L’interpretazione tra musica e diritto

Normalmente, la gente pensa che non ci siano collegamenti tra diritto e musica anche se il primo fra parte delle scienze umanistiche o dello spirito, la seconda alle discipline artistiche, per eccellenza discipline dello spirito.

Ma non è così: in realtà un collegamento importantissimo è costituito dal concetto (che è anche una precisa categoria giuridica) della interpretazione. È interessante notare che della interpretazione musicale si sono occupati (per limitarsi ad un recente passato) insigni giuristi quali Emilio Betti e Salvatore Pugliatti.

Una solida base di confronto può essere costituita dai tradizionali canoni della interpretazione giuridica (prescritti anche dalle preleggi al codice civile): interpretazione letterale o grammaticale, interpretazione logica o sistematica, interpretazione storico-evolutiva ed infine interpretazione teleologica cioè di scopo.

Bene: tutti questi canoni sono presenti anche nella interpretazione musicale, anche se – probabilmente – con un peso reciproco differente rispetto a quello che hanno nella interpretazione della legge, del provvedimento, della sentenza.

In primo luogo, come nel diritto, è fondamentale una corretta interpretazione letterale o grammaticale: non è un’operazione agevole, al contrario di quanto si pensi.

Infatti, sia il diritto che la musica usano un linguaggio di tipo “prescrittivo” e non “descrittivo”. L’apprendimento del linguaggio giuridico è uno dei principali compiti dell’insegnamento universitario.

Nella musica tale apprendimento è ancora più complesso, perché oltre ad imparare a decifrare le diverse note e la loro collocazione (per esempio) nella tastiera del pianoforte, ci sono i valori di tempo delle stesse (più lunga più breve), la loro articolazione (note legate una all’altra, staccate ecc..).

Ma esiste anche un valore della punteggiatura, che purtroppo sempre più spesso è trascurata anche nella analisi giuridica: fondamentale in questo senso per l’interpretazione musicale sono le pause, cioè i momenti dove lo strumento o alcune voci del medesimo, tacciono.

Qui iniziano le differenze più qualitative che quantitative: infatti anche secondo l’insegnamento della suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite, l’operatore giuridico – se l’interpretazione letterale è chiara ed univoca, non deve spingersi oltre (l’antico brocardo “in claris non fit interpretatio” che in realtà è un paradosso o un ossimoro, perché la prima interpretazione da fare è proprio quella sulla chiarezza ed unicità del testo giuridico): per esempio la parola “interesse” può avere molti significati, l’aggiunta dell’aggettivo “legittimo” (cioè l’interesse legittimo) ne circoscrive già di molto l’ambito del significato.

Orbene, nella musica il primo livello non è chiamato “interpretazione”, ma tuttalpiù “esecuzione”, cioè abilità o capacità di una esecuzione corretta di tutti i segni significativi di uno spartito. È la prima cosa che si impara quando si studia uno strumento, perché oltre ad una lettura mentale corretta dello spartito, occorre acquisire un’abilità “manuale” o “vocale” nel riprodurlo. Gli studi specialistici hanno accertato che per acquisire uno status di abilità “professionale” occorrono almeno 10.000 ore di esercizio tra i 6 e i 18 anni; per acquisire il virtuosismo nel occorrono almeno 20.000.

Il secondo livello quello della interpretazione logico-sistematica -nella musica non è scindibile dal primo; mentre nel diritto rappresenta già una conquista come sanno magistrati, avvocati, notai e pubblici funzionari che hanno dovuto superare un concorso o comunque esami di abilitazione.

Il terzo livello cioè quello storico-evolutivo è il più appassionante per la musica come anche per il diritto, soprattutto per la interpretazione della Costituzione: nella prima vi è stata da quasi 70 anni addirittura una “frattura” tra storicisti e modernisti: tra chi difende gli strumenti originali, i trattati di musica di antiche epoche, e i modernisti che puntano decisamente sulla necessità di seguire l’evoluzione della cultura e del gusto.

Nel diritto ricordo una moda degli anni ’80 del secolo scorso la c.d. “politica del diritto” (in realtà come insegnava Hans Kelsen ogni atto di interpretazione è un atto politico).

Lo sviluppo della riproduzione (vinili, cd, internet) ha costituito da un lato una conquista, dall’altro una perdita del gusto della rappresentazione dal vivo: molti melomani vanno a concerto dopo aver comparato diverse esecuzioni e spesso il risultato di una esecuzione dal vivo non è soddisfacente. Ma l’esecuzione è un’attività (come quella amministrativa); la riproduzione è un documento, che nel caso di YouTube non contiene informazioni e quindi non è “formativo”.

Tuttavia, i metodi della analisi economica hanno contaminato non solo il diritto, ma anche la musica: il concerto è diventato un evento, l’apparenza spettacolare spesso fa premio sulla sostanza. La pubblicità commerciale è fondamentale per il successo.

Incidentalmente, si deve osservare che anche in musica esiste il concetto di “lacuna” noto al diritto soprattutto contemporaneo che si ispira al concetto di complessità (Falzea in Enciclopedia del Diritto) e non di ordine unitario e sistematico (il vecchio concetto di “ordinamento” o “sistema” giuridico). Infatti, fino al 1815 data di invenzione del “Metronomo” (misuratore del tempo), le indicazioni del compositore avevano un carattere del tutto indicativo (che significa Allegro, Presto, Lento?).

Quando gli stessi compositori hanno dato indicazioni metronomiche qualcosa è cambiato. Ma sono norme vincolanti o direttive?

Infine, l’ultimo livello l’interpretazione teleologica o di scopo è un punto di arrivo sia per i giuristi (soprattutto i ricercatori) sia per i musicisti soprattutto professionisti.

Infatti, come scriveva Betti l’interprete deve avere la capacità di interporsi tra uno spirito (magari vissuto tre secoli prima) ed il mondo contemporaneo: in questa operazione si riconosce sia lo stile del giurista che dell’interprete musicale.

A questo punto sembrerebbe chiudersi il cerchio, ma non è così: nuove acquisizioni vengono sia per il diritto che per la musica dalle neuroscienze: cioè come il funzionamento del cervello influenza i concetti giuridici ovvero la comprensione della musica. Se ne scriverà un’altra volta.

una spigolatura: perché piace la musica leggera?

Perché l’orecchio codifica prima gli accordi consonanti le melodie facili, e con maggiore fatica le dissonanze e le melodie complicate!

Si può concludere questa breve nota con un’osservazione di metodo ma anche di contenuto: come scriveva Gerolamo Frescobaldi a margine di una delle sue celebri Toccate per clavicembalo e/o organo “Non senza fatica si giunge al fine”.

Cioè l’apprendimento è fatica, ripetizione, riproduzione, ricerca della perfezione.

Riuscirà l’intelligenza artificiale a risparmiare questo sforzo agli esseri umani?

Per il diritto le prospettive di successo sembrano più realistiche, a prezzo della profonda trasformazione di tutte le professioni legali.

Per la musica sembra più difficile: la creatività non è fungibile, perché in essa la logica è solo uno degli strumenti della interpretazione, fortunatamente convivono con essa ed hanno eguale importanza anche i sentimenti e perfino gli istinti, le passioni.

Eugenio Picozza

professore emerito di diritto amministrativo – Università di Roma Tor Vergata, diplomato in pianoforte

Registrato al Tribunale di Roma il 19/09/2018, n. 155
Direttore: Roberto Serrentino

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