Sono due i dati più rilevanti delle elezioni politiche del 25 settembre. Il primo è il crollo della partecipazione al voto, che ha toccato il minimo storico del 63,9 per cento, 9 punti in meno rispetto a quattro anni fa. Secondo un’indagine Ipsos, il non voto (astensione + schede bianche + schede nulle) è particolarmente accentuato tra le donne, i giovani 18-34enni, chi ha un titolo di studio fino alla licenza media, una condizione sociale bassa, tra i disoccupati e le casalinghe. È una vera e propria frattura sociale che si va allargando, aggravando la crisi della nostra democrazia. Il secondo dato è la vittoria netta e inequivocabile della destra, che non è il frutto di uno sfondamento elettorale – la coalizione guidata da Giorgia Meloni ha ottenuto il 43,8 per cento dei voti, in valore assoluto più o meno quelli delle precedenti elezioni – ma della capacità politica di presentarsi unita, prevalendo in gran parte dei collegi uninominali (121 su 147 alla Camera e 59 su 74 al Senato) e conquistando la maggioranza dei seggi in entrambi i rami del Parlamento. Viceversa, il campo delle forze alternative si è diviso in tre tronconi – la piccola coalizione attorno al PD, il cosiddetto Terzo Polo di Calenda e Renzi e il M5S di Conte – finendo inesorabilmente perdente in quasi tutte le competizioni uninominali. L’Istituto Cattaneo ha realizzato una interessante simulazione: sommando aritmeticamente i voti, un’alleanza tra il centrosinistra, il M5S e il Terzo Polo avrebbe conquistato 92 collegi su 147 alla Camera e 48 su 74 al Senato. In politica uno più uno non fa mai due, ma questi numeri danno l’idea di quanto la frammentazione delle forze alternative alla destra abbia inciso sul risultato finale. Le elezioni hanno cambiato in modo rilevante anche i rapporti di forza tra le singole forze politiche. Nel centrodestra, Fratelli d’Italia ha fatto la parte del leone, quintuplicando i consensi rispetto a quattro anni fa (+5,9 milioni di voti) e svuotando il consenso della Lega (-3,2 milioni) e di Forza Italia (-2,3 milioni). A sinistra, il PD ha ottenuto un risultato deludente (800 mila voti in meno), soffrendo la concorrenza di Azione–Italia Viva (2,2 milioni di voti) e dei Cinque Stelle, che hanno più che dimezzato i voti rispetto alle precedenti politiche (-6,4 milioni) ma sono andati meglio delle aspettative iniziali. Enrico Letta ha annunciato che non si ricandiderà al prossimo congresso e i prossimi mesi saranno segnati – per quanto riguarda la principale forza di opposizione – da un dibattito interno non facile, che si concluderà con l’elezione di una nuova leadership e l’individuazione di un nuovo gruppo dirigente.
La netta vittoria della coalizione di Giorgia Meloni porterà alla formazione del governo più a destra della storia della Repubblica. La Meloni è stata piuttosto prudente in campagna elettorale, evitando di lanciarsi in promesse irrealizzabili e puntando soprattutto a rassicurare i partner europei. Il suo percorso non sarà però facile: la crisi geopolitica ed energetica è estremamente preoccupante e il Paese deve fare i conti con un’economia avviata verso la recessione e i primi segnali negativi sul fronte occupazionale. Se nella prima parte dell’anno il governo Draghi è riuscito a garantire la tenuta del tessuto economico e sociale mettendo in campo interventi per 66 miliardi di euro, i margini di manovra per il nuovo governo saranno decisamente più ristretti. Innescare un contenzioso con l’Unione europea è un errore che la Meloni non può permettersi di commettere ma non è detto che questo non avvenga per effetto di dinamiche squisitamente politiche. Lega e Forza Italia, ridotte ai minimi termini nelle urne, cercheranno di recuperare visibilità e spazio politico a danno di Fratelli d’Italia. E le scelte di politica economica, nell’imminente presentazione della nuova legge di bilancio, saranno il primo, decisivo terreno su cui si misurerà la tenuta e la capacità della nuova maggioranza di rispondere alle preoccupazioni e alle istanze del Paese.