C’è un Robin Hood nel G20?


Nell’ultimo G20 tenutosi a Rio de Janeiro il 18 e 19 novembre si è riscontrato un significativo cambio di rotta, ovvero un nuovo orientamento della politica fiscale non più focalizzata sulla tassazione degli ingenti profitti conseguiti dai giganti digitali, quanto piuttosto volta a ridistribuire una frazione dei patrimoni accumulati dai super ricchi.

Muovendo dalla dichiarazione approvata dai 20: “Approviamo le riforme fiscali adottate di recente da diversi membri del G20 per affrontare le disuguaglianze e promuovere sistemi fiscali più equi e progressivi, riconoscendo l’importanza di migliorare la mobilitazione delle risorse interne per sostenere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs)”, risulta evidente come, nonostante gli sforzi messi in campo negli ultimi anni in tema di tassazione digitale (accordo OCSE/G20 dell’ottobre 2021), la politica fiscale dei 20 risulti di fatto ingessata, non solo dalle manifeste difficoltà registrate in fase di negoziazione, ma anche dalla mancanza di un’unanime consenso circa l’introduzione di regole globali per una più equa tassazione dei colossi digitali.

Dopo due rinvii, ecco allontanarsi ulteriormente l’obiettivo di sottoscrivere entro il 2024 un comune accordo sulla tassazione dei colossi del web, probabilmente influenzato anche dalla recente rielezione di Donald Trump, che ha più volte osteggiato ogni possibile accordo di politica fiscale internazionale, paventando pericolose ripercussioni per le imprese americane. La dichiarazione conclusiva del G20 viene, quindi, a gettare le basi per un nuovo scenario di politica fiscale globale, ove “nel pieno rispetto della sovranità fiscale, cercheremo di impegnarci in modo cooperativo per garantire che gli individui con un patrimonio netto ultra elevato siano tassati in modo efficace”. Attraverso lo scambio di buone pratiche e meccanismi anti elusione, che vengono a contrastare il ricorso a strumenti finanziari complessi ovvero a vantaggiosi paradisi fiscali, si cercherà così di tassare in modo più efficace quell’1% più ricco della popolazione mondiale che detiene, come indicato nel World Inequality Report 2022, oltre il 45% della ricchezza globale, considerato altresì che meno del 2% della ricchezza è invece nelle mani del 50% più povero della popolazione.

La sfida lanciata dal G20 si rileva ardua: si devono superare, non solo le reticenze di quei Paesi che fanno del trattamento fiscale di favore l’occasione per attrarre ingenti patrimoni, ma anche le difficoltà di determinare con la dovuta contezza la tipologia di imposizione da applicare, onde rispettare quei principi di equità e progressività richiamati nel summit di Rio de Janeiro.

Se, infatti, in primis, è necessario quantificare l’esatto ammontare di ricchezza pro capite per identificare la categoria dei super ricchi, circostanza questa non facile considerate le palesi differenze che caratterizzano i singoli Paesi (un ingente patrimonio non viene ad assume la stessa quantificazione in Europa e in America Latina), anche le modalità di tassazione si rilevano fondamentali per “giustificare” questa ulteriore imposizione. 

Occorrerà individuare la forma di prelievo da applicare, se proporzionale con aliquota fissa per tutta la base imponibile, ovvero se progressiva con più aliquote crescenti da suddividere per fasce all’interno della medesima base imponibile, quest’ultima, peraltro, tutta da definire, tenuto conto che i super patrimoni da assoggettare alla nuova imposizione hanno già subito diversa, e spesso non comparabile, tassazione nei rispettivi Paesi di realizzazione.

Sarà, inoltre, fondamentale, non solo stabilire se il nuovo prelievo sia da considerarsi “una tantum”, oppure strutturale, ma anche quali siano le componenti del patrimonio da sottoporre a tassazione, ovvero il solo denaro, sia liquido che investito, i beni immobiliari e le società e/o le quote di partecipazione, ecc. ed infine come raccogliere e a chi destinare i nuovi fondi onde “affrontare l’aumento delle disparità economiche su scala globale e sostenere le risorse necessarie per le politiche di sviluppo”, come sottolineato dal G20.

Per quanto riguarda l’Italia, collocata al 22° posto della classifica mondiale per l’aliquota massima (43%) applicata al reddito delle persone fisiche (Finlandia, Giappone e Danimarca sono ai primi posti con una percentuale di oltre il 55%), ed un’evasione fiscale di oltre 190 miliardi di euro l’anno, la proposta del G20, pur nella piena condivisione degli obiettivi, appare scontrarsi con una realtà eterogenea, ove il reddito medio dichiarato nel 2022 è stato di soli euro 23.650 (il più alto in Lombardia per euro 27.890 e il più basso in Calabria per euro 17.160) e la ricchezza pro-capite (complessivamente pari a 10.000 miliardi di euro, di cui i due terzi in mano al 10% del ceto più ricco) si attesta a circa euro 93.000.

Salutiamo, quindi, con favore questo approccio alla Robin Hood del G20, che comunque viene a scontrarsi con obiettive difficoltà tecniche e di armonizzazione e i cui tempi di realizzazione appaiono del tutto imprevedibili, mentre risulta preoccupante che venga accantonata la più immediata, e sicuramente più efficace in termini di certezza del prelievo, tassazione dei giganti del web. Dai dazi all’armonizzazione fiscale, Trump inizia a farsi sentire!

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