Il 28 ottobre 2024, le Commissioni riunite Giustizia e Finanze della Camera dei deputati hanno approvato un emendamento al decreto-legge 16 settembre 2024, n. 131, noto come emendamento “Salva-circoli” con l’obiettivo di tutelare il ruolo fondamentale delle associazioni e società sportive dilettantistiche (ASD e SSD) e degli enti del Terzo settore nel contesto delle concessioni demaniali.
In particolare, il provvedimento da un lato proroga fino al 30 settembre 2027 le concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali utilizzate per attività turistico-ricreative e sportive. Dall’altro, introduce una deroga alla Direttiva Bolkestein (Direttiva 2006/123/CE), escludendo le attività sportive dilettantistiche dalla nozione di “servizio” ai fini dell’applicazione dell’obbligo di bando pubblico per l’assegnazione delle concessioni. Questa esclusione si applica alle attività gestite da federazioni sportive, discipline associate, enti di promozione sportiva e, soprattutto, dalle ASD e SSD iscritte al Registro nazionale delle attività sportive dilettantistiche (RASD), a condizione che perseguano finalità sociali, ricreative e di promozione del benessere psicofisico. Il citato decreto-legge, noto come “Legge salva infrazioni”, è stato convertito in legge il 14 novembre 2024.
Sembra dunque chiudersi una tematica di grande importanza per il nostro paese.
Volendo ripercorrere sinteticamente il tortuoso percorso che ha portato a questo risultato, occorre rammentare come la Direttiva Bolkestein è una normativa dell’Unione Europea finalizzata alla creazione di un mercato unico all’interno degli stati membri. Una direttiva, dunque, volta prevalentemente a favorire la libera circolazione dei servizi ed un accesso più semplice al mercato. In sintesi, un aumento della competitività e dell’efficienza del mercato in un contesto europeo.
Tale direttiva, tuttavia, è stata al centro di un acceso dibattito per la previsione di un principio di apertura al mercato in un ambito, come quello delle concessioni demaniali che, almeno in Italia, è stato caratterizzato da disposizioni altalenanti, frutto dell’umore politico del momento, così da generare caos amministrativo, normativo e giurisprudenziale per l’assenza di coraggio a disciplinare delle giuste quanto ovvie differenziazioni sulla natura dei concessionari e che ha portato gli enti concedenti ad avere, negli anni, una condotta disomogenea sfociata in rinnovi ai vecchi concessionari, in proroghe della precedente concessione ma, più spesso, nella determinazione di un indennizzo a carico del concessionario scaduto per occupazione sine titulo.
Il tema è stato assai controverso in particolare per le concessioni demaniali marittime che, per svariati decenni, sono state rinnovate automaticamente creando delle posizioni difficili da inquadrare giuridicamente, anche, e soprattutto, nei confronti delle generazioni intervenute successivamente, convinte di aver ricevuto dai propri genitori, se non addirittura dai propri nonni, non tanto una concessione quanto un vero e proprio diritto di proprietà. Per tali ragioni l’Italia è stata più volte richiamata dalla Commissione europea e dalla Corte di giustizia UE per adeguarsi alla citata direttiva.
Tuttavia, il nostro paese ha più volte risposto alle interrogazioni europee con un atteggiamento che potremmo definire attendista, “prorogando” le concessioni e motivando il rinvio con la necessità di regolamentare meglio il settore.
Il problema, invero, risiedeva, come anticipato, nella difficoltà manifestata da anni dal legislatore di affrontare la tematica con pragmatismo differenziando le categorie in relazione alla loro finalità, lucrativa o meno. Se, da un lato, esistono una serie di attività con delle evidenti finalità di lucro che rientrano in un ambito di attività economica ai sensi del diritto comunitario, come una concessione balneare, dall’altro lato occorre avere un differente approccio verso le centinaia di concessioni affidate ad associazioni che, invece, perseguono esclusivamente o prevalentemente finalità sociali, ricreative e di promozione del benessere psicofisico, e comunque non economiche.
Era già tutto previsto nel considerando n. 35 nella Direttiva 2006/123/CE (Bolkestein) che, in maniera inequivocabile, stabiliva che: “Le attività sportive amatoriali senza scopo di lucro rivestono una notevole importanza sociale. Tali attività perseguono spesso finalità esclusivamente sociali o ricreative. Pertanto, esse non possono costituire un’attività economica ai sensi del diritto comunitario e non dovrebbero rientrare nel campo di applicazione della presente direttiva”. La direttiva, quindi, già dal 2006 escludeva dal suo ambito applicativo quelle centinaia di associazioni che nascono con una logica sociale e ricreativa, non di carattere economico, e che il legislatore, già anni addietro, avrebbe dovuto separare dalle concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali utilizzate per attività turistico-ricreative e sportive, ora prorogate con il provvedimento in argomento fino al 30 settembre 2027.
Una posizione di favore verso il mondo dello sport dilettantistico, anche alla luce della Costituzione dove, all’articolo 33, è stato di recente aggiunto un nuovo comma, in virtù del quale “la Repubblica riconosce il valore educativo, sociale e di promozione del benessere psicofisico dell’attività sportiva in tutte le sue forme”. L’aver optato per il verbo “riconoscere” rimanda alla formula linguistica dell’art. 2 della Carta costituzionale, ammettendo, di fatto, come l’attività motoria sia una realtà preesistente invitando la Stato a promuoverla e tutelarla.
Va dunque apprezzato questo emendamento confermato in sede di conversione che rappresenta un riconoscimento formale e sostanziale del valore unico delle associazioni sportive dilettantistiche, le quali non operano con finalità economiche ma svolgono una funzione sociale essenziale. Un tema non scontato se si considera che in questi anni sono stati molteplici i tentativi di accostare tutte le associazioni sportive dilettantistiche a centri di potere e luoghi di scambio di relazioni, probabilmente allo scopo di confondere il legislatore e sperare che anche le associazioni aventi finalità di lucro venissero escluse dalla applicazione della direttiva. I “Circoli dei vip romani” o la norma “salva circoli”: sono solo alcuni dei titoli dei media che hanno accompagnato la novità legislativa, con l’evidente ricerca di una “notizia” che andasse al di là dell’importante novità dell’atteso riconoscimento del valore sociale di questa particolare categoria di associazioni.
Le ASD nel loro complesso non sono semplicemente erogatrici di servizi sportivi, ma realtà che promuovono inclusione sociale, benessere fisico, equilibrio mentale e rispetto delle regole. Si tratta di organizzazioni basate su soggetti sportivi, spesso di piccole dimensioni, che condividono degli ideali e la passione per una o più disciplina sportiva; sorte al solo scopo di partecipare a manifestazioni sportive per le quali è richiesta l’appartenenza ad una associazione dilettantistica e che incidono su aspetti fondamentali: la salute delle persone ed in particolare dei giovani e la sostenibilità economica del sistema sanitario nazionale.
Non solo un gesto del legislatore di tutela delle tradizioni locali, ma un investimento strategico per affrontare le sfide sociali ed economiche del presente e del futuro.
È di tutta evidenza, difatti, come lo sport aiuti i giovani a scoprire il proprio talento, le proprie passioni nascoste, a maturare un senso di appartenenza: tutti fattori chiave per resistere a quelle pressioni esterne, oggi più forti e pressanti che mai, provenienti dagli ambienti della droga e della criminalità. Le associazioni sportive, i circoli sportivi, anche quelli considerati vip, creano delle comunità sane tra coetanei, in grado di scoraggiare il ricorso a comportamenti pericolosi sui quali spesso anche i genitori non sono in condizione di esercitare sempre in modo proficuo il loro ruolo di precettori. Quanti ragazzi, se non avessero abbracciato un ambiente caratterizzato da partecipazione a competizioni sportive, allenamenti pomeridiani ed incontri di vario genere, sarebbero probabilmente incappati in quelle amicizie, purtroppo sempre più numerose, caratterizzate da vagabondaggio di quartiere, le cosiddette “paranze” e forme di bullismo se non di criminalità.
Molte organizzazioni internazionali evidenziano il valore di azioni di promozione dello sport come strumento di prevenzione della salute mentale per quella che è stata definita la COVID Generation. Promuovere il benessere psicologico e le capacità sportive sono priorità in considerazione del fatto che problemi di salute ed esclusione sociale pregiudicano una vita sana.
In questo contesto, la Commissione Europea sta finanziando programmi proprio con l’obiettivo di valorizzare il ruolo dello sport, uno stile di vita sano, le relazioni interpersonali, l’inclusione sociale: tutti temi che trovano terreno fertile all’interno delle associazioni sportive che, ovviamente, necessitano di un ambiente su cui ritrovarsi e che tecnicamente si traduce nel procedimento amministrativo delle concessioni demaniali in cui realizzare quegli obiettivi.
Insomma, anche a livello europeo ci si sta attivando per indirizzare i giovani verso l’attività fisica in generale e lo sport in particolare, nell’ottica di produrre endorfina negli adolescenti, intesa come forma di riduzione dello stress e sensazione di benessere, che possa essere di contrasto a forme di depressione e soprattutto antidoto alla lusinga degli stupefacenti.
Inoltre, va anche evidenziato che le ASD operano in molte aree periferiche e marginali, garantendo accesso allo sport anche a chi vive in condizioni di disagio economico e sociale. Queste realtà promuovono l’inclusione e la coesione, offrendo opportunità di crescita e socializzazione: fattori che contribuiscono a ridurre fenomeni come l’abbandono scolastico e la criminalità giovanile. Secondo un rapporto di Sport e Salute, nei contesti urbani più difficili, l’accesso allo sport riduce del 30% il rischio di coinvolgimento in attività illecite, a conferma della circostanza che lo sport e le politiche di sostegno del governo e delle federazioni sportive rappresentino anche una politica di tutela della sicurezza pubblica.
Ma c’è un altro fattore che spesso viene sottovalutato ed attiene al connubio tra lo sport e la salute, dimostrato in modo inequivocabile anche dai dati che emergono nel mondo della sanità. La pratica regolare dell’attività fisica riduce in modo significativo l’incidenza di patologie croniche, che costituiscono una delle principali cause di mortalità e una delle voci di spesa più onerose per il sistema sanitario. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità la mancanza di attività fisica – in Italia il 30% degli adulti è classificato come fisicamente inattivo – è causa di circa il 6% dei decessi globali. Un dato allarmante che si riflette in costi diretti e indiretti che vanno a gravare sulla sanità pubblica e sull’economia nazionale se solo si pensi alle malattie cardiovascolari, che generano un costo complessivo superiore a 16 miliardi di euro all’anno ed al dato sull’obesità, con costi diretti e indiretti che superano i 10 miliardi di euro annui.
Il ruolo dello sport praticato all’interno del mondo delle ASD, dunque, non si limita a produrre effetti benefici sulle malattie fisiche ma genera effetti positivi anche sull’equilibrio psicologico e sulla salute mentale, profili altrettanto rilevanti e che incidono sulla qualità della vita, riducendo il rischio di depressione ed il rischio di ansia con ulteriori risparmi per il sistema sanitario.
Per conseguire questo percorso virtuoso non bastano i fondi, non basta il CONI o le Federazione sportive. Occorrono realtà sul territorio, sempre più numerose e sempre più presenti, in grado di svolgere un ruolo di inclusione; una presenza diffusa, capillare in grado di estirpare le radici di un futuro di droga e criminalità. Servono, dunque, le associazioni sportive che ospitano non solo adulti, spesso pensionati che hanno il privilegio di riempire le proprie giornate in un contesto di socialità per prevenire la solitudine e la depressione, ma anche scuole per ragazzi, grazie a migliaia di collaboratori sportivi che, prevalentemente per passione, si dedicano alla pratica sportiva a favore degli adolescenti.
Orbene, va accolta con favore l’esclusione delle ASD da una normativa come la direttiva Bolkestein e, se vogliamo, troppo tardi il legislatore è intervenuto operando un ovvio distinguo tra associazioni sportive dilettantistiche e società economiche che operano nel mercato. Chissà se in un prossimo futuro non si riesca ad andare oltre, cercando di avvicinare le associazioni sportive agli enti pubblici territoriali al fine di favorire ed incentivare la concessione e l’affidamento in genere di spazi demaniali, spesso abbandonati e oggetto di discariche abusive oppure di campi nomadi. L’auspicio è che vi sia una inversione di tendenza che veda questi soggetti – che svolgono un importante servizio pubblico sostituendosi, di fatto, allo Stato – non più alla ricerca randomica e clientelare di luoghi dove praticare sport, bensì che sia l’amministrazione pubblica a mettere a disposizione il proprio patrimonio con procedure semplificate ed efficaci, trasferendo allo sport dilettantistico sempre più spazi pubblici per adempiere meglio alla propria missione. Basti pensare a quante aree abbandonate insistono in zone periferiche provocando un ricettacolo di rifiuti quando potrebbero essere affidate, mantenute e curate dall’iniziativa privata volta al conseguimento di un prezioso servizio pubblico.
Per concludere il legislatore non ha solo adottato una norma ma ha manifestato una dichiarazione d’intenti che riconosce lo sport come un pilastro del benessere sociale, economico e sanitario del Paese. La salute pubblica, l’economia e la coesione sociale sono strettamente legate alla diffusione della pratica sportiva, e il sostegno alle associazioni sportive dilettantistiche rappresenta un investimento oltremodo positivo.