banche (…) Pur essendo consapevoli di alcuni limiti che influiscono sul nostro esercizio – in particolare, la difficoltà di controllare tutti i fattori che possono influenzare la propensione all’evasione fiscale e il fatto che abbiamo dovuto classificare le province in base all’intensità del trattamento, poiché il divieto di utilizzo del contante è stato emanato a livello nazionale – tali evidenze indicano che limiti più severi nell’uso del contante rappresentano uno strumento efficace per contrastare l’evasione fiscale”.
Detto ciò, non pare sia invece da sottovalutare nella determinazione delle mancate entrate erariali, l’opportunità concessa alle imprese multinazionali di spostare, attraverso soluzioni del tutto lecite, i profitti verso i Paesi a tassazione ridotta o addirittura nulla, tra i quali, i più gettonati Porto Rico, Panama, Mauritius, Hong Kong, Singapore, ovvero Irlanda, Cipro, Paesi Bassi e Lussemburgo. È, infatti, sufficiente per loro trasferire la sede fiscale ove i tributi sono più bassi, fatturare in un Paese a fiscalità agevolata, ovvero ricorrere al meccanismo infragruppo del “transfer pricing”.
Come rilevato dall’Osservatorio EU, i colossi dell’economia mondiale hanno realizzato nel 2022 utili per 16.000 miliardi di dollari, di cui 2.800 al di fuori del Paese ove è stabilita la loro sede, e di questi il 35%, circa 1.000 miliardi, risultano trasferiti verso i paradisi fiscali. Con tali meccanismi, sempre secondo l’Osservatorio UE, tra il 2015 e il 2020 le multinazionali hanno così evitato di pagare tasse in Italia per quasi 37 miliardi di euro. Ben oltre il valore di una manovra finanziaria!
FCA Italy, ad esempio, nel 2022 ha fatturato in Italia, dove la tassazione sulle società è fissata al 24%, 24 miliardi di euro e chiuso con un passivo di 375 milioni, mentre la capofila Stellantis, avente sede in Olanda, a fronte di 23,3 miliardi di utili, grazie a sgravi e deduzioni, ha visto la sua tassazione scendere al 2,5%.
Se poi vogliamo spingerci sul fronte dell’evasione, ecco la condanna inflitta dalla Corte Europea ad Apple nel 2020 per il mancato versamento di imposte per 13 miliardi di euro, considerato lo speciale accordo fiscale sottoscritto dalla stessa Apple con l’Irlanda, Paese nel quale aveva stabilito la propria sede europea. E ancora, sempre in riferimento ai colossi del web e dell’high tech, ecco l’accordo sottoscritto da Google con l’Agenzia delle Entrate a novembre dello scorso anno per 326 milioni di euro per evasione fiscale e abuso del diritto. E infine, ma sempre a titolo di esempio, che dire dell’indagine della Procura di Milano, tutt’ora in corso, su Amazon per una presunta frode fiscale di un miliardo e 200 milioni di euro che, con sanzioni ed interessi, farebbe lievitare la cifra a circa tre miliardi di euro?
Per tentare di frenare mosse elusive, nell’ottobre 2021, 139 Paesi, a cui se ne sono poi aggiunti altri 8, hanno sottoscritto uno speciale accordo basato, sia sull’applicazione di un’imposta minima del 15% per tutte le multinazionali con un fatturato annuo di almeno 750 milioni di dollari in tutti i Paesi firmatari dell’accordo, sia su un meccanismo di ripartizione, in base al quale le aziende con fatturato superiore ai 20 miliardi di euro dovranno ridistribuire una quota (25%) del loro utile eccedente il 10% tra i diversi Paesi ove le stesse hanno venduto i loro beni e servizi, e dove verranno così tassate a livello locale.
All’accordo, che doveva entrare in vigore nel 2023 e che, secondo l’OCSE, avrebbe generato a livello globale un gettito fiscale di 220 miliardi di dollari, hanno dato seguito solamente 45 Paesi, adottando le necessarie misure per implementare l’imposta minima globale, mentre risultano ancora “assenti” la Cina e soprattutto gli Stati Uniti che, grazie all’amministrazione Biden, ne erano stati tra i principali promotori.
Senza gli Stati Uniti, ove ricordiamo sono presenti le sedi delle principali multinazionali a livello globale e con la nuova amministrazione Trump, che già in passato aveva ridotto al 21% l’imposta sui redditi d’impresa ivi generati, l’accordo per una global minimum tax si rileva oggi mancare di quel fondamentale effetto ridistributivo pensato per soddisfare una più equa e solidale ripartizione di quelle risorse come provenienti da una tassazione condivisa a livello globale.
Non resta, quindi, che attendere, nella considerazione che solo attraverso una scelta comune si potranno garantire ad ogni singolo Paese un’adeguata quantità di entrate e una sensibile riduzione dell’evasione, il tutto nella consapevolezza che anche “isolate” scelte di politica fiscale si dovranno adeguare, loro malgrado, ad una collettiva e coesa politica globale.
E accantoniamo una volta per tutte la lotta ideologica all’uso del contante, che altro non è che una foglia di fico per sviare il focus su chi effettivamente e in maniera importante sottrae risorse alla casse erariali.