A distanza di quasi un anno dall’entrata in vigore del nuovo Codice degli Appalti Pubblici (CAP) ad opera del D.lgs. 36/2023, è possibile tracciare un primo bilancio provvisorio del nuovo impianto normativo a presidio della contrattualistica pubblica evidenziandone, sinteticamente, i punti di forza e quelli di debolezza dal particolare osservatorio dei giuristi di impresa, cui mi pregio di appartenere. I c.d. legali in-house che si occupano di appalti pubblici, infatti, rappresentano uno degli stakeholders più affidabili per poter testare pregi e difetti di un nuovo assetto legislativo del settore, stanti gli effetti che esso produce sulle strategie aziendali, sulla gestione dei rischi contrattuali e sulle policy interne, che presiedono i controlli sui comportamenti di coloro che operano all’interno dell’organizzazione imprenditoriale.
Come altri illustri colleghi hanno già avuto modo di sottolineare, è chiaro il cambio di passo che il Legislatore ha inteso attribuire al sistema degli appalti pubblici quale leva fondamentale per la ripresa dell’economia, per il rilancio degli investimenti e per l’attuazione del PNRR, ed è in tale contesto che – in attuazione della Legge Delega n. 78/2022, volta a recepire in modo sistematico nell’ordinamento domestico le direttive europee del 2014 – si innesta un nuovo plesso normativo incentrato sui driver del “risultato”, della “fiducia” e dell’“accesso al mercato” nell’aggiudicazione dei contratti pubblici, come peraltro sancito in apertura del nuovo Codice Appalti dall’art. 1 del D.lgs. 36/2023 che, al primo comma, afferma come la Pubblica Amministrazione sia tenuta a “perseguire il risultato dell’affidamento del contratto e della sua esecuzione con la massima tempestività e il miglior rapporto possibile tra qualità e prezzo, nel rispetto dei principi di legalità, trasparenza e concorrenza”. Alla norma di apertura fanno seguito i primi dodici articoli del Libro I, che il Legislatore ha voluto nondimeno dedicare ai nuovi principî ispiratori del sistema degli appalti pubblici tra i quali, oltre a quelli sopra sopramenzionati, si annoverano il principio di buona fede e di tutela dell’affidamento, di solidarietà e sussidiarietà orizzontale, di auto-organizzazione amministrativa, di autonomia contrattuale, di conservazione dell’equilibrio contrattuale, di tassatività delle cause di esclusione e, da ultimo, di applicazione dei contratti collettivi nazionali di settore a tutela del lavoro dipendente. Invero, in un’ottica di decisa inversione di tendenza rispetto al previgente D.lgs. 50/2016, si tratta di un set di criteri deontologici che aiutano la lettura e la corretta interpretazione delle singole norme fornendo un generale quadro di riferimento razionale.
Passando sinteticamente in rassegna le principali novità introdotte dal nuovo arresto normativo, non possiamo non iniziare ad evidenziare quelli che a mio avviso appaiono gli elementi di maggior pregio.
Innanzitutto, risulta chiara la preoccupazione del Legislatore nel garantire una maggiore trasparenza e chiarezza nelle procedure di gara che permetta agli imprenditori di competere su un terreno più equo ed accessibile e che favorisca un leale confronto competitivo (c.d. principio del favor partecipationis), anche in un’ottica di prevenzione e contrasto di fenomeni potenzialmente opachi, con l’auspicio di aver finalmente messo a tacere le numerose critiche mosse all’Italia dagli organismi comunitari che – nonostante il c.d. Pacchetto Direttive Ue del 2014 improntato soprattutto ad assicurare un’ampia partecipazione alle gare pubbliche – hanno a più riprese censurato (i) le ingiustificate restrizioni dell’Italia all’accesso al public procurement in violazione delle fondamentali libertà di stabilimento, di circolazione (complessivamente intesa) e di par conditio competitorum, (ii) le lacune nella trasparenza e nell’equità delle procedure di selezione e, infine, (iii) la burocratizzazione e farraginosità delle procedure di appalto pubblico che hanno spesso rappresentato un deterrente alla partecipazione di imprese comunitarie.
Milita certamente nella logica del suddetto favor partecipationis l’introduzione, nel nuovo Codice Appalti, dell’avvalimento c.d. premiale, ossia quella forma di supporto esterno all’operatore economico ausiliato che non utilizza l’istituto per procurarsi i requisiti necessari alla partecipazione alla gara come avveniva invece sotto il precedente D.lgs. 50/2016, bensì per ottenere mezzi e risorse in grado di assicurare un maggior punteggio alla propria offerta, con la conseguenza (auspicata) che in questo modo possa verosimilmente estendersi la platea degli operatori che possano partecipare alla gara medesima.
Parimenti, sempre nella direzione di favorire un accesso agli appalti pubblici ad un numero sempre crescente di operatori economici, si pongono le modifiche all’istituto delle concessioni ispirate ai principi dettati dalla Direttiva 2014/23/UE, prima tra tutte il divieto di prorogare i contratti concessori già assentiti e una maggiore libertà al concedente e al concessionario nel normare i rapporti di concessione purché nei limiti dei vincoli già imposti dal legislatore europeo, il tutto con l’obiettivo di ampliare il mercato degli affidamenti a imprese, anche straniere, che non necessariamente si identifichino con i concessionari esistenti. Analogamente, sempre in materia concessoria, è apprezzabile l’accezione “qualitativa” – e non soltanto strettamente quantitativa come nel Codice Appalti previgente – attribuita al requisito della traslazione del rischio operativo sul soggetto privato, da una parte eliminando il limite del 49% del contributo pubblico ai fini del raggiungimento e del mantenimento dell’equilibrio economico-finanziario dell’iniziativa project e, dall’altra, inserendo un diretto riferimento ai contenuti delle decisioni Eurostat in tema di prestiti soggetti a restituzione e contributi a fondo perduto cosicché – al di là di quanto previsto tra concedente e concessionario nella stipula del rapporto concessorio – sarà il grado di allocazione dei rischi tipizzati dal legislatore a carico del concessionario a qualificare o meno off-balance l’operazione di project finance.
Naturalmente non mancano, soprattutto in questa fase iniziale, le zone d’ombra legate alle sfide interpretative con cui aziende e professionisti debbono misurarsi nella comprensione e applicazione delle nuove regole, con inevitabile rischio di controversie e ritardi nel processo di gestione dell’appalto pubblico.
La prima zona d’ombra segnalata da alcuni addetti i lavori è l’accusa rivolta al Legislatore di aver collocato la concorrenza in una posizione subalterna (rectius, funzionale) al risultato. La circostanza che al comma 1° dell’art. 1 del D.lgs. 36/2023 secondo cui, come visto in precedenza, la Pubblica Amministrazione debba “perseguire il risultato dell’affidamento del contratto e della sua esecuzione con la massima tempestività e il miglior rapporto possibile tra qualità e prezzo, nel rispetto dei principi di legalità, trasparenza e concorrenza” segua, subito dopo, il comma 2° che afferma come “La concorrenza tra gli operatori economici è funzionale a conseguire il miglior risultato possibile nell’affidare ed eseguire i contratti […]”, esprimerebbe un chiaro intento di voler depotenziare il principio della concorrenza che, da obiettivo primario da perseguire, diviene invece un elemento strumentale alla massimizzazione del risultato dell’appalto pubblico. Mi permetto comunque di osservare al riguardo che, tra le molteplici perplessità sollevate dal nuovo Codice Appalti, quella di una disattenzione del Legislatore alla salvaguardia e promozione del massimo accesso alla contrattazione con la Pubblica Amministrazione sia l’ultimo dei rimproveri che si possa muovere, anche alla luce dei plurimi elementi di pregio che – come osservato in precedenza – il nuovo plesso normativo ha portato proprio sul rafforzamento del favor partecipationis.
Un reale punto di attenzione, invece, merita invece il subappalto a cascata che, pur rispondendo ad esigenze di adeguamento della normativa italiana a quella europea, presta il fianco ad un pericoloso rischio di diluizione della responsabilità. Se da una parte appare corretto lasciare all’appaltatore aggiudicatario un ampio margine di manovra nell’organizzazione delle proprie attività nell’espletamento della commessa pubblica, dall’altra la soppressione del limite alla quota di prestazioni subappaltabili rischia sia di rendere difficile il controllo lungo tutta la filiera di approvvigionamento sia, nondimeno, di complicare la gestione del rischio e aumentare le complessità nell’individuazione delle responsabilità in caso di problemi o ritardi nell’esecuzione del contratto.
Analoghe perplessità sorgono in ordine alle procedure ad evidenza pubblicadove il Legislatore avrebbe potuto osare qualcosa in più in termini di semplificazione nell’accesso al mondo degli appalti. Nonostante le significative modifiche apportate dal nuovo Codice al processo di aggiudicazione di un contratto con la Pubblica Amministrazione, sia con riguardo alle modalità di gara che alla fase post aggiudicazione, il quadro di dette procedure è infatti rimasto sostanzialmente invariato, prevedendo tuttora le cinque procedure consolidate e mantenendo la netta cesura tra procedure ordinarie e quelle straordinarie.
Un ulteriore elemento di riflessione riguarda i requisiti di partecipazione, tuttora permeati da formule complesse se non talvolta addirittura ambigue che, a ben vedere, si pongono in contraddizione con il principio fondamentale del più volte richiamato favor partecipationis. Quest’ultimo, a ben vedere, significa non solo tassatività delle clausole di esclusione dalla gara ma, anche, identificazione di requisiti partecipativi chiari, precisi ed univoci in conformità alla normativa. Sarà quindi importante poter constatare se i bandi di gara che verranno via via emessi sotto l’egida del nuovo Codice verranno strutturati in modo da consentire la massima accessibilità alle imprese, inclusa la previsione di forme giuridiche di cooperazione fra operatori economici che possano assicurare l’accesso alla gara pubblica anche a quelle aziende che da sole non avrebbero i requisiti tecnico-professionali o economici per parteciparvi.
Infine, non possono non spendersi alcune parole sull’e-procurement quale strumento volto a consentire un’efficace tempestività negli approvvigionamenti da parte della Pubblica Amministrazione e una maggiore trasparenza nelle procedure di appalto grazie all’accesso online a tutte le informazioni relative alle gare di appalto, inclusi bandi, documenti e risultati della selezione. L’iniziativa, in un mondo sempre più digitalizzato, è certamente meritevole di apprezzamento ma è necessario uno sforzo significativo da parte dello Stato, anche in termini di investimenti, affinché l’e-procurement possa davvero portare ad una proficua efficienza nella gestione degli appalti pubblici e nell’approvvigionamento da parte della Pubblica Amministrazione, garantendo una reale interoperabilità delle piattaforme e dei sistemi della Pubblica Amministrazione, al pari della banca dati nazionale dei contratti pubblici e del fascicolo virtuale dell’operatore economico, al momento non ancora completata. Per concludere, posso confermare che dall’osservatorio del giurista di impresa che quotidianamente si trova alle prese con la partecipazione agli appalti pubblici, la nuova regolamentazione degli appalti pubblici contenuta nel D.lgs. 36/2023 marca certamente, dopo oltre un trentennio, un passo in avanti, con carattere se non di definitività quantomeno di stabilità, nella gestione dei rapporti economici tra privato e Pubblica Amministrazione dove la trasparenza, l’efficienza e la competenza sembrano dover essere gli elementi che guidino le scelte dello Stato nell’affidamento delle gare pubbliche, con la speranza che faccia breccia una nuova governance che valorizzi efficacemente gli interessi pubblici e privati, a tutela e nell’interesse del sistema Paese.