Intervista a Giorgia Meloni

Più Europa, o meno Europa?
Noi vogliamo un’Europa radicalmente diversa, che faccia meno cose e le faccia meglio. Più Europa sulle grandi materie come politica estera, lotta all’immigrazione e sicurezza, e meno Europa su tutto ciò che incide più da vicino sulla quotidianità di famiglie e imprese che in questi anni sono state vessate da un diluvio di direttive e regolamenti folli. In questi campi è necessario un recupero delle sovranità nazionali, in una logica di sussidiarietà verticale: non decidano i burocrati di Bruxelles quello che può essere meglio deciso a Roma, Budapest o Parigi.

L’esito del referendum sulla Brexit, ed il conseguente caos che ha portato in Gran Bretagna e non solo, potrebbe essere un elemento per dire più Europa.
No, il contrario. È un monito, perché questa Unione Europea iper burocratica da un lato ma inerte dall’altro, basti pensare all’immigrazione, è stata uno dei motivi di distacco dei britannici. Se non vogliamo che l’Europa salti deve evolvere verso un modello confederale: Stati nazionali liberi e sovrani che cooperano sulle grandi materie ma rimangono autonomi su tutto il resto.

I vincoli, per lo più economici, imposti dall’Unione Europea, secondo alcuni aumentano l’austerity e non favoriscono la crescita. Di contro, altri sostengono che il loro rispetto garantisce all’Italia spread contenuto e stabilità economica.
La cura da cavallo imposta dall’Ue ai paesi più indebitati proprio durante la crisi, quando questi avevano bisogno di politiche espansive, è una vergogna che difficilmente potrà essere lavata. Sarebbe bastato partire subito con il ‘quantitative easing’ di Draghi e ci saremmo risparmiati la macelleria sociale dei governi tecnici, in Grecia come in Italia o in Portogallo. I vincoli, peraltro infondati scientificamente come quello del 3% deficit/Pil stabilito a Maastricht nel lontano 1992, sono stati interpretati a piacimento: alcuni hanno potuto sforarli ripetutamente, altri sono stati impiccati. Lo stesso vale per il Fiscal Compact. Noi vogliamo gli investimenti pubblici per infrastrutture, ricerca e sviluppo fuori dal computo deficit/Pil, solo così si può rilanciare la crescita.

L’Europa dei burocrati, o l’Europa dei popoli? Comunque un’Europa diversa?
Noi non abbiamo fatto mistero di voler andare in Europa a cambiare tutto, non andiamo a limare qualche direttiva. Noi andiamo a distruggere questa costruzione europea che è nemica dell’Italia per farne una che possa rispettare gli Stati nazionali e per ricostruire dalle fondamenta il processo di unificazione. Il nostro modello è quello di una confederazione di Stati sovrani che cooperino sulle grandi materie, dalla politica estera al mercato unico, dall’immigrazione alla sicurezza, lasciando alla competenza degli Stati e alle sovranità le questioni più prossime ai bisogni dei cittadini, cioè l’esatto contrario di quello che fa oggi la Ue. Basta cessioni di sovranità, sì a una vera sussidiarietà: non decidano a Bruxelles quello che può essere meglio deciso meglio a Roma come a Budapest, a Vienna come a Varsavia. Il nostro è un obiettivo di modifica profonda dell’attuale assetto dell’Unione Europea che condividiamo con la nostra famiglia europea di sovranisti e conservatori.

Si può dire che i rapporti di forza all’interno dell’Unione Europea sono sbilanciati con una Germania egemone, una Francia alla quale tutto o quasi è concesso, mentre l’Italia resta l’osservata speciale.
Il trattato franco-tedesco di Aquisgrana, firmato il 22 gennaio di quest’anno, mostra quale sia l’assetto che governa l’Unione Europea. Aquisgrana rappresenta una vera e propria dichiarazione di guerra economica, politica e diplomatica all’Italia. Francia e Germania hanno compiuto un atto ostile contro la terza economia europea: l’Italia. Juncker ha benedetto quest’alleanza e gli europeisti raccontano la favola che è una risposta ai populismi. Bufale. E’ necessario prendere atto che questo trattato sancisce la nascita di un super stato all’interno dell’Unione Europea firmato proprio per escludere l’Italia e le altre nazioni europee. Questo accordo è la dimostrazione che la Ue è uno strumento nelle mani di Francia e Germania, occorre reagire con durezza e con tutti gli strumenti a disposizione perché sono in gioco i nostri interessi nazionali: le elezioni europee sono l’occasione, come recita il nostro slogan, per cambiare tutto.

Per l’Italia sono solo elezioni europee, o anche politiche, quale primo test del governo 5 stelle – Lega dopo un anno di vita?
Le elezioni europee del 26 maggio sono sicuramente un banco di prova anche a livello nazionale. Se il 26 maggio Fratelli d’Italia sarà forte allora potremo cambiare tutto anche in Italia perché questo governo non sta funzionando ed è arrivato il momento di fare un governo che possa davvero difendere l’interesse nazionale italiano. Fratelli d’Italia è l’elemento fondamentale per dare vita a questo governo.

Con il sistema proporzionale di voto, si contano le forze in campo. Chi è in crescita nei sondaggi rischia e teme di non crescere abbastanza per concretizzare cambiamenti e nuove alleanze. Chi è in calo ha già fissato soglie di salvaguardia / successo del proprio movimento, per mantenere lo status quo delle alleanze. Gli altri partiti galleggiano. Il quadro politico nazionale rimarrà immutato nel post elezioni?
Sicuramente il risultato delle europee condizionerà anche il quadro politico nazionale. L’obiettivo dichiarato di Fratelli d’Italia è di costruire un’alternativa di governo senza il M5S. FdI e Lega, come hanno mostrato le recenti elezioni regionali, sono gli unici due partiti a crescere, se anche le elezioni europee confermeranno questo dato si potrebbero porre le premesse per tornare al voto e dare finalmente vita ad un vero governo sovranista, ma soprattutto a un governo che se decide di abbassare le tasse, di difendere la famiglia naturale, di realizzare la TAV lo fa senza perdere tempo prezioso per il Paese.

Tre cose da cambiare e tre cose da difendere nell’attuale, complesso sistema di regole dell’Unione Europea.
Da difendere: la Politica Agricola Comune, che anzi noi vorremmo rafforzare, perché rischia di pagare un conto salato alla Brexit, ma anche rimodulare a favore degli stati mediterranei. I fondi europei che però noi dobbiamo imparare a spendere meglio. Il fondo di solidarietà per le catastrofi naturali, a cui purtroppo l’Italia negli ultimi anni ha spesso attinto. Da cambiare: il Fiscal Compact e i vari fondi salva Stati che non hanno salvato gli Stati ma le banche francesi e tedesche. La normativa bancaria di Basilea che penalizza le banche italiane che non riescono ad erogare credito a famiglie e imprese. La gestione dell’immigrazione che punta tutto sulla redistribuzione dei migranti anziché sulla difesa dei confini esterni.

Proposte in sede europea per aiutare il made in Italy?
Il Made in Italy va aiutato prima di tutto difendendolo, l’Europa la deve fare finita di scrivere direttive solo per favorire gli interessi di altre nazioni che siccome non sono capaci a fare i prodotti buoni come li facciamo noi, pretende che anche noi squalifichiamo i nostri prodotti per rendere più competitivi quelli degli altri. Non si può fare. In Europa noi andiamo a difendere l’Italia, andiamo a difendere la nostra grandezza che è data soprattutto dalla nostra identità, che significa valorizzare i nostri prodotti, valorizzare il turismo e le nostre produzioni agricole, che vuol dire difendere il nostro artigianato, i nostri pescatori, tutto quello che fa l’Italia grande, dalla moda al settore vinicolo, che ad esempio regala all’Italia 15 miliardi di fatturato e 1,2 milioni di posti di lavoro ma che la Ue ostacola, non prevedendo alcun obbligo nello specificare la provenienza delle uve per i vini che in Italia rappresentano un marchio unico e inimitabile. Vogliamo difendere gli artigiani e il piccolo commercio, sostenere il mondo della cultura e del turismo, delle eccellenze italiane e dei settori economicamente fondamentali perché ad alta intensità di lavoro, non delocalizzabili e immuni da contraffazioni.

Roberto Serrentino

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