Le drammatiche conseguenze dei cambiamenti climatici, la crescente frequenza ed intensità di eventi catastrofici, i dati preoccupanti a disposizione della comunità scientifica e le criticità che i climatologi devono superare nell’effettuare previsioni sulla dinamica del clima hanno indotto una sempre più urgente spinta alla transizione energetica attraverso il tentativo di sviluppare un modello condiviso a zero emissioni di gas climalteranti. I dati delle emissioni di CO2 sono in progressivo aumento e mostrano l’inevitabile correlazione con l’uso dei combustibili fossili a partire dalla Rivoluzione Industriale e dal brevetto del motore a vapore di James Watt nel 1769. La transizione energetica trova un’ulteriore spinta dal tema della sicurezza e dalla stabilità dei Paesi il cui approvvigionamento energetico è legato all’importazione di risorse energetiche. Anche se i combustibili fossili sono ancora disponibili da qualche parte nel mondo, la dipendenza dagli stessi ha reso vulnerabili le economie e, in alcuni casi, la sopravvivenza dei Paesi dipendenti. Negli ultimi decenni le fonti rinnovabili hanno assunto un ruolo sempre più rilevante nel processo di transizione, con proiezioni che nel 2028 attestano al 40% il loro contributo alla produzione di energia elettrica grazie, in particolare, al solare fotovoltaico e all’eolico (fonte International Energy Agency, IEA). L’impiego delle fonti rinnovabili garantirà nei prossimi decenni un contributo fondamentale alla transizione energetica e alla riduzione delle emissioni climalteranti ma la loro crescente penetrazione continuerà a scontarsi con i forti limiti ancora esistenti, arrivando presumibilmente a una saturazione della loro diffusione. In particolare, i Paesi con maggior consumo di energia devono garantirne una generazione continua e programmabile, soprattutto elettrica. Osservando il caso di un grande Paese industrializzato come l’Italia, i dati riportati nel recente rapporto TERNA “Dati Statistici sull’Energia Elettrica in Italia” del 2022 mostrano che è necessario fornire e assicurare ogni istante dell’anno solare una potenza elettrica minima di 18 GW (giga Watt, un miliardo di Watt), ovvero la potenza equivalente di diciotto centrali termoelettriche di grande taglia che devono essere continuamente in attività 24 ore su 24 al fine di coprire il fabbisogno energetico minimo richiesto da industrie, servizi sanitari ed altre utenze ogni istante di tutti i giorni dell’anno. Ad oggi tale continuità della potenza non può essere garantita dalle sole fonti rinnovabili, per loro natura intermittenti e non programmabili e, di conseguenza, Paesi come l’Italia si trovano nelle condizioni di fare ricorso all’uso dei combustibili fossili, prevalentemente gas metano del quale siamo importatori per oltre il 90% del nostro fabbisogno, stimato in circa 70 miliardi di m3. Paradossalmente, in piena transizione energetica, il nostro Paese si è trovato durante la prima fase del conflitto russo-ucraino nelle condizioni di tornare all’impiego del carbone, riconosciuto come il combustibile a maggior impatto in termini di emissioni climalteranti. All’apice del conflitto bellico russo-ucraino, l’Italia è stata costretta, in totale emergenza, a sottoscrivere accordi internazionali per l’approvvigionamento di gas in grado di sopperire all’improvvisa indisponibilità del quantitativo proveniente dalla Russia e ha dovuto pianificare una strategia di contenimento dei consumi a diversi livelli di criticità che, solo inverni climaticamente favorevoli, ne hanno scongiurato l’applicazione. In realtà, in questa fase, l’intera Comunità Europea ha mostrato un’estrema fragilità dal punto di vista della sicurezza energetica.
Il combinato disposto dei cambiamenti climatici e della nostra fragilità energetica ha reso il nostro Paese particolarmente adatto a ritornare su un percorso che ci ha visti protagonisti nella fase primordiale: l’uso pacifico dell’energia nucleare. Tale percorso, nato e condiviso all’interno della Comunità Europea, è stato interrotto nel nostro Paese dopo l’unico grave incidente della storia dell’energia nucleare, avvenuto a Chernobyl, in Ucraina, il 26 Aprile del 1986. L’evento di Chernobyl ha consolidato un’erronea associazione dal connotato fortemente negativo già esistente tra l’uso dell’energia nucleare e le armi nucleari, errore fortunatamente non commesso nell’ambito della medicina nucleare, anch’essa di grande utilità per terapie e diagnosi. Il più recente incidente di Fukushima, avvenuto l’11 marzo del 2011, ne è una testimonianza. In quella occasione il Giappone è stato colpito da un terremoto di magnitudo 9.0 della scala Richter, il più intenso della storia del Giappone, che ha provocato uno Tsunami che ha inondato gran parte della costa orientale del Paese con onde alte più di 10 metri. Lo Tsunami ha causato devastazioni enormi e, stando ai dati ufficiali, circa 20000 persone sono state uccise o dichiarate disperse. L’incidente nucleare causato dallo tsunami è stato classificato al più alto livello 7 della scala internazionale degli incidenti nucleari a causa dell’elevato rilascio di radioattività, ma gli eventi dei giorni successivi e studi scientifici a distanza di più di dieci anni hanno evidenziato che l’incidente, nonostante la sua gravità, non ha comportato impatti diretti significativi, comunque non paragonabili per gravità a quelli dovuti all’evento sismico (il quarto per intensità della storia mondiale) e al conseguente Tsunami. L’eredità principale dell’incidente nucleare presso le centrali di Fukushima Daiichi della Tokyo Electric Power Company (TEPCO) consiste nella bonifica delle aree colpite nella prefettura di Fukushima e nelle prefetture vicine e nella successiva ricostruzione del tessuto sociale ed economico. Tuttavia, il ricordo del tragico evento sismico in Giappone e delle sue conseguenze viene comunemente associato alla paura di incidenti dovuti al funzionamento delle centrali nucleari.
Nel frattempo sono stati messi da parte i considerevoli vantaggi dell’uso dell’energia nucleare. L’energia nucleare è caratterizzata da una elevata “densità energetica”, ovvero esiste un enorme divario di energia prodotta per unità di massa tra il combustibile nucleare e i combustibili fossili, questi ultimi milioni di volte meno energetici. La produzione di energia nucleare prevede il quasi totale azzeramento delle emissioni di gas climalteranti, queste ultime ricondotte esclusivamente all’impronta di carbonio dovuta ai materiali necessari alla costruzione di una centrale nucleare, quali essenzialmente cemento ed acciaio (alcuni studi riportano un fattore di emissione 400 volte più grande fra le centrali termoelettriche tradizionali e quelle nucleari per unità di energia generata). L’energia nucleare garantisce una produzione continua di energia programmabile in un contesto di maggiore sicurezza energetica e di ampia disponibilità dell’Uranio, che rappresenta il “combustibile” delle centrali a fissione nucleare. Infatti, sulla base delle attuali conoscenze, tale disponibilità è decisamente superiore al migliaio di anni se si considerano le sole estrazioni minerarie, escludendo così l’enorme disponibilità di Uranio negli oceani.
Recentemente il dibattito sul nucleare ha ritrovato questi elementi estremamente positivi a suo favore anche sulla spinta di quello che la stragrande maggioranza dei paesi industrializzati sta programmando per un futuro sicuro e sostenibile. La ricerca e la sua applicazione hanno, infatti, consentito di aumentare notevolmente la sicurezza degli impianti e la loro efficienza in termini di utilizzo del combustibile, con una minore quantità di produzione di rifiuti radioattivi. La nuova tecnologia già implementata con la terza generazione garantisce standard di sicurezza che evitano eventi incidentali disastrosi lasciando agli utilizzatori i numerosi vantaggi legati all’impiego dell’energia nucleare.
Per quanto riguarda i rifiuti nucleari è necessario sottolineare che il volume degli stessi è relativamente piccolo. Ad esempio, una centrale nucleare da 1 GW di potenza produce circa 80 m3 di rifiuti radioattivi ogni anno ed oltre il 90% di questi è a bassa attività. Il tema dei rifiuti nucleari è stato da sempre sopravvalutato, trattandosi di rifiuti che hanno un’attività che si scandisce per tempi molto lunghi ma con una volumetria molto bassa e quindi gestibile attraverso le tecniche di radioprotezione in siti progettati secondo standard internazionali. La tecnologia nucleare attualmente in uso è caratterizzata da più livelli di sicurezza attraverso l’implementazione di barriere attive e passive e garantisce che la popolazione non venga esposta ad eventi incidentali. Inoltre, i temi della sicurezza e della gestione dei rifiuti sono da sempre al centro di intensa attività di ricerca. Nel corso dei decenni sono stati raggiunti significativi risultati sia in termini di riduzione della pericolosità che nella gestione dei rifiuti. Non dimentichiamo che tra i rifiuti nucleari rientrano, seppur con connotati diversi, anche i rifiuti delle terapie, diagnostiche mediche e quelli derivanti da attività industriali sui quali l’attenzione è quasi del tutto assente.
Tipicamente l’energia nucleare viene ricondotta al solo processo di fissione, ovvero di scissione di atomi pesanti in due frammenti con rilascio di un enorme quantitativo energetico. Nelle centrali nucleari a fissione la tecnologia, sviluppata ormai da decenni, garantisce la possibilità di sostenere il processo di generazione di energia in maniera continua e controllata nel tempo. L’associazione tra energia nucleare e fissione è legata quindi all’unica forma di energia nucleare che ha trovato applicazione ormai da più di 80 anni, ovvero da quando, nel dicembre del 1942, nei laboratori dell’Università di Chicago, anche grazie al fondamentale contributo dello scienziato italiano Enrico Fermi, fu dimostrata la possibilità tecnica di generare in continuo ed in maniera controllata energia da fissione. In realtà enormi sforzi sono in corso da anni attraverso il finanziamento di progetti di cooperazione internazionale e iniziative private con l’obiettivo di trovare applicazione al principio di fusione nucleare, processo fisico nel quale due nuclei leggeri, isotopi dell’idrogeno, sono posti nelle condizioni di potersi fondere e rilasciare anche in tal caso enormi quantitativi di energia, per unità di massa superiori a quelli che si ottengono dalla fissione. Questo fenomeno, noto ormai da secoli e del quale beneficiamo ogni istante grazie all’energia rilasciata attraverso i processi di fusione nucleare che avvengono nel nostro Sole, è oggetto di studi e di ricerca con l’obiettivo di poter giungere alla realizzazione di impianti nucleari a fusione che possano garantire la continuità di erogazione di energia e la sua totale controllabilità. Riceviamo con cadenza quasi giornaliera aggiornamenti da centri di ricerca internazionali e iniziative private sui guadagni energetici e sui tempi di produzione di energia da fusione in sistemi la cui principale complessità è sostanzialmente legata al confinamento del combustibile nucleare in ambienti in condizioni estreme. Il nostro Sole genera in continuo energia attraverso la fusione nucleare, avendo trovato una quasi stazionarietà delle condizioni alle quali i processi di fusione nucleare devono avvenire. Secondo alcune stime, il Sole terminerà la sua vita tra meno di dieci miliardi di anni allorquando, con l’esaurimento progressivo del combustibile, queste condizioni non saranno più rispettate. L’energia da fusione nucleare è certamente l’energia del futuro, in grado di garantire energia priva di emissioni di gas climalteranti, in enormi quantità e con un combustibile, isotopo dell’idrogeno, che può definirsi inesauribile perché estraibile da acqua di mare. La fusione nucleare presenta l’ulteriore vantaggio di produrre rifiuti nucleari molto meno pericolosi e molto più facilmente gestibili e la sua applicazione rappresenta la soluzione del problema energetico mondiale e la speranza dell’umanità.
Ad oggi l’uso dell’energia nucleare rimane confinato ai processi di fissione e tutte le centrali nucleari in funzione nel mondo, più di 400, si basano su questo principio. Alcuni paesi hanno dato un peso diverso al nucleare nel loro mix energetico con contributi che oscillano tra l’80% di energia elettrica prodotta da nucleare in Francia al 35% della Finlandia e a circa il 20% degli Stati Uniti d’America. Se in Italia volessimo sostituire la generazione di energia elettrica con l’energia nucleare non dovremmo andare sotto la soglia del 20-25% della potenza di picco necessaria a garantire l’approvvigionamento energetico, raggiungendo una capacità di circa 20 GW, ovvero l’equivalente di 20 centrali nucleari di taglia medio grande. La sfida è molto ambiziosa, ma una penetrazione del nucleare con numeri più piccoli ci lascerebbe ancorati ai combustibili fossili in un mix energetico che beneficerebbe parzialmente dei vantaggi dell’energia nucleare. Ad esempio, la proposta di fare ricorso ai cosiddetti piccoli reattori nucleari modulari (SMR) di taglia pari a 0.3 GW richiederebbe l’installazione di qualche centinaio di questi impianti per poter avere una penetrazione del nucleare pari alla soglia del 20%. Questi reattori di piccola taglia presentano numerosi vantaggi e ben si adattano a contesti di comparti industriali e in contesti isolati con difficoltà di generazione e trasporto di energia. La piccola taglia apporta benefici in termini di costi di costruzione di gestione e di controllo e non richiede disponibilità di corsi di fiumi per poter chiudere il ciclo termodinamico. Rappresentano certamente una soluzione interessante che tuttavia non risolve del tutto il problema a monte, ovvero la decarbonizzazione del sistema energetico, che richiede invece uno sforzo ulteriore nella direzione dei reattori nucleari di grande taglia di quarta generazione, che presentano numerosi vantaggi tra i quali i costi di realizzazione ridotti, una maggiore sicurezza, una minore produzione di scorie nucleari e ulteriore riduzione del rischio di proliferazione di materiali bellici.
Per la loro diffusione è necessario innanzitutto che la politica, in un contesto di piena ed indispensabile cooperazione internazionale, assuma la piena responsabilità di gestire i conflitti tra valori e interessi e di praticare scelte anche impopolari ma necessarie, riappropriandosi quindi del suo ruolo di individuare scelte strategiche per garantire il nostro futuro anche grazie al supporto delle competenze tecnico-scientifiche. In questo contesto è certamente utile avviare anche un percorso di sensibilizzazione e di cambiamento culturale. Il connotato negativo che caratterizza la produzione di energia nucleare è troppo sedimentato per poter sperare che la nostra comunità possa improvvisamente rendersi disponibile ad accettare questa forma di energia. È necessario quindi assumersi la responsabilità di scelte anche impopolari e allo stesso tempo spiegare che le problematiche legate agli eventi incidentali e la gestione delle scorie radioattive sono questioni che possono essere superate e gestite. È necessario garantire che la tecnologia da adottare sarà la migliore a disposizione e che la gestione dei rifiuti sarà programmata per garantire il massimo livello della sicurezza per i lavoratori e per il pubblico.
Non bisogna dimenticare che in un contesto di transizione energetica esiste un’inerzia di alcuni anni tra le scelte e la loro definitiva attuazione e di almeno alcuni decenni per poter sperare in effetti positivi mentre, nel frattempo, le problematiche legate ai cambiamenti climatici e alla sicurezza energetica potranno subire evoluzioni con dinamiche imprevedibili e non controllabili. Garantendo la migliore tecnologia a disposizione e una gestione oculata e competente, l’energia nucleare da fissione, in attesa della tanto desiderata fusione nucleare, dovrebbe quindi essere valutata come un’importante protagonista della lotta ai cambiamenti climatici, fornendo altresì i benefeci di un approvvigionamento energetico sicuro e ponendo con più forza il nostro Paese tra gli interlocutori più importanti a livello internazionale.