Le elezioni amministrative di ottobre hanno registrato una netta affermazione per il Partito Democratico ed evidenziato, invece, una condizione di affanno della coalizione di centrodestra. Benché il cartello FDI – Lega – Forza Italia, sia prima che dopo le elezioni, si confermi tendenzialmente vincente, nei sondaggi su scala nazionale, i risultati locali si sono rivelati assai deludenti. Certamente le elezioni amministrative sono regolate da meccanismi elettorali diversi e diversi e parziali sono gli ambiti territoriali. Ma il dato appare piuttosto allarmante per la coalizione e una classe politica avveduta deve necessariamente porre attenzione alle ragioni e alle criticità, per allestire i necessari rimedi. Queste elezioni amministrative hanno rivelato una certa difficoltà dei partiti di centrodestra – Fratelli d’Italia e Lega, in particolare – nell’individuazione di candidati abbastanza competitivi, in grado di dare filo da torcere alle figure più carismatiche e trainanti scelte dalla coalizione avversa.
Gli indicatori dello stato di salute dei singoli partiti e schieramenti devono, peraltro, tenere conto di un fenomeno piuttosto inquietante per una funzionale democrazia rappresentativa che è dato dal diffuso astensionismo, in una consultazione elettorale relativa ai comuni, ossia proprio a quelle entità caratterizzate da una maggiore prossimità con la vita quotidiana dei cittadini e le cui decisioni e conseguenti attività di gestione producono riflessi più diretti ed immediati negli equilibri delle comunità territoriali. Ciò deriva anche dallo scenario nazionale, con una maggioranza di governo che contiene, al suo interno, le tendenze più lontane e contrapposte, in un equilibrio precario la cui tenuta appare talvolta inverosimile e surreale. Questa condizione provoca disagio in una buona parte dell’elettorato di sinistra più intransigente, ma anche in una porzione del centrodestra, che si ritrova i due partiti maggiori dello schieramento, FDI e Lega, alleati nelle amministrative e uniti e solidali su diverse tematiche, ma collocati, il primo all’opposizione e il secondo in maggioranza, con importanti rappresentanti all’interno dell’Esecutivo guidato da Mario Draghi. Peraltro, quell’area di elettori più moderati e di orientamento centrista, che pure si sono riconosciuti in questi anni nelle politiche del centrodestra, non si sono forse sentiti rappresentati, in alcuni casi, dalle candidature indicate dal team Meloni–Salvini e non hanno forse gradito accenti polemici troppo marcati da parte degli stessi su alcuni temi (certificazione verde e attacchi alla Lamorgese, per esempio). Questo potrebbe costituire un altro dei fattori che hanno alimentato l’astensionismo che, peraltro, in linea generale, trova spiegazione in una diffusa tendenza ad estraniarsi da una politica nella quale sembra sempre più difficile identificarsi per larghi strati dell’opinione pubblica. Al Partito Democratico ha comunque giovato un atteggiamento di più evidente sintonia con le scelte del governo Draghi che, in questa fase, riscuote una diffusa fiducia nell’opinione pubblica e esercita un influsso rassicurante, soprattutto in virtù del carisma e dell’autorevolezza, anche internazionale, dell’ex Presidente Bce, attuale Presidente del Consiglio. Sotto questo profilo, non si può negare che l’esito di un voto che investiva realtà urbane così rilevanti, come quello dello scorso mese di ottobre, abbia concorso a consolidare l’azione del governo stesso. Governo che si trova ad affrontare il difficile compito di ricostruzione e di rilancio postpandemico e deve assumersi la responsabilità di una mirata e razionale utilizzazione dei flussi finanziari provenienti dall’Unione Europea, assicurando la realizzazione dei progetti e il rispetto delle priorità fissate, oltre all’adozione delle riforme strutturali richieste dall’Unione stessa. Obiettivi che, in gran parte, verranno a scadenza nei prossimi tre anni e che, per la complessità che li caratterizza e i rischi di lacerazioni e di dissensi che potrebbero implicare in una maggioranza tanto vasta ed eterogenea, quale quella che sostiene il governo Draghi, richiederanno la presenza al timone di una mano sicura che possa operare con continuità, al riparo da crisi e da imboscate.
Ai fini di garantire questa condizione di stabilità, ogni conato di crisi o di rimescolamento di posizione tra le forze politiche potrebbe pregiudicare il compito ricostruttivo della squadra di governo e determinare una fase di stallo dagli sbocchi incerti, idonei a smorzare l’apertura di credito delle istituzioni comunitarie.
E le stesse elezioni anticipate, dall’esito imprevedibile, nonostante i sondaggi, incepperebbero sensibilmente le procedure decisionali e gestionali relative ai fondi, i delicati processi di riforma e il rispetto delle scadenze. Elezioni che, questa volta, ci consegnerebbero un Parlamento a ranghi assai ridotti, rispetto alla composizione cui il sistema si era assuefatto, con una legge elettorale che ancora non sappiamo come sarà ed equilibri quindi assai difficili da immaginare preventivamente.
Dunque, occorrerebbe dare tempo al tempo e consentire al governo di proseguire il proprio impegno fino alla scadenza naturale della legislatura (2023). Questo non significa che si debba auspicare necessariamente la preclusione dell’avvento di Draghi alla Presidenza della Repubblica. La sua è certamente la candidatura più autorevole e potenzialmente più idonea a raccogliere un ampio consenso tra i grandi elettori dei diversi schieramenti. E anche in caso di sua elezione, si potrebbe trovare il modo di preservare l’attuale maggioranza, con un altro premier, magari anche lui tecnico.
Viene ipotizzata, talvolta, una “maggioranza Ursula”, ai fini di rendere meno eterogenea la squadra di governo, con l’esclusione della Lega di Salvini, le cui istanze sembrano talvolta lontane e incompatibili, rispetto a quelle di altri partiti della squadra stessa. Ma nella Lega c’è anche il ministro Giorgetti, su posizioni molto vicine a quelle del premier e ormai fautore dell’adesione della Lega al PPE. E, inoltre, siamo sicuri che Berlusconi accetterebbe di rimanere nella maggioranza, dissociandosi dalla Lega che si dichiara favorevole alla sua candidatura al Quirinale e con la quale, comunque, si attende di vincere le prossime elezioni politiche? Forza Italia si troverebbe da sola, come partito di centrodestra, in una coalizione di governo con i suoi tradizionali avversari, minoritaria e, in qualche modo, accerchiata.
Il quadro complessivo suggerirebbe, comunque, di preservare, fino alla conclusione naturale della legislatura, l’attuale composizione della maggioranza, senza ulteriori avventure dall’esito incerto. Questo, almeno, allo stato dei fatti.