Intervista a Luciana Lamorgese

Luciana Lamorgese nominata ministro dell’Interno nel 2019 nel governo guidato da Giuseppe Conte e confermata nell’incarico anche nell’esecutivo presieduto da Mario Draghi. Quale interpretazione dare della sua conferma? Una continuità della linea politica all’Interno del governo Conte o la precisa volontà di premiare la competenza e la professionalità di chi ha ben diretto un dicastero strategico e complesso?
Al ministero dell’Interno fanno capo una pluralità di funzioni molto complesse come quelle relative alla tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, alla tutela dei diritti civili e di cittadinanza, alla gestione dell’immigrazione e dell’asilo, al  soccorso pubblico e alla prevenzione antincendi, fino alla garanzia della regolare costituzione e del funzionamento  degli organi negli enti locali. L’esercizio di queste funzioni, così delicate e vitali, richiede un alto livello di terzietà su cui si incardina il ruolo di garanzia assicurato dall’intera Amministrazione dell’Interno nei confronti di tutti i cittadini.

Il venir meno della coesione sociale, a un anno dall’inizio della pandemia, è un rischio ancora attuale oppure si può concludere per una sostanziale tenuta delle relazioni sociali, dell’ordine pubblico e della sicurezza collettiva?
Siamo in una fase di forte accelerazione della campagna di vaccinazione che ci porterà con gradualità alla messa in sicurezza dell’intera popolazione che condurrà, mi auguro, alla tanto attesa normalizzazione di tutte le attività economiche e sociali. Tuttavia, la situazione di difficoltà in cui versano famiglie e imprese sta alimentando un disagio diffuso che sempre più spesso si manifesta nelle nostre piazze: è necessario, dunque, fare presto e bene con la somministrazione dei vaccini ma, al tempo stesso, è richiesto a tutti di dimostrare un grande senso di responsabilità e di unità in uno sforzo comune diretto a superare questo grave periodo di crisi.

Muovendo dalle vulgate allarmistiche di dominio pubblico, per cui crsi economica conseguente ai lockdown, crescente indebitamento e lentezza nell’arrivo dei ristori hanno  consegnato aziende ed esercizi commerciali alla criminalità organizzata, sono stati registrati in tal senso casi concreti  e frequenti da parte delle forze dell’ordine?
I grandi flussi di denaro indirizzati per assicurare il sostegno delle attività economiche messe in ginocchio dalla pandemia costituiscono una grande occasione per la criminalità organizzata che, in questa emergenza sanitaria e sociale,  mira sia ad intercettare i finanziamenti statali ed europei sia  ad aggredire l’economia sana rilevando le imprese in difficoltà.  Per questo, l’azione del ministero dell’Interno e dei prefetti, dunque,  è rivolta ad una attenta azione di prevenzione nei territori,  ricorrendo anche ad una più ampia  collaborazione con le organizzazioni delle categorie economiche più esposte al rischio di infiltrazione criminale.

Come conciliare le esigenze dei controlli di  sicurezza con i tempi, necessariamente incalzanti, della ripresa economica? 
È chiaro a tutti che il punto di equilibrio da raggiungere è quello di assicurare una rapida ripresa economica senza abbassare il livello di guardia di fronte agli appetiti criminali. Seguendo questa linea, fin dai primi mesi del 2020 in cui sono stati riconosciuti i sostegni finanziari iniziali, il Viminale ha sottoscritto protocolli con la Sace  e l’Agenzia delle entrate per assicurare l’efficacia dei controlli senza rallentare le procedure di erogazione dei fondi. L’attenzione del ministero dell’Interno è massima affinché le risorse erogate arrivino effettivamente a supportare i circuiti legali dell’economia, evitando appropriazioni indebite da parte della criminalità organizzata. È indubbio, infatti, che lo scenario in atto sia di estremo interesse per le mafie  che sono capaci di adattarsi molto velocemente ai mutamenti socio economici per cogliere nuove opportunità di investimento. Questo tipo di analisi, peraltro, è confermata dall’Organismo permanente di monitoraggio e analisi sul rischio di infiltrazioni nell’economia da parte della criminalità organizzata che ho ritenuto di istituire fin dall’inizio di questa crisi pandemica.

In questo quadro di riferimento, l’Italia può considerarsi un Paese a rischio?
Questo approccio è condiviso anche in sede europea al punto che, su iniziativa italiana, è stato istituito  un gruppo di lavoro, co-presieduto dal nostro Paese unitamente ad Europol, in cui si stanno mettendo in comune con i partner europei  le informazioni sugli scenari criminali. Come si rileva dalle analisi dell’Osservatorio di monitoraggio, i sodalizi criminali tendono a muoversi lungo direttrici diverse: sostenendo forme di “assistenza” alle famiglie in condizioni di disagio, in modo da ampliare la propria base di consenso; esercitando indebite pressioni per l’assegnazione di erogazioni pubbliche; alimentando contraffazione, abusivismo commerciale e truffe on line riguardanti soprattutto i dispositivi medico sanitari; insinuandosi con  l’intromissione, anche indiretta, nei settori dell’economia legale considerati più vantaggiosi. In particolare, la condizione di estrema vulnerabilità delle attività commerciali, soprattutto di quelle di piccole e medie dimensioni, aumenta il rischio dello sviluppo di fenomeni usurari e del possibile ingresso della criminalità negli assetti proprietari e gestionali delle imprese anche al fine del reimpiego di capitali illeciti. Di fronte a fenomeni che si manifestano in forme cosi insidiose, l’azione dello Stato non si esaurisce nella pur essenziale e determinante attività repressiva, che prosegue senza sosta. A mio avviso, infatti, una seconda leva fondamentale per difendere l’economia legale dai tentativi di infiltrazione  della criminalità fa perno sulla  capacità di fare squadra,  mettendo in campo le migliori energie, pubbliche e private. Espressione di tale sinergia virtuosa sono anche i numerosi protocolli che il ministero dell’Interno ha sottoscritto e che danno il senso di una vera e propria “rete” per la legalità,  che Istituzioni e società civile stanno mettendo in campo. In questa cornice, i prefetti stanno agendo sui territori – con l’Abi e con le associazioni imprenditoriali – anche per garantire un più facile accesso al credito,  sottraendo, così,  gli imprenditori in crisi di liquidità alle offerte di ’aiuto’ della criminalità organizzata.

Attacchi informatici e cyber security, qual’è lo stato dell’arte nel nostro Paese e la configurazione del rischio?
A fronte di una riduzione di quasi tutti gli altri reati, il 2020 ha portato con sé un aumento, rispetto al 2019, del 246% degli attacchi rilevati dal Centro nazionale anticrimine informatico per la protezione delle infrastrutture critiche della Polizia Postale, con uno speculare aumento di circa l’80% del numero delle persone identificate e sottoposte ad indagine. Nel campo del financial cybercrime si è verificato un aumento del 55% delle frodi online rispetto all’anno precedente. E rilevante è anche il dato sui reati contro la persona commessi via web, ed in particolare, di quelli nei confronti dei minori: il Centro nazionale per il contrasto alla pedopornografia online della Polizia postale ha segnalato, infatti, un aumento di oltre il 130% del numero dei casi nel 2020 rispetto all’anno precedente ed un incremento pari ad un ulteriore 95% nel dato relativo al solo primo trimestre dell’anno in corso.
In questo contesto, il numero degli indagati vede un incremento del 90% nell’anno 2020, rispetto al 2019. Uno scenario che evidenzia la pericolosità del cybercrime e la crescita esponenziale di tale fenomeno, ma anche i significativi risultati conseguiti grazie a una attenta azione di prevenzione e contrasto da parte di operatori di polizia specializzati. In un’ottica di più efficace prevenzione, ricordo la recente inaugurazione del Cyber Security Operations Center (C-SOC), una struttura d’avanguardia per l’intervento tempestivo sugli incidenti informatici di natura accidentale, naturale o dolosa – come gli attacchi hacker – alle banche dati delle Forze di polizia.

Roberto Serrentino

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Registrato al Tribunale di Roma il 19/09/2018, n. 155
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