L’Unione Europea
e gli aspetti fiscali della
manovra di bilancio 2019

La legge di bilancio 2019 rappresenta lo strumento con cui il governo, supportato dalla maggioranza del parlamento, fissa le regole di gestione delle risorse pubbliche nel contesto del programma economico generale del governo. La cosiddetta manovra di bilancio.

Dalla nostra partecipazione all’Unione Europea e dall’ingresso nella moneta unica discende che il programma del governo deve mantenere compatibilità con le grandezze finanziarie che assicurano l’equilibrio dell’intera comunità di cui facciamo parte secondo criteri approvati all’unanimità da tutti gli stati partecipanti e verificati dalla Commissione dell’Unione Europea. È pertanto erroneo e fuorviante considerare la Commissione Europea come portatrice di una sua linea politica autonoma e diversa da quella delle comunità nazionali degli stati che ne fanno parte. E questo vale anche per il governo italiano in carica che ha partecipato direttamente alle riunioni dei governi che hanno provveduto con il voto favorevole di tutti, alla determinazione dei criteri che i bilanci dei singoli stati devono rispettare.

Di qui l’interlocuzione costante tra il governo e la commissione per limare le posizioni ritenute non compatibili con i criteri generali. I criteri è bene ricordarlo, sono ritenuti essenziali per garantire alla comunità degli stati dell’Unione europea una solida posizione finanziaria e per contribuire alla realizzazione di obbiettivi comuni di efficienza dell’economia nel contesto internazionale. Non dimentichiamo che l’Unione Europea, sotto il profilo economico si pone in concorrenza, od almeno queste sarebbero le intenzioni, con gli altri paesi che presidiano le varie aree commerciali in ogni parte del mondo, non solo gli Stati Uniti d’America ma anche Cina e India in primis.

Tuttavia la materia è troppo complessa perché se ne possa trattare senza una adeguata competenza tecnica e senza le informazioni di dettaglio di cui occorre disporre per valutare seriamente le diverse situazioni e le scelte politiche ed economiche di governi ed istituzioni, per cui me ne astengo lasciando a chi ne sa più di me l’onere di fornirci le chiavi di lettura, possibilmente comprensibili anche per i non addetti ai lavori. Purtroppo questo metodo od approccio alle tematiche di rilievo per la politica intesa come azione di governo delle comunità, non è oggi molto diffuso. Anzi si è diffusa l’idea che la politica sia una “politica delle idee” che non debba necessariamente trovare il conforto e la coerenza con le situazioni concrete, da analizzare e valutare con adeguate conoscenze tecniche e scientifiche non pregiudizialmente orientate a sostenere o contrastare una determinata idea. Si pensa che sia sufficiente dettare il “libro dei sogni” perché questi divengano realtà. Così non è, e quando ce se ne accorge è talvolta troppo tardi per cambiare strada ed i danni procurati nel frattempo sono più gravi di quanto sarebbero state le difficoltà che pure si sarebbero dovute affrontare per fare in modo che i sogni diventassero realtà. Chi ci perde è il sogno che pure trovava il sostengo dei più e che non può essere più realizzato nei tempi attesi.

La premessa serve solo per dire che non prenderò in esame l’intera manovra di bilancio sia dal lato della spesa che delle entrate e mi limiterò ad esporre alcune delle disposizioni di carattere tributario che a dispetto delle aspettative basate sul programma di governo sono ancora, almeno a mio giudizio ma non solo, finalizzate a conseguire maggiori entrate con un conseguente incremento della pressione fiscale piuttosto che ad un suo contenimento.

I provvedimenti previsti nella legge di Bilancio si possono distinguere tra quelli a carattere straordinario, o una tantum, che incidono su situazioni pregresse o, meglio, riferite ad annualità ormai trascorse e quelli a carattere corrente che prevedono maggiori imposte sulle attività economiche correnti.

Passiamo velocemente in rassegna i singoli temi sui quali tuttavia non potrò scendere nel dettaglio ma mi limiterò a dare un’idea degli obbiettivi che si è posto il governo e laddove pertinente, un commento sull’impatto che potrebbero avere sul sistema a regime.

Le disposizioni una tantum

Si tratta di disposizioni finalizzate all’acquisizione di gettito al bilancio dello stato mediante una riduzione dei carichi di imposta, sanzioni ed interessi delle cartelle esattoriali già emesse (la cosiddetta Rottamazione delle cartelle) con pagamenti a saldo e stralcio per i meno abbienti. Non è parte direttamente della legge di bilancio ma del decreto legge di accompagnamento che si inserisce pertanto nel medesimo contesto della Manovra, la definizione agevolata di controversie attuali o potenziali tra amministrazione finanziaria e contribuenti.

Le misure non sono nuove, anzi si pongono in continuità con i provvedimenti già adottati dai precedenti governi ma l’esigenza di gettito ha comportato un ulteriore miglioramento delle condizioni a favore dei contribuenti per stimolare l’adesione alle misure stesse. Di rilievo in questo settore la previsione della riduzione al solo 5% dell’imposta dell’onere per la definizione di controversie pendenti in cassazione in cui il contribuente abbia ottenuto tutte sentenze favorevoli nei precedenti gradi di giudizio.

La misura, seppure da valutare favorevolmente, sottolinea tuttavia, ancora una volta, l’incapacità del sistema di acquisire in via ordinaria i tributi non pagati spontaneamente dai contribuenti ed avalla ulteriormente il detto per cui “a pagare ed a morire c’è sempre tempo…” soprattutto le tasse!!!

Circa le misure di definizione agevolata del contenzioso la valutazione è più complessa perché riflette l’esigenza di una revisione del sistema contenzioso per renderlo più efficiente attraverso la professionalità dei giudici delle commissioni tributarie e la organizzazione delle attività di segreteria. L’introduzione del processo telematico, pur con tutte le difficoltà operative che la digitalizzazione diffusa può comportare per tutta una estesa categoria di contribuenti e di consulenti, potrebbe rappresentare l’occasione per fare un importante passo avanti. Inoltre il continuo ricorso a misure straordinarie fa sorgere la considerazione che sarebbe opportuno prevedere in via ordinaria meccanismi di definizione agevolata delle controversie lasciando agli stessi uffici maggiore flessibilità. A tal fine potrebbero essere sufficienti direttive di carattere amministrativo relative alla gestione degli istituti dell’adesione e della conciliazione giudiziale che fanno già parte del nostro sistema normativo.

Le disposizioni che abbiamo definito a carattere straordinario hanno una conformazione “volontaria” per cui più che un onere rappresenta un beneficio che, tuttavia, è diretto a coloro che non hanno adempiuto ai propri obblighi in modo corretto sia nella determinazione delle imposte dovute, con la possibilità di una definizione agevolata del contenzioso in essere ovvero del relativo pagamento, la cosiddetta rottamazione delle cartelle esattoriali. Tali provvedimenti anche se, con diversi valori e modalità, si susseguono da molto tempo accomunando tutte le formazioni politiche che di volta in volta hanno avuto la responsabilità di governo ed hanno sempre raccolto commenti e giudizi contrastanti tra chi ritiene che sia una soluzione opportuna per ridurre la conflittualità, talvolta anche improduttiva per l’amministrazione, ed acquisire risorse finanziarie in breve tempo.

In effetti molte di queste misure sono la conseguenza di un difetto strutturale del nostro sistema impositivo che non ha mai trovato il giusto equilibrio tra la semplificazione delle basi imponibili e delle procedure amministrative per la relativa applicazione ed il contrasto all’evasione. Il mancato adeguamento dell’organizzazione dell’amministrazione finanziaria ha fatto il resto. Apro una piccola parentesi per ricordare che la problematica dell’adeguamento dell’organizzazione dell’amministrazione risale addirittura ai tempi della riforma del 1973 e si riteneva in via di superamento con l’istituzione dell’agenzia delle entrate. In effetti lo strumento era ed è ancora quello giusto ma non si sono nel tempo definiti con chiarezza i relativi compiti, anche con una più chiara distinzione dei ruoli rispetto a quelli del Dipartimento delle Finanze che opera nell’ambito del MEF, piuttosto che rispetto alla Guardia di Finanza, con cui sussiste una competizione, a mio avviso non produttiva né per l’amministrazione né per i contribuenti, in relazione all’accertamento. Non si sono inoltre definite le modalità di selezione delle risorse con riguardo alla preposizione ai diversi ruoli all’interno dell’organizzazione per cui un intervento del consiglio di stato ha praticamente azzerato l’esito di molti anni di prassi, che aveva portato anche a buoni risultati in termini di qualità ed efficienza di persone e procedure. E questo non dimenticando l’impegno che di volta in volta i singoli funzionari hanno profuso per compensare i difetti strutturali nell’organizzazione. E tale aspetto della questione tributaria appare centrale per una seria politica tributaria. Ma nella legge di bilancio e nei programmi del governo non ho trovato previsioni al riguardo.

Le disposizioni a carattere corrente

Introducono nel sistema norme relative alla determinazione della base imponibile, mediante deduzioni anche forfetarie di costi ovvero attraverso riduzione di aliquote e l’estensione di imposte sostitutive.

Anche questo governo non si è sottratto alla logica degli interventi settoriali specifici che ha contraddistinto le misure dell’ultimo, ahimè lungo, periodo. Continuano a proliferare imposte sostitutive e la forfetizzazione di carichi di imposta sui redditi, rinviando ancora una volta una revisione organica del sistema. L’estensione dei limiti di ricavi che consentono l’applicazione dell’imposta sostitutiva forfettaria calcolata sui ricavi per attività di impresa e professionali non può considerarsi una anticipazione dell’introduzione della flat tax che ha tutt’altra logica e struttura. A questa misura invece si contrappone l’eliminazione della facoltà di applicazione dell’aliquota proporzionale IRES per i redditi di impresa degli imprenditori individuali, la cosiddetta IRI, che avrebbe realizzato l’equiparazione del trattamento di tali attività svolte a carattere individuale rispetto a quelle svolte in forma societaria.

La previsione di modalità forfettarie di determinazione dell’imposta è stata estesa anche ad altri redditi, da quelli di locazione per immobili strumentali fino ai redditi conseguiti da insegnanti per lezioni private o ripetizioni, non dimenticando i titolari di redditi di pensione estera che stabiliscono la loro residenza fiscale nel sud d’Italia. E non c’è bisogno di grandi ragionamenti per capire che sono misure prive di qualsiasi logica tributaria se non quelle di attenuare i carichi dell’imposta progressiva per alcune specifiche, forse troppo, categorie di persone. Ne consegue una sempre maggiore concentrazione dell’IRPEF, e quindi della progressività dell’imposizione, sui redditi di lavoro dipendente e sui redditi di lavoro autonomo e professionali non organizzati in forma di impresa che contraddicono la volontà, proclamata da tutte le parti politiche, di ridurre il “cuneo fiscale” sul costo del lavoro.

Invero un passo avanti che a mio avviso va sottolineato può essere rappresentato da una misura forse poco reclamizzata, che prevede la riduzione dell’aliquota IRES di ben 9 punti percentuali, sugli utili reinvestiti destinati all’acquisto di beni strumentali ed all’assunzione di dipendenti con contratto di lavoro, sia a tempo determinato che indeterminato. La riduzione di aliquota del 9% è sicuramente molto rilevante e può costituire, per le imprese che fanno profitto, un incentivo serio a rinnovare e non solo ad aumentare la base di risorse umane, contribuendo ad attenuare la riduzione della occupazione nelle attività di impresa, ed al miglioramento della loro qualificazione, sempre più interessate per la loro stessa sopravvivenza al miglioramento ed all’automazione di molti processi produttivi che l’evoluzione tecnologica e la concorrenza sui mercati internazionali impone. Tuttavia, tali misure prevedono tutta una serie di calcoli per verificare la sussistenza dei requisiti che richiedono attività amministrative complesse sia da parte del contribuente che dell’amministrazione per i necessari controlli. Dalle esperienze già vissute discende la considerazione che l’efficacia di queste disposizioni è fortemente condizionata dalle indicazioni dell’amministrazione che governano tali attività amministrative.

La manovra prevede inoltre una serie di incentivi fiscali sotto forma di crediti di imposta che sarebbe troppo lungo elencare e che vanno dai costi per ricerca e sviluppo allo sport bonus, per agevolare la costruzione o la manutenzione straordinaria di impianti sportivi, al credito per favorire il riciclo delle materie plastiche e cosi via. Tutte misure che premiano certamente impieghi virtuosi di risorse ma che non dicono più di tanto con riguardo alla revisione sistematica del sistema tributario. Resta pertanto una forte perplessità sulla sua idoneità a soddisfare l’esigenza di favorire una crescita economica ordinata e sostenibile del nostro sistema produttivo come auspicato, a parole e nei programmi, da tutte le componenti della nostra società civile e dalle parti politiche. Le imprese, infatti, a fronte di opportunità subiscono oneri sicuri con l’eliminazione dell’ACE, l’incremento di imposte locali e la minor deduzione di costi già in essere, contraddicendo politiche fiscali che avevano stimolato l’investimento al quale i costi medesimi sono imputati. Pensare che in Italia si possa fare una effettiva pianificazione fiscale resta purtroppo una mera illusione.

Speriamo che i legislatori se ne rendano conto prima o poi, anche se la speranza, dopo tanti anni è veramente ridotta al lumicino.

Un cenno infine merita la norma che prevede l’introduzione dell’imposta sui servizi digitali, un’imposta che colpisce, con l’aliquota del 3%, i ricavi realizzati dagli operatori a fronte della fornitura di particolari servizi. L’imposta non ha carattere sostituivo ma aggiuntivo delle altre imposte che pure gravano su tali flussi di ricavi o dei redditi che ne derivano. La sua effettiva attuazione è rimessa all’emanazione di provvedimenti amministrativi che devono disciplinare in dettaglio le relative modalità. La materia è molto complessa e va trattata con molta attenzione anche tenendo conto della compatibilità con le normative comunitarie ed internazionali. È auspicabile che si realizzi in concreto l’obbiettivo di assoggettare ad imposizione ricchezza che oggi vi sfugge a motivo delle modalità con cui vengono resi i servizi dagli operatori che si collocano, anche solo formalmente, in paesi in cui i redditi sono tassati in misura molto favorevole e non si finisca per incidere sui redditi che in un modo o nell’altro sono già colpiti dalle imposte ordinarie.

Da ultimo giova tenere sempre a mente che anche nella manovra del bilancio 2019 è stata mantenuta la cosiddetta previsione di “salvaguardia” vale a dire l’aumento automatico delle aliquote IVA in caso di mancato rispetto dei vincoli del deficit di bilancio rispetto al PIL, con aliquote ordinarie che salgono al 25,2% dal 2020 ed al 26,5% dal 2021, mentre l’IVA ridotta salirebbe dal 10 al 13% dal 2020.

Luciano Acciari

socio, responsabile dipartimento di diritto tributario Studio Gianni-Origoni & Partners, già segretario delle Commissioni parlamentari per il parere al Governo sui decreti correttivi alla normativa fiscale

Registrato al Tribunale di Roma il 19/09/2018, n. 155
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