Come ogni Governo che si rispetti anche quello in carica ha deciso di mettere finalmente mano alla più importante e rivoluzionaria riforma della Giustizia penale.
L’attuale Ministro della Giustizia, ex Procuratore aggiunto della Repubblica, insieme alla Presidente del Consiglio, si è prodigato nella predisposizione di un testo di disegno di legge costituzionale.
Il d.d.l. è stato presentato nel mese di maggio del corrente anno e consta di otto articoli.
In poche righe vengono modificate alcune delle norme della Carta Costituzionale in materia di ordinamento giudiziario e di governo autonomo della magistratura.
La cosa che balza da subito agli occhi e all’intelligenza del lettore che abbia studiato diritto è la volontà politica di trasformare l’assetto costituzionale della Magistratura.
La direzione intrapresa è quella di un Pubblico Ministero definitivamente separato dal giudice, con la previsione di una carriera “distinta” dal magistrato decidente con autonomo e separato Consiglio Superiore della Magistratura (inquirente) diverso da quello del (futuro) ex collega.
Il principio in astratto perseguito dal Legislatore sarebbe quello di dare finalmente attuazione al principio del giusto processo e alla diversità delle funzioni che nel giudizio accusatorio spettano alle parti, compresa quella pubblica, rispetto a chi è chiamato ad emettere il provvedimento finale.
L’assunto dal quale muove la riforma è il presunto condizionamento che il giudice penale subirebbe, nel prendere una decisione, dal rapporto di colleganza intrattenuto con una delle parti del processo penale. Dimenticando, però, che il numero statistico di assoluzioni in primo grado in Italia è già oggi pari a quasi il 50% e che l’imparzialità del giudice è una sua caratteristica strutturale, fornita di strumenti per garantirla (con rimedi processuali come l’incompatibilità, l’astensione, la ricusazione, la rimessione del processo). Non esistono, inoltre, attualmente forme di controllo del Pubblico ministero sulla carriera del giudice che siede di fronte a lui, tali da poterne influenzare la carriera o procurare altro genere di vantaggi o svantaggi.
Si dimentica, inoltre, che la carriera unica (e la c.d. comune “cultura della giurisdizione”), che fonda l’attuale ordinamento giudiziario in Italia, aveva, nella ideazione dei Padri Costituenti, tanti vantaggi: quello di rendere il Pubblico Ministero persecutore, all’interno del processo penale, di un interesse pubblico, per quanto di parte; di essere (ancora) soggetto soltanto alla legge; di essere totalmente autonomo e indipendente da ogni altro Potere, sia sotto il profilo esterno che interno; di rispondere delle proprie funzioni (sotto ogni profilo: penale, civile , amministrativo contabile, disciplinare) come un pubblico ufficiale; di essere tenuto a perseguire tutti i reati in modo obbligatorio alla ricerca della verità storica in modo completo e oggettivo e nei precisi limiti indicati dalla legge a pena di invalidità degli atti, così da rendere tangibile il principio di uguaglianza di tutte le persone davanti alla legge; di venire nominato a seguito di selezione per concorso.
Nel corso di questi ultimi diciotto anni, purtroppo, e in particolare a far data dalla entrata in vigore della riforma c.d. Mastella–Castelli (2006), l’avvenuta gerarchizzazione delle Procure e la concentrazione del potere di esercizio dell’azione penale in capo soltanto al Procuratore capo hanno già trasformato completamente l’assetto del potere giudiziario inquirente nel nostro Paese.
È stato di fatto annientato il principio del “potere diffuso” inquirente in capo ad ogni singolo Pubblico Ministero, declinazione del principio di obbligatorietà dell’azione penale e dell’indipendenza di ogni sostituto procuratore.
È stato inferto un colpo letale all’autonomia organizzativa e valutativa del singolo magistrato inquirente, facendo strame del principio costituzionale della diversità del magistrato soltanto per le funzioni svolte (art. 107, comma 3, Cost.), verticalizzando gli uffici di ogni Procura con le figure di un capo e dei suoi sostituti che obbediscono al dirigente. Se a ciò si aggiungono il criterio “politico” invalso nella scelta dei Procuratori capo all’interno del Consiglio Superiore della Magistratura (fondato più sulle appartenenze correntizie/partitiche dei candidati che sul merito), plasticamente smascherato in un noto best seller di un ex componente togato del Consiglio ed ex presidente ANM caduto in disgrazia a seguito dello scandalo dell’hotel Champagne nel 2019, e l’incremento delle ipotesi di illeciti disciplinari per violazione o delle direttive impartite dai capi della Procura e per eventuali riforme dei propri provvedimenti da parte del giudice dei gradi superiori, si ha contezza dell’attuale stato di dipendenza del P. M.
Ci si è diretti verso la figura di un Pubblico Ministero timido e burocrate, maggiormente incline ad assecondare i desiderata del proprio capo e le interpretazioni giurisprudenziali del giudice del secondo grado e di legittimità, in una ottica di massimo conformismo giudiziario, ai limiti della subalternità.
Tornando alla riforma in pentola, interessa in questa sede evidenziare un dato: come le altre riforme epocali della Giustizia succedutesi negli ultimi lustri, il presupposto della riforma è che il male della Giustizia non si annidi nei problemi oggettivi di organizzazione del servizio, di carenza di mezzi umani e materiali, di pan-penalizzazione dei comportamenti criminosi, di carichi inesigibili di lavoro (a quelli si è pensato di ovviare con i soldi del PNRR e con gli obiettivi che tutti gli uffici giudiziari hanno in predicato di portare a compimento entro il 2026!), ma nei pubblici vizi del personale che amministra giustizia.
Il presupposto, cioè, è quello che soltanto rendendo il magistrato giudicante separato da quello requirente e soltanto sottoponendo tutti i magistrati ad un giudice disciplinare speciale, la giustizia penale potrà funzionare nel modo necessario e sufficiente a garantire obbligatorietà e uguaglianza.
Al contrario di quanto declamato, i più accorti studiosi della riforma vedono, nel percorso intrapreso da questo Governo, il punto di arrivo del progetto della P2 di Licio Gelli, che voleva un Pubblico Ministero separato dal giudicante in modo da poterlo asservire agli altri due poteri dello Stato.
L’ufficio requirente è destinato così a divenire un avvocato della Polizia (o un superpoliziotto), longa manus, nel giudiziario, del potente politico di turno.
Secondo punto del d.d.l. costituzionale, funzionale alla separazione delle carriere, è la duplicazione del Consiglio Superiore della Magistratura. Per entrambe le funzioni (inquirente e giudicante) vi sarebbe un organo di governo autonomo della magistratura. Al fine di debellare l’occupazione correntizia del Consiglio, il legislatore, verosimilmente per indispettire le protagoniste dell’associazionismo giudiziario di questi ultimi decenni, ha previsto un metodo di selezione della componente togata per sorteggio.
Proprio quest’ultima appare, ad avviso di chi scrive (ma anche a detta di migliaia di magistrati associati all’ANM) l’unica felice e valida opzione culturale e politica della riforma, capace di sradicare dall’autogoverno la cancrena delle lottizzazioni e delle scelte dei dirigenti – compresi quelli inquirenti- maturate per appartenenza prima che per merito.
Il terzo punto fondamentale della riforma costituzionale della giustizia penale è quello del giudice disciplinare. L’istituzione di un’Alta corte soppianterebbe la sezione disciplinare del CSM. Peccato che da un “giudice” speciale si passerebbe ad altro giudice ancor più speciale e in contrasto con i principi di indipendenza interna ed esterna e di autodichia disciplinare, atteso che la designazione dell’organo deputato a vagliare le incolpazioni disciplinari (in particolare la nomina dei giudici disciplinari, quanto ai togati, soltanto tra magistrati di legittimità) incrementerebbe le forme di rinuncia all’indipendenza interna e introdurrebbe forme di gerarchizzazione anche tra i giudicanti. Marcando, altresì la distanza tra alta e bassa magistratura.
La sensazione finale è quella di un progetto punitivo e ritorsivo nei confronti della magistratura tutta, volto più che a inverare il principio del “giusto processo”, a intimidire e soggiogare il terzo potere dello Stato a quello degli altri due, nonché agli organi di controllo e di governo interno dell’Ordine giudiziario.
Sarebbe davvero una riforma epocale della Giustizia, ove concretizzata, in quanto definitivamente esiziale per l’autonomia ed indipendenza della Magistratura.
Se è questo il fine che si vuole perseguire, con il disegno di legge costituzionale si raggiungerà certamente l’obiettivo.