Si semplificano le norme sugli appalti pubblici o si riscrivono le complessità?


A distanza di alcuni mesi dalle considerazioni che avevo esposto nel numero di giugno 2024 di questa stessa rivista, vorrei tornare ad offrire qualche spunto di riflessione sul tema degli appalti pubblici, anche alla luce dei recenti ulteriori interventi introdotti dal legislatore nazionale e del loro impatto sulla gestione delle commesse pubbliche per il giurista di impresa.

Ogni legale in-house sa infatti che il mondo degli appalti pubblici è un campo minato di norme in evoluzione dove ogni semplificazione promessa dal legislatore, anziché essere di ausilio agli operatori economici, può invece portare con sé nuove complessità. Da una parte, l’attività normativa è cruciale per adeguare il quadro regolamentare alle esigenze economiche, sociali e geopolitiche in continua evoluzione, soprattutto in un contesto di crisi globali, transizione ecologica e digitalizzazione come quello attuale; dall’altra, l’interpretazione della norma, la stratificazione regolatoria e la prassi amministrativa possono spesso riportare le imprese al punto di partenza, tra incertezze applicative e contenziosi latenti.

La materia degli appalti pubblici richiede al giurista di impresa continui sforzi di adattamento volti a ben comprendere le novità legislative, tradurle in prassi operative e adeguarle alle strategie aziendali, assicurandosi che la compliance aziendale resti solida in un terreno che cambia continuamente, il tutto in un equilibrio più o meno precario tra certezza giuridica e instabilità normativa.

A quanto sopra si aggiunga il complesso intreccio, non statico, di norme nazionali e europee, che impone al legislatore nazionale un costante sforzo di rielaborazione. Se, da una parte, occorre infatti dar seguito alle richieste del legislatore comunitario che continua a monitorare e valutare l’efficacia delle direttive intervenendo con orientamenti, interpretazioni e, talvolta, nuove proposte di revisione, dall’altra sussiste invece la necessità di introdurre disposizioni normative specifiche che tengano conto del contesto nazionale e che, in taluni casi, possono generare differenze interpretative e applicative rispetto agli altri Stati membri e agli obiettivi prefissati a livello europeo.

Insomma, un delicato equilibrio sul quale va ad insinuarsi anche la giurisprudenza della Corte comunitaria di Giustizia, del Consiglio di Stato e dell’ANAC i quali, nel proprio ruolo di garanti di un’applicazione uniforme dei principi comunitari, costringono il legislatore nazionale a continui interventi correttivi di norme, alcuni di recente emanazione.

Conseguenza implicita è una proliferazione giuridica, che, seppur doverosa, fa riflettere sulle difficoltà per la normativa nazionale di assurgere a strumento semplice, sintetico ed efficace che consenta agli operatori di avere riferimenti e certezze nell’esercizio della propria attività economica all’interno degli appalti pubblici.

La conferma di tale dinamica è l’ultima stagione di riforme intervenuta a distanza di poco più di un anno dall’entrata in vigore del Codice dei Contratti Pubblici e culminata il mese di dicembre scorso con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Dlgs. 209/2024 (“Correttivo Appalti”).

Un intervento correttivo che, da una parte, risponde certamente alle principali esigenze rappresentate dagli operatori del settore ma che, dall’altra, si è reso necessario anche al fine di rispondere in modo efficace alle richieste, avanzate dalle Istituzioni comunitarie, di modifica e integrazione di taluni istituti nazionali al fine di renderli più conformi alle direttive europee.

Si pensi innanzitutto alle nuove regole tese a rendere il mercato più equo e accessibile, favorendo l’inclusività delle piccole e medie imprese (PMI). In tale direzione si pone la norma sulla rotazione degli affidamenti e garanzie per gli appalti sottosoglia che, imponendo alle Stazioni Appaltanti la necessità di una motivazione (ancor più) rafforzata nel caso di deroga a detto principio, incentivano appunto la partecipazione delle PMI. Nella medesima direzione anche le novità legate all’introduzione di criteri di suddivisione in lotti nonché la previsione, in tema di subappalto, dell’obbligo per l’appaltatore di riservare almeno il 20% delle prestazioni subappaltabili alle PMI, salvo diversa indicazione motivata e fatta eccezione per i soli contratti del settore difesa e sicurezza. Ancora, sempre nell’ottica di tutela delle PMI, l’introduzione dell’obbligo di inserimento, anche nel contratto di subappalto, di clausole di revisione prezzi per le relative prestazioni e/o lavorazioni nonché, al fine di consentire alle PMI un certo grado di flessibilità, la possibilità per il subappaltatore di applicare, in alternativa ai CCNL del contraente principale, anche un differente contratto collettivo a condizione che siano garantite al lavoratore le stesse tutele economiche e normative di quello applicato dall’appaltatore.

Altro importante intervento correttivo che risponde alla mission strategica di “transizione digitale” voluta dal PNRR, nonché alle superiori esigenze europee, è l’introduzione dell’obbligo di digitalizzazione dell’intero ciclo di vita degli appalti pubblici, dalla programmazione fino all’esecuzione e al collaudo, anche attraverso l’implementazione di strumenti avanzati di Intelligenza Artificiale, con l’intento di rendere i processi ancora più efficienti.

Si tratta a ben vedere di un insieme di interventi volti:a semplificare la gestione del fascicolo virtuale degli operatori economici, con regole precise anche in caso di suo malfunzionamento; a migliorare e velocizzare il funzionamento del casellario informatico, razionalizzando i requisiti tecnici per la redazione in formato digitale dei documenti relativi alla programmazione, progettazione ed esecuzione delle opere; a meglio chiarire le regole relative alla certificazione delle piattaforme digitali utilizzate dalle stazioni appaltanti per connettersi alla Banca Dati Nazionale dei Contratti Pubblici (ANAC), favorendo così una maggiore uniformità e sicurezza nel processo.

Ulteriore intervento che merita attenzione è quello relativo al partenariato pubblico-privato, con particolare attenzione alla finanza di progetto, istituto poco conosciuto a livello europeo e, quindi, poco compreso e privo di una sua disciplina nelle direttive comunitarie.

La recente riforma introdotta dal Correttivo Appalti di fine 2024, ispirata proprio ai principi europei della trasparenza e massima concorrenza, mira infatti a rendere meno opachi e più competitivi gli affidamenti, intervenendo su aspetti, quali la “clausola di prelazione”, volti a mitigare il rischio di comportamenti anti-concorrenziali. All’intervento sulla “clausola di prelazione” di derivazione comunitaria fa da contrappeso la semplificazione introdotta dal legislatore nazionale in ordine ai documenti richiesti agli operatori privati per la partecipazione ai project, nonché il compito in capo al cliente pubblico di approvare “anticipatamente” il progetto di fattibilità tecnico-economica dell’iniziativa per ridurre il rischio di modifiche sostanziali dopo la selezione del contraente ed evitare eventuali contenziosi. Da ultimo, viene delineata anche una distinzione tra finanza di progetto ad iniziativa privata e quella ad iniziativa pubblica, nuovamente introdotta nell’ordinamento. Nell’iniziativa privata, l’operatore economico presenta una proposta che, dopo una valutazione di fattibilità, può essere accompagnata da una conferenza di servizi preliminare. Se approvata, la proposta diventa un progetto di fattibilità tecnico-economica, che successivamente viene messo a gara. Nel caso dell’iniziativa pubblica, è l’ente pubblico a redigere il progetto di fattibilità e a lanciare una gara per selezionare l’operatore economico incaricato della realizzazione del progetto.

Altro intervento, che risponde anche esso ad esigenze di derivazione comunitaria, è la maggiore attenzione alla sostenibilità attraverso l’introduzione, all’interno del “criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa”, di parametri di valutazione che tengano conto non solo del prezzo ma anche della sostenibilità ambientale e sociale delle offerte presentate dagli operatori nell’ambito di partecipazione a gare pubbliche.

Insomma, interventi correttivi volti tutti a far fronte alle principali criticità riscontrate nel Codice dei Contratti Pubblici, anche con riguardo agli obiettivi prefissati dall’Unione Europea quali, tra l’altro: l’eccesso di burocrazia nonostante gli sforzi di semplificazione; la difficoltà per le PMI nell’aggiudicarsi appalti pubblici a causa di requisiti stringenti e complessità procedurali; la necessità di maggiore digitalizzazione, anche a fronte dell’obbligo di utilizzo della piattaforma digitale per gli appalti; un maggiore allineamento con le esigenze del PNRR volto a garantire una più rapida realizzazione dei progetti finanziati.

Interventi che risultano quindi coerenti con gli obiettivi comunitari sulla cui implementazione nei singoli Stati membri la Commissione Europea sta proprio ragionando in questo periodo al fine di valutare, a un decennio dalla loro approvazione e previo avvio di una consultazione pubblica, possibili aggiornamenti alle direttive in materia (Direttive 2014/23/UE per le concessioni, 2014/24/UE per gli appalti pubblici e 2014/25/UE per i settori speciali), con l’obiettivo di renderle più aderenti alle nuove sfide economiche, tecnologiche e geopolitiche, in pratica adeguate alle necessità attuali e future dell’Unione.

Tra le principali ipotesi di revisione si ipotizza, tra l’altro: un rafforzamento del principio di preferenza per le imprese europee, in un’ottica di strategicità industriale e riduzione della dipendenza da fornitori extra-UE; un rafforzamento nell’utilizzo dei criteri ESG (ambientali, sociali e di governance), ovvero l’obbligo di inserire criteri di sostenibilità ambientale e sociale nelle gare d’appalto, in linea con gli obiettivi del Green Deal Europeo; lo sviluppo di una piattaforma digitale unica per gli appalti in Europa.

Quanto sopra anche sulla falsariga di un percorso già intrapreso negli anni dall’Unione attraverso l’introduzione di strumenti e clausole che, sebbene non impongano un obbligo generale di buy European, possono indirettamente favorire le imprese dell’Unione Europea.

Si pensi alla possibilità per le stazioni appaltanti di dare priorità a prodotti e servizi che rispettino standard ambientali, sociali e innovativi, che sono spesso più appannaggio delle imprese europee che di quelle extra-comunitaria, oppure all’esclusione di offerte provenienti da Paesi extra-UE laddove questi non offrano accesso reciproco al proprio mercato degli appalti (i.e. Regolamento sugli Appalti Internazionali – IPI del 2022) e, ancora, all’incoraggiamento a procedere ad un marcato frazionamento degli appalti in lotti più piccoli onde agevolare la partecipazione delle PMI europee nonché, da ultimo, alle regole sugli appalti strategici che abilitano gli Stati membri a prevedere requisiti di sicurezza e resilienza industriale strumentali a favorire fornitori europei (ad esempio, nei settori della difesa o della tecnologia).

In attesa di prossimi eventuali interventi legislativi a livello europeo, che richiederanno un ulteriore adeguamento a livello nazionale, non resta, quindi, che verificare, alla data, se questi nuovi interventi correttivi a livello nazionale si tradurranno effettivamente in un sistema più accessibile per le imprese o se, come accaduto in passato, finiranno per sovrapporsi alle vecchie complessità senza risolverle del tutto e magari creandone di nuove.

In conclusione, se è vero che le riforme sono fisiologiche per formare il quadro normativo alle esigenze economiche, sociali e geopolitiche in continua evoluzione, sia a livello nazionale che europeo, e che esse abbiano negli ultimi anni cercato di bilanciare trasparenza e velocità, concorrenza e tutela degli interessi pubblici, non posso non evidenziare come la sensazione degli operatori economici quotidianamente alle prese con l’operatività degli appalti sia che il sistema resti in una costante tensione tra slanci innovativi e il fardello di vecchi ostacoli ancora molto difficili da superare.

Alla luce di quanto sopra, corre d’obbligo una domanda: stiamo davvero semplificando o stiamo solo riscrivendo la complessità sotto nuove forme?

Federico Bonaiuto

General Counsel di Leonardo

Registrato al Tribunale di Roma il 19/09/2018, n. 155
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