Vincenzo Sanasi D’Arpe
Consap ha “ereditato”, in origine, le funzioni assicurative pubbliche svolte dall’INA ante privatizzazione, estendendo progressivamente il campo delle proprie funzioni, fino a diventare un player globale.
I suoi interventi si caratterizzano per il rilievo pubblico in ambito sociale, per il perseguire benefici a favore dell’economia nazionale oltre che del singolo individuo e per la loro sussidiarietà rispetto agli strumenti di natura privatistica, laddove questi ultimi non possano assicurare le adeguate tutele.
Le complesse e articolate attività di Consap richiedono professionalità ed un’articolazione interna elastica ed idonea a rispondere prontamente alle mutevoli esigenze operative.
Unico assicuratore pubblico nazionale, Consap si propone quale sicuro “terminale” per l’affidamento di incarichi in tutti gli ambiti in cui si ravvisi la necessità od opportunità della compenetrazione tra la sfera pubblica e quella privata: in primis, l’assicurazione contro i rischi catastrofali, contesto nel quale l’Italia appare in ritardo rispetto ad altre realtà europee.
Consap, pertanto, continuerà ad essere al fianco dello Stato, mettendo a disposizione il proprio know-how al fine di valorizzare e rafforzare la collaborazione tra pubblico e privato, indispensabile per accelerare il processo di sviluppo e modernizzazione del Paese.
Fabrizio Criscuolo
Innumerevoli studi dimostrano che una giustizia efficiente, rapida e qualitativa favorisce la concorrenza, facilita l’accesso al credito e ne riduce il costo, promuove l’accesso al mercato di nuovi operatori e determina, come è giusto che sia, l’uscita dal mercato delle entità improduttive o le condizioni per la ristrutturazione di quelle realtà temporaneamente in difficoltà.
Non manca chi ha affermato che una riduzione della metà dei tempi dei processi civili determinerebbe un accrescimento della dimensione media delle imprese manifatturiere italiane pari a circa il 10 % e che una riduzione del 40% dei tempi di definizione delle procedure concorsuali determinerebbe una crescita complessiva dell’economia pari a quasi 2 punti percentuali.
Se è vero, ed è vero, che l’irragionevole durata dei processi è denegata giustizia, lo sforzo di tutti deve essere a maggior ragione volto a ricostruire un sistema che non si risolva per altro verso nel medesimo diniego e che, di là dalle emergenze e dalle patologie, restituisca ai cittadini pienezza ed effettività dei diritti e agli operatori quella dignità di cui troppo spesso, oggi, nelle aule della giustizia civile, avvertiamo la mancanza.
Edoardo Fedele
“Il meglio del futuro è nella Comunità”, potrebbe sembrare quasi uno slogan olivettiano più che un moderno claim pubblicitario. Ma le Comunità esistono, hanno una vita che va al di là di quella dei singoli individui, ma di cui gli individui beneficiano. Soprattutto, hanno necessità, esigenze, gusti e preferenze. Insomma, sono dei target di mercato da interpretare. La corretta interpretazione apre la strada a progettualità più o meno complesse e stratificabili.
Ma le Comunità oltre a riconoscersi attraverso i propri caratteri identitari, a differenza delle economie chiuse del medioevo, hanno necessità di aprirsi, di raccontarsi, di creare dei circoli economici virtuosi che siano capaci di portare reddito e sostenibilità. Per raggiungere questi obiettivi, le Comunità hanno bisogno di mettere in mostra i propri attrattori, i punti di forza. Poco più di due anni fa, prima dello scoppio della pandemia, Typimedia ha aperto un nuovo fronte di narrazione territoriale, con l’obiettivo di raccontare le comunità in maniera multidimensionale.
Con l’approfondimento delle linee guida del PNRR, è opinione comune che Il grande piano di rilancio dell’Italia possa passare anche da qui.
Le progettualità saranno sempre più connotate dalla stretta connessione tra digitale e territorio, tra communities virtuali e Comunità reali. E magari scopriremo che la distanza è ormai azzerata o almeno esiste un flusso continuo virtual to real nel quale si andrà a collocare ogni tipo di comunicazione.
Andrea Ferretti
Bisogna prendere atto che il vero motivo che ha fatto suonare gli allarmi nei grattacieli e nelle sale cambi di mezzo mondo ha un nome: “incertezza da Quirinale”. Ed il quesito che aleggia sullo sfondo di questo clima di incertezza è sempre lo stesso: l’Italia può davvero permettersi il lusso di mandare Draghi al Quirinale allontanandolo dalla regia proprio nella delicatissima fase della messa a terra del PNRR? La laconica risposta è NO.
Il 2022 sarà già molto più impegnativo dell’anno passato: 23 leggi e 43 atti normativi da varare (più di 5 al mese) per ottenere l’erogazione di 2 rate per complessivi 40 mld. E il solo pensare che questo colossale piano, che va a toccare tutti i gangli dell’apparato centrale, regionale e locale possa andare a buon fine senza la regia politica ed operativa di un Mario Draghi asceso al Colle appare piuttosto utopistico.
Deve essere ben chiaro che, qualora il cambio di regia a Palazzo Chigi aprisse una stagione di lotte intestine e di fibrillazioni politico-elettorali in grado di impedire il varo di riforme strutturali e la corretta messa a terra del PNRR, si avrebbero due conseguenze. La prima è che aumenterebbe a dismisura il gap tra l’Italia ed i Paesi che fossero riusciti a utilizzare al meglio i fondi comunitari del Next Generation UE. La seconda è che il “debito buono” (ossia destinato a investimenti strutturali nella fase post pandemica) si trasformerebbe, come per incanto, in “debito cattivo” facendoci scoppiare in mano come un petardo il fardello di debito pubblico lievitato ad oltre 2700 mld a causa della pestilenza.
E allora, alla fine dei conti, è forse meglio per tutti che Mario Draghi rimanga tranquillamente a Palazzo Chigi a occuparsi del Paese.
Ugo Utopia
La Commissione in questione, definita “Per l’innovazione del sistema penitenziario”, istituita con il D.M. 13 settembre 2021 e presieduta da Marco Ruotolo, ordinario di diritto costituzionale, il 17 dicembre 2021 ha consegnato la propria Relazione conclusiva, alquanto corposa in 226 pagine, che evidenzia aspetti innovativi e proposte di straordinaria portata che, se attuate, porterebbero il nostro sistema penitenziario all’avanguardia, a dispetto delle innumerevoli procedure di infrazione UE e relative condanne subite dal nostro Paese sui temi di giustizia e, nello specifico, delle condizioni di vita negli istituti previdenziali.
“Da gennaio il carcere sarà la mia priorità”, così ha sentenziato la Ministra Cartabia innanzi i componenti la Commissione alla presentazione della Relazione finale, aggiungendo che lo scopo sarà quello di “migliorare la vita quotidiana di chi vive e lavora in carcere”.
Un primo auspicio è che questi intendimenti, queste parole illuminate possano trovare riscontro e attuazione nei decreti delegati per la riforma del sistema sanzionatorio; così le chiacchere resterebbero a zero e il volto umano della ministra Cartabia si rifletterebbe sul nostro sistema penitenziario, consentendo di raggiungere quegli obiettivi di civiltà e di rispetto per gli esseri umani, tutti nessuno escluso, sicuramente pensati ma mai realmente perseguiti dalla nostra classe politica.
Un secondo auspicio è che proprio la politica si riscatti in questo percorso di approvazione delle misure innovative, senza intervenire con i soliti compromessi di bottega, stravolgendo un iter di riforma, che si mostra seriamente impostato con il detenuto al centro del villaggio.