Quando nel mondo si parla di Made in Italy si pensa subito a prodotti che si contraddistinguono per l’elevata qualità. Noi non esportiamo semplici oggetti o alimenti, ma un vero e proprio stile di vita, che viene così apprezzato all’estero da essere spesso oggetto di tentativi di imitazione.
Il cosiddetto italian sounding ha un giro d’affari di decine di milioni di euro che ogni anno vengono sottratti alla nostra economia. Basti pensare all’ultimo eclatante caso del Prosek croato contro cui si è opposto tutto il sistema Paese. Un chiaro tentativo di trarre vantaggio dall’assonanza con quello che è il nostro maggior successo commerciale degli ultimi anni: il Prosecco. Strettamente legato a un territorio – come dimostra l’omonima città triestina in passato chiamata proprio Prosek – che si può anche fregiare del riconoscimento Unesco delle Colline di Conegliano e Valdobbiadene.
Siamo fiduciosi che in Europa prevalgano le nostre ragioni, anche perché di recente l’Euipo, l’ufficio marchi europeo, ha dato ragione al Consorzio per la tutela dei vini Bolgheri e Bolgheri Sassicaia Doc nel contenzioso contro una delle principali cantine bulgare che voleva registrare il marchio “Bolgaré”, ribadendo così la massima tutela delle denominazioni contro ogni forma di evocazione. E l’Italia, ricordiamolo, è il paese europeo con il maggior numero di prodotti agroalimentari a denominazione di origine e a indicazione geografica riconosciuti dall’Unione europea.
Un’ulteriore dimostrazione del valore delle nostre produzioni, ma soprattutto del forte legame che lega le eccellenze agroalimentari italiane alle proprie terre. Da Bolzano a Lampedusa, l’Italia rappresenta un unicum per la ricchezza di prodotti tipici che sono espressione di tradizioni, cultura, storia, biodiversità. Un patrimonio che può rappresentare anche un’ulteriore leva di sviluppo del nostro turismo legato al buon cibo, al contatto con la natura e alla riscoperta di un diverso stile di vita, elementi che in questi anni caratterizzati dalla pandemia sono stati riscoperti e sempre più apprezzati.
Il nostro agroalimentare per i consumatori è garanzia di grande qualità e di alti standard produttivi. Nel 2021 il settore ha fatto registrare un record storico, tagliando il traguardo dei 52 miliardi di euro di esportazioni di cibi e bevande, con una crescita dell’11% sul 2020. Il vino è stato il primo prodotto del comparto per le vendite oltreconfine con 7,1 miliardi di export. Siamo uno dei paesi simbolo della Dieta Mediterranea, patrimonio immateriale dell’Umanità, che viene riconosciuta come la dieta migliore, non solo dal punto di vista della salute ma anche per la tutela ambientale del Pianeta. Sufficienti ragioni per difendere i nostri prodotti e il nostro stile di vita da chi vorrebbe far adottare in Europa un sistema di etichettatura come il Nutriscore che – sulla base di un discutibile algoritmo – “promuove” alimenti ultra processati delle multinazionali e penalizza invece prodotti a denominazione d’origine, assegnando un punteggio alto a bibite gassate senza zucchero e penalizzando l’olio extravergine d’oliva di cui sono ben note le proprietà organolettiche. E che vorrebbe mettere un bollino nero a tutte le bevande alcoliche, incluse birra o vino.
L’alternativa italiana, che sta convincendo sempre più paesi, è il Nutrinform battery, un sistema il cui obiettivo è quello di informare – e non condizionare – i consumatori e che non difende solo il Made in Italy ma tutto il “Made in” europeo.
Non c’è solo questa sfida. I nostri produttori e le nostre imprese stanno affrontando da mesi difficoltà legate all’aumento dei costi di produzione, dal caro energia e ai prezzi delle materie prime. Un quadro reso ancora più difficile dalla crisi ucraina. Un contesto internazionale che ha sollevato più di una criticità e spinto a riflettere su alcune politiche adottate a livello europeo. In poche settimane abbiamo capito come sia rischioso dipendere da paesi terzi per l’approvvigionamento di importanti materie prime, nello specifico il grano, il mais, fondamentale per i nostri allevamenti, o l’olio di girasole, necessario all’industria conserviera.
I nostri agricoltori sono stati spinti ad abbandonare determinate colture perché non più remunerative. In questo senso la guerra ha fatto capire che la sovranità alimentare deve essere un obiettivo da raggiungere.
Va perseguita una sovranità alimentare europea con politiche che rimettano al centro il settore primario e che riconoscano il suo ruolo strategico. E allo stesso tempo credo che bisogna lavorare perché ci siano le condizioni per aumentare sempre di più ciò che viene coltivato, allevato e pescato in Italia.