Alla Ministra Cartabia vorrei dire…

Alla Ministra della Giustizia Cartabia spetta probabilmente il compito più arduo nell’ambito del piano di riforme che vorrà varare il governo Draghi.

Intervenire sui temi della giustizia, dell’efficientamento e della digitalizzazione della stessa, degli strumenti deflattivi del contenzioso, della eccessiva durata dei processi attraverso provvedimenti radicali, non sarà facile, ma se c’è qualcuno che può farlo con buoni margini di successo, a mio avviso, non può che essere lei, Marta Cartabia, dall’alto di una riconosciuta e apprezzata competenza e autorevolezza. E nel coacervo degli strumenti di riforma, quelli sul processo penale saranno i più ardui da liberare, perché trovare compromessi fra le diverse forze politiche, nonostante concorrano a sostenere il governo, sarà di difficile momento.

Di ciò, credo che la Ministra ne abbia contezza, avendo già deciso di procrastinare qualsiasi intervento a breve sulla prescrizione dei reati, prevedendo un’eventuale riforma dell’istituto nel più ampio alveo della riforma del processo penale allo studio da parte di un’apposita commissione formata da magistrati e accademici ed avendo, quindi, spostato ogni proposta risolutiva in avanti di almeno 2-3 mesi. Questa è politica, com’è politica decidere di muovere dal testo presentato dal precedente Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, così da non scontentare troppo, operando, in prima battuta, nell’ottica di un preannunciato dialogo con i partiti.

Accadimenti più o meno recenti, come le assoluzioni nel processo per le presunte tangenti ENI-Nigeria e nel processo Agusta Westland (Finmeccanica)-India, le cui indagini sono partite sin dal 2014, pongono seri interrogativi cui la Ministra dovrà dare risposta.

L’obbligatorietà dell’azione penale è davvero un principio così indiscutibile? È un enorme potere nelle mani del Pubblico Ministero, incontrollato e a sua volta discrezionale, ma negli Stati Uniti non è così. Perché allora non valorizzare il ruolo della polizia giudiziaria, per cui il Pubblico Ministero può indagare soltanto in conseguenza di una notizia di reato generata dalla stessa?

L’informazione di garanzia ha ancora ragion d’essere, almeno come attualmente prevista e regolamentata? È una vera e propria condanna anticipata che, se resa pubblica, risulta profondamente incidere su carriera e onorabilità del destinatario, che spesso, a distanza di qualche anno, è riconosciuto estraneo al fatto contestato, ma le cui conseguenze dirompenti non saranno mai recuperate, ovvero risarcite.

Serve un assoluto riserbo da parte dei magistrati, secondo un principio che deve trovare chiara e ferrea regolamentazione, nonché conseguente, puntuale sanzione in caso di violazione. Ricordo con favore quando Salvatore Vecchione, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma dal 1997 al 2003 accentrò i rapporti con la stampa proprio per limitare fughe di notizie e protagonismi e questo nonostante i malumori dei giornalisti avessero partorito l’espressione di “porto delle nebbie”. Oggi soccorre anche l’accoglimento parlamentare della Direttiva Europea “sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali”.

E perché non introdurre la cauzione come in America, per evitare che migliaia di persone, spesso innocenti, siano a lungo detenute in attesa di giudizio? Sarà pure una provocazione, ma per il sistema giudiziario americano, che utilizza questo istituto da anni, non sembra affatto un’aberrazione giuridica.

Riformare il CSM, ridurre i tempi dei processi, equilibrare i rapporti tra accusa e difesa nel processo penale, rivedere il ruolo di GIP e GUP e della loro funzione, perché sia davvero sostanziale e di garanzia. Questi sono i veri problemi che vogliono soluzione.

Anche al sovraffollamento delle carceri e ai sistemi alternativi alla detenzione, la Ministra dovrà dare risposte concrete. Dopo le note vicende Palamara e non vado oltre potendo citare un nugolo di casi di spartizioni e malagiustizia, i cittadini hanno perso la fiducia e le riforme hanno anche questo compito: riconsegnare processi e giustizia alla corretta affidabilità che meritano. A mio avviso, tuttavia, i maggiori ostacoli alle riforme, non arriveranno dalla politica, ma dalla stessa magistratura, un’istituzione che difficilmente sarà disponibile a rinunciare a quei poteri da decenni cristallizzati, che la politica, debole, non è mai riuscita a rivedere.

Auguri Ministra Cartabia, auguri di cuore, perché riesca dove i suoi predecessori hanno fallito, confidando che, grazie anche al suo trascorso quale Presidente emerito della Corte Costituzionale, abbia il coraggio di imporsi per il bene della giustizia e del Paese, che vede fin troppi innocenti in carcere, fin troppi diritti fondamentali compromessi, fin troppi errori giudiziari, fin troppe personalità mortificate nella professionalità e nella carriera, sacrificate sull’altare della gogna mediatica.

La Ministra si è già appellata all’“imperfezione indispensabile a trovare una soluzione condivisa”. È forse una resa annunciata? Il termine imperfetto, navigando su google per approdare al dizionario online, significa “non finito, non compiuto, che ha qualche difetto”.

Se la risultante, quindi, è quella di cercare e privilegiare in definitiva una condivisione delle riforme da parte della magistratura e dei partiti, frutto di mediazioni, limature, rinunce e quant’altro di limitativo, per dare vita a una riformetta che non risolva strutturalmente le criticità ampiamente note, allora saremmo di fronte all’ennesimo fallimento, ad una vera e propria resa, perché la persona giusta per raggiungere una radicale ed equa riforma della giustizia penale si è dovuta anch’essa piegare ai compromessi per far sì che i partiti e le istituzioni, con i propri interessi di bottega, ancora una volta avessero la meglio a discapito del bene e dell’interesse della collettività.

Lo stesso Presidente delle Repubblica Sergio Mattarella nel suo intervento del 23 marzo scorso al Plenum del Consiglio Superiore della Magistratura ha sottolineato come sia importante la guida del Ministero della Giustizia “particolarmente in questo periodo sia per gli adempimenti nell’ambito del recovery plan sul settore della giustizia, sia per quanto riguarda le attese di necessari e importanti interventi riformatori oggetto di confronto in Parlamento”.

Non resta, quindi, che aspettare ed essere fiduciosi che un domani si possa parlare con soddisfazione della Riforma Cartabia del processo penale e di un new deal della giustizia italiana.

Ugo Utopia

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