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Non bisogna avere timore dell’autonomia differenziata, occorre solo riscrivere la legge. È evidente che così non va bene. È evidente che se non si creano le condizioni per dare le stesse prestazioni e gli stessi servizi con la stessa qualità e quantità a tutti i cittadini, non solo non si attua la Costituzione, laddove è scritto che “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini impediscono il pieno sviluppo della persona umana e la piena partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica economica e sociale del paese” per il raggiungimento della parità tra tutti i cittadini, ma addirittura si creano nuovi ostacoli, e la parità così resterà solo un sogno irrealizzabile. Se a Palermo solo 12 bambini su 100 hanno la possibilità di frequentare un asilo nido, mentre a Milano questa possibilità l’hanno in più di 80 e se a Milano un’auto ambulanza arriva alla richiesta di un infartuato in sette minuti e lo salva e a Sutera, in provincia di Caltanissetta, arriva dopo quaranta minuti e lo trova morto, dove è la parità delle prestazioni? E se non c’è la possibilità, in ogni zona del Paese, di prendere i bambini a scuola nel pomeriggio, dopo che hanno usufruito anche della mensa sgravando le famiglie di un pesante onere e, allo stesso tempo, dando la possibilità ad uno dei genitori di andare a lavorare senza la preoccupazione di dover lasciare i figli a casa incustoditi, quale parità avremo raggiunto? E, quindi, ha fatto bene la Corte Costituzionale a emettere quella sentenza. Ma non basta, bisogna riscrivere la legge, con una previsione graduale di parificazione dei livelli delle prestazioni e dei servizi, senza i quali, non vi è possibilità di realizzazione dell’autonomia differenziata. Ma c’è dell’altro. Molte norme comprese nei cinque Statuti Speciali, già esistenti, con autonomie differenziate, in Sicilia, Sardegna, Val d’Aosta, Trentino Alto Adige e Friuli non sono state realizzate. In Sicilia, in particolare, le norme finanziarie degli articoli 36, 37, 38, che se pienamente attuate, porterebbero risorse sufficienti per la crescita non solo delle infrastrutture e dei servizi essenziali, ma soprattutto sviluppo e occupazione per far camminare la Regione sulle proprie gambe verso il proprio futuro, sono ancora oggetto di trattative con lo Stato. C’è da chiedersi il perché. Una delle ragioni più plausibili potrebbe essere la compatibilità finanziaria. E se così fosse, come è molto probabile, come si potrebbero realizzare altre autonomie differenziate? Forse non è abbastanza chiaro che il cosiddetto “residuo fiscale” non può essere riutilizzato nella stessa regione dove è stato prodotto. Perché nel nostro ordinamento costituzionale vige il principio della progressività della tassazione dei redditi ed è quindi obbligatorio redistribuirlo, secondo il principio di solidarietà, a tutti i cittadini. Ed infatti non si ha diritto ad una assistenza o ad un servizio migliore, se si è pagato più tasse, di un poveraccio che sopravvive con un reddito al di sotto del limite di povertà.
E forse non è altrettanto chiaro che il cosiddetto principio della “spesa storica” non è minimamente accettabile. Secondo questi architetti se, ad esempio, si fa riferimento a due realtà paragonabili come le due Reggio, una di Calabria e l’altra dell’Emilia, con un quasi identico numero di abitanti, si può facilmente riscontrare come nella prima ci siano solo tre asili nido e nella seconda sessantasei. E quindi sarebbe più che logico dedurne che per realizzare la “parità delle prestazioni” bisognerebbe realizzare a Reggio Calabria almeno altri sessantatré asili nido. E, invece, ci credereste? No, secondo gli attuali un po’ egoisti artefici dell’Autonomia differenziata, se sino ad ora sono andati avanti con tre, vuol dire che va bene così, prevedendo la stessa spesa “storica”, appunto.
E che dire sui cosiddetti “costi standard“? Proviamo a fare due conti: proviamo ad esempio a valutare un’apparecchiatura per effettuare una dialisi in due località diverse, proviamo con Milano e Lampedusa. Pensiamo a mettere insieme i dati relativi alla produzione, manutenzione, assistenza e trasporto con la previsione di un ipotetico numero di utilizzatori. Facile no? Quale sarebbe il costo giusto? Facciamo una media? O stabiliamo due o trecento costi diversi sui diversi luoghi dove sarà utilizzata la macchina? E il costo standard lo abbiamo già dimenticato? Non è facile se questi problemi vengono affrontati con superficialità e non sufficiente competenza.
C’è molto da fare e occorre veramente una grande capacità di analisi e una grande competenza e ci vogliono tempi adeguati e risorse sufficienti. Ed è necessario soprattutto intraprendere un percorso di sviluppo che veda ogni Regione crescere utilizzando appieno le proprie risorse e le proprie potenzialità. Riusciranno i nostri “politici” ad avere una visione per il futuro del nostro Paese e la forza e la costanza necessarie per realizzarla? Abbiamo il dovere di sperare e sorvegliare perché questo avvenga.