La crisi della democrazia (e, con essa, della governabilità), originata dalla crescente prevalenza delle tecnostrutture, della grande finanza, dei vincoli fiscali esterni e sovranazionali sui tradizionali meccanismi della rappresentanza politica, ha prodotto due spinte opposte: quella di una democrazia immediata e decidente, che sacrifica le istante partecipative e le procedure decisionali ordinarie, finendo spesso per trasmodare nel populismo o, comunque, nella disintermediazione tra governanti e governati; e quella, antitetica, di una democrazia partecipata, che assorba i conflitti e restituisca un ruolo attivo ai cittadini nei processi decisionali.
Negli ultimi anni, peraltro, è emerso un ulteriore modello, che tenta di coniugare entrambe le predette istanze: quello della democrazia diretta, esercitata nelle forme di una permanente consultazione dei cittadini su piattaforme telematiche (e democracy).
La dialettica tra le diverse soluzioni alla crisi della rappresentanza ha prodotto un progressivo affinamento dei modelli di governo, tra i quali il più avanzato è senz’altro quello della democrazia deliberativa.
Si tratta di una declinazione della democrazia partecipativa, che prevede il coinvolgimento dei cittadini nella fase che precede la decisione e che comporta l’ascolto e la discussione delle diverse opzioni ipotizzate.
L’ambito in cui tale forma partecipativa si è imposto con maggiore forza è quello delle decisioni attinenti alla programmazione e alla localizzazione di grandi infrastrutture o di impianti energetici.
Si tratta, infatti, di processi decisionali in cui l’esigenza di ascolto dei residenti è maggiormente avvertita, in considerazione del rilevante impatto che i provvedimenti da assumere producono sulle comunità locali.
Nell’ordinamento italiano tale istanza partecipativa è stata assicurata e soddisfatta con la previsione del dibattito pubblico (disciplinato con il DPCM n. 76 del 2018), che costituisce la più vistosa espressione della democrazia deliberativa, di cui presenta tutti i caratteri essenziali.
Si tratta di un istituto che dovrebbe servire, secondo le dichiarate intenzioni, ad accrescere l’efficacia delle decisioni sulla localizzazione delle grandi opere e degli impianti energetici, prevenendo il conflitto ed allargando la base di consenso degli interventi.
Nella sua accezione più astratta ed utopistica il dibattito deve proseguire finchè non si raggiunge una condivisione della comunità di riferimento della scelta oggetto del confronto, ma, anche nella versione più mite e meno velleitaria recepita nel nostro ordinamento, il dibattito serve in ogni caso a definire scelte, se non proprio unanimemente condivise, il più possibile vicine alle posizioni emerse nel confronto con una cittadinanza attiva e, quindi, meno conflittuali e divisive.
L’istituto merita di essere analizzato in una duplice prospettiva: quella della sua idoneità a superare la crisi della democrazia e quella della sua capacità di migliorare l’efficienza delle scelte politico-amministrative sulle infrastrutture.
Sotto il primo profilo, il dibattito pubblico e, quindi, il concorso dei cittadini alle decisioni relative alla localizzazione di gradi infrastrutture, appare senz’altro utile.
La distanza tra governati e governanti è sicuramente destinata a ridursi, nella misura in cui il confronto consente ai cittadini di fare udire la loro voce e le loro opinioni, costringendo in tal modo i decisori a tenere conto della posizione dei residenti e contribuendo a ripristinare quella fiducia che ha minato i meccanismi di rappresentanza e di delega di responsabilità, che non si esauriscono più con il voto, ma che si alimentano di una dialettica proficua ed efficiente all’interno dei processi decisionali di maggiore impatto sulla vita dei cittadini.
È vero che resta elevato il rischio che nel dibattito pubblico prevalgano approcci ideologici e militanti, a scapito di quello razionale e neutrale su cui si fonda l’istituto, ma è anche vero che, in astratto, per come regolato, rimane uno strumento che coinvolge in modo ordinato i cittadini nel processo decisionale e che, quindi, vale ad accorciare la distanza che li separa da politici e amministratori.
Più complesso è il giudizio in ordine all’impatto del dibattito pubblico sull’efficienza e sulla stabilità delle decisioni relative alle grandi infrastrutture.
L’istituto presenta, al riguardo, vantaggi, ma anche svantaggi, e il giudizio finale sul suo funzionamento dipende molto dalla sua concreta attuazione.
Tra i pro si possono registrare i benefici della prevenzione dei conflitti, della identificazione delle soluzioni ottimali e maggiormente condivise, della razionale composizione di tutti gli interessi emersi nel corso del dibattito pubblico e della stabilità della decisione finale (se coerente con gli esiti del dibattito).
Tra i contra, invece, dev’essere annoverato il rischio che la consultazione dei cittadini produca effetti opposti a quelli auspicati e, cioè, un’eccessiva dilatazione dei tempi dell’istruttoria, una burocratizzazione ipertrofica della procedura e, soprattutto, un aumento, anziché un abbattimento, del contenzioso attinente alle scelte sulla localizzazione delle infrastrutture.
Una volta, infatti, che si prescrive che gli esiti del dibattito pubblico debbano essere considerati dalla stazione appaltante (mediante l’esplicitazione, nel dossier conclusivo, delle ragioni che hanno condotto a non accogliere eventuali proposte) e, soprattutto, una volta che gli interessi dei residenti entrano nel procedimento in modo formale, si espone la decisione conclusiva, ove non esattamente in linea con le posizioni emerse nel dibattito, a contestazioni giurisdizionali, sotto il profilo sia di violazioni procedimentali, sia, e soprattutto, sulla congruità della motivazione in relazione agli esiti del dibattito.
Si tratta di effetti perversi che, se si dovessero verificare, generano rallentamenti e incertezze e, quindi, risultati antitetici rispetto a quelli voluti con l’introduzione dell’istituto, che si risolverebbe, in quel caso, in un vero e proprio boomerang.
Ovviamente il bilancio non può essere formulato in astratto ed ex ante, ma esige una verifica ex post sul funzionamento dell’istituto.
Si tratterà di esaminare se il dibattito pubblico ha, in concreto, ridotto la conflittualità, garantito la stabilità delle scelte, agevolato gli investimenti o se, al contrario, secondo le dinamiche proprie dell’eterogenesi dei fini, ha accresciuto il contenzioso, complicato le procedure e, quindi, frenato lo sviluppo infrastrutturale.
Per concludere, la partecipazione dei cittadini alle scelte relative alla progettazione e alla localizzazione di grandi infrastrutture costituisce un’arma a doppio taglio: se ben amministrata, produce il duplice e virtuoso effetto di attenuare la crisi della rappresentanza politica e di assicurare stabilità ed efficacia agli investimenti infrastrutturali; se gestita male, invece, ritarda l’attuazione degli interventi e accresce i conflitti.
Non resta, quindi, che attendere le prime applicazioni del dibattito pubblico, con l’auspicio che costituisca un utile strumento per favorire la più rapida realizzazione delle opere e degli impianti che servono allo sviluppo del Paese.