Hanno detto… sul numero 43-44, luglio/agosto 2022 • anno 4

Roberto Serrentino
La lotta all’evasione fiscale, volta a far emergere il sommerso, ad alleggerire la pressione fiscale, a contrastare l’inquinamento della libera concorrenza e a creare fiducia nei contribuenti onesti si è rilevata da sempre una battaglia persa, quale mantra-tema di ogni programma di governo, elaborato per trovare misure di contrasto sempre più efficaci. 
Decorsi oltre due anni dall’entrata in vigore della legge di bilancio 2020 e pubblicato nella G.U. del 30 giugno 2022 il Decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze, si passa ora ad un nuovo strumento di contrasto all’evasione fiscale.
Il nuovo algoritmo è la risultante dell’impegno assunto a livello europeo dal nostro Paese per poter accedere ai fondi del PNRR, ma risulterà davvero determinante per stanare finalmente gli evasori e recuperare gettito?
Quanto l’algoritmo darà contezza di una sua precisione e affidabilità? L’analisi del rischio fiscale e l’interconnessione delle banche dati insieme saranno fruttuose? Già si parla di “correttivi” da apportare sui 175 ISA.
Staremo a vedere, ma sia consentito esprimere un pacato scetticismo sull’efficacia dell’elaborazione di milioni di dati, tanti, forse troppi per un’indagine conoscitiva e selettiva dei contribuenti a rischio di evasione che, a prova di accessi e verifiche, possa determinarsi fattualmente come un vero e decisivo cambio di passo nella lotta agli evasori.

Nicola Saracino
Meno del 21% del corpo elettorale ha risposto alla chiamata referendaria.  Non è certo nel merito dei quesiti referendari che va ricercata la causa della mancata risposta del corpo elettorale.
Occorre piuttosto guardare alla concomitante pseudo riforma della giustizia messa in campo dal Governo e da poco approvata dal Parlamento.
Le forze politiche della maggioranza governativa, cioè tutte ad eccezione di un solo partito, hanno votato il disegno di legge di delega, su impulso del Ministro della Giustizia.  Ovvio, allora, che risultasse poco convinto e quindi non credibile il sostegno all’iniziativa referendaria apparentemente offerto proprio da quegli stessi partiti politici, che avevano appena contribuito a licenziare un testo conservatore e per nulla risolutivo dei problemi della giustizia in Italia.  Il disorientamento del corpo elettorale è comprensibile nella stessa misura in cui schizofrenico dev’essere apparso lo sprone di alcuni partiti politici che invogliavano – sia consentito dire, alquanto ipocritamente – al “Sì”: ma come, chiedi a me quello che tu non hai voluto fare, pur potendo?

Giuliano Castiglia
Al varo della riforma il Governo è giunto, come promesso, senza che venisse posta la questione di fiducia. Dunque, nel pieno rispetto del Parlamento e del ruolo allo stesso specificamente riconosciuto dalla Costituzione in questa materia. Almeno formalmente.
In verità, alla minima sbirciatina oltre la forma, si vede subito che il Parlamento, di fatto, non ha toccato palla, limitandosi a timbrare un testo partorito dal Governo dopo una lunga mediazione che ha dovuto tenere contro degli equilibri delle forze di partito in campo e del loro modificarsi durante il tragitto che ha condotto al traguardo.
È la conferma, ammesso e non concesso che ce ne fosse bisogno, che il più grave deficit costituzionale è la sostanziale neutralizzazione della potestà parlamentare.
L’esito riformatore appare tutt’altro che un disegno sistematico e razionale; piuttosto, si presenta come un cartellone confezionato a più mani in cui ciascun autore ha disorganicamente affisso le proprie bandierine, da sventolare e consumare sulla piazza mediatico-elettorale al grido di slogan approssimativi (la separazione tra giudici e pm, le porte girevoli, chi nomina non giudica, ecc.), buoni solo a riscaldare i cuori dei propri aficionados.
La riforma non solo non attenua in alcun modo il peso delle correnti nel governo dei magistrati ma semmai lo accresce.
Anche sul versante dei rapporti tra magistratura e politica la riforma si presenta al contempo deludente e incostituzionale.
L’impressione complessiva che si avverte esaminando la riforma dell’ordinamento giudiziario e del CSM appena varata è che il contesto determinato dalle “note, non commendevoli, vicende” abbia costituito qualcosa di peggio di un’occasione persa: una scusa per consolidare e blindare il controllo politico-partitico, di stampo oligarchico, sull’organizzazione giudiziaria e, attraverso di esso, sul concreto esercizio della giurisdizione.

Mario Boffo
La Russia, nel timore che l’espansione della NATO potesse giungere alle proprie frontiere, ha avviato la famosa “operazione militare” in Ucraina, intervenendo con le armi in un Paese dove ritiene di affermare o difendere i propri interessi; esattamente come hanno fatto tutte le potenze nella storia e come segnatamente hanno fatto in epoca contemporanea gli Stati Uniti, con o senza l’aiuto della NATO (Corea, Vietnam, Grenada, Iraq, Afghanistan, Libia…).
Si dovrebbe evincere che la Russia ha attaccato (tatticamente) l’Ucraina perché non ha potuto conseguire a suo tempo l’obiettivo strategico di una condivisa architettura di sicurezza in Europa entro la quale avere un ruolo paritario rispetto a Unione Europea e NATO. Quest’ultima considerazione (e lo evidenzia il tentativo, certo maldestro, ma troppo rapidamente affossato, dell’iniziativa italiana) dovrebbe dare qualche suggerimento ai promotori della pace, se ve ne sono: mettere contemporaneamente sul piatto una generale ridiscussione della sicurezza europea per ottenere l’allentamento delle pretese russe sull’Ucraina e aprire le prospettive per una pace durevole nel nostro continente.

Angelo Gargani
Non si può non sottolineare che le vere vittime di questa riforma sono i giudici non togati, che hanno svolto la loro attività giurisdizionale, anche per diversi anni, pronunciando sentenze in nome del popolo italiano, ipotizzando la illegittimità costituzionale di alcune norme, con rinvio alla Corte Costituzionale, potere attribuito solo ai giudici ed al Governo, e che ora si vedono ridimensionati ad aspiranti candidati dei primi tre concorsi, che si svolgeranno dopo l’approvazione della riforma e che riserveranno loro il 15% dei posti. Una capitis deminutio che non credo abbia precedenti. Anzi i precedenti sono di segno opposto. Il Ministro di Grazia e Giustizia, Palmiro Togliatti nel 1946 fece approvare una norma che consentiva l’accesso nella magistratura ordinaria ad un certo numero di soli laureati in legge con il massimo del punteggio, molti dei quali sono stati degli ottimi magistrati.
I giudici non togati hanno rappresentato da sempre la struttura portante della magistratura tributaria, anche se per un’illogica discriminazione non hanno mai potuto ottenere incarichi apicali, maturando la loro preparazione nel frequentare i seminari di studio che il Consiglio di presidenza e la stessa Associazione Magistrati Tributari hanno organizzato a partire dalla fine degli anni novanta. Uno schiaffo che non meritavano.

Paolo Cento
Sembrano passati anni luce da quando 22 anni fa (Presidenza Sensi) la Asroma e altre società di calcio decisero di entrare nella borsa italiana sull’onda di un entusiasmo tutt’altro che fondato, che spingeva a gestioni finanziarie come obiettivo necessario per far crescere fatturato e risultati tecnici.
Un’idea di calcio fallimentare, che ha portato a bilanci sproporzionati, costi di gestione a salire e che la crisi pandemica prima e ora quella conseguente alla guerra in Ucraina sta svelando in tutti i suoi rischi. 
Voglio tornare sulla necessità di accompagnare la gestione delle società di calcio ormai fatta attraverso capitali e investimenti privati con un nuovo ruolo partecipativo dei tifosi e degli abbonati.
Il cd modello tedesco.
Associazione sportive partecipate dall’adesione dei singoli tifosi e appassionati capaci di affiancare e indirizzare le proprietà di capitali. Un ritorno dello sport e del calcio alle sue radici popolari, una responsabilizzazione dei tifosi sulla necessità di politiche sostenibili sui bilanci, un bilanciamento propositivo di responsabilità verso quegli investitori di capitali sempre meno legati al territorio e provenienti dai grandi business internazionali.
D’altra parte non credo sia casuale che le due competizioni europee per club siano state vinte dall’Eintracht Francoforte (Europa League) e Real Madrid (Champion League) dove addirittura il Presidente è eletto dai tifosi associati. 
Dopo una legge sugli stadi, serve ancora di più ora una legge sulla gestione associativa e non solo di capitali per lo sport professionistico.

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Registrato al Tribunale di Roma il 19/09/2018, n. 155
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