BCE troppo cauta sul fronte dei tassi?

Il 12 settembre la BCE ha allentato ulteriormente la politica monetaria in atto abbassando i tassi sui depositi di altri 25 BP così da portarli a quota 3,50%. La decisione è stata considerata equilibrata da diversi osservatori istituzionali, ma è stata anche bollata come troppo cauta da alcuni esponenti politici che l’hanno ritenuta insufficiente per rilanciare una economia europea al limite della stagnazione. Ciò premesso, al fine di valutare al meglio la correttezza della decisione della BCE, è opportuno partire da un esame della crescita in Europa e dell’andamento dell’inflazione.

Per quanto riguarda la crescita non c’è dubbio che, dopo il rimbalzo post covid del 2021, 2022 (in Italia il Pil è cresciuto del 13,2%), sia subentrata in Europa dal 2023 una stagnazione strisciante che ha riportato bruscamente lo “0,” nei trend delle principali economie europee. Il problema è che questo rallentamento generalizzato della crescita si è rafforzato nei primi 2 trimestri del 2024 (nel secondo trimestre l’Eurozona è cresciuta solo dello 0,2% ed il terzo trimestre non promette nulla di buono). E non c’è dubbio che una delle cause di questo andamento non esaltante dipenda dalla locomotiva tedesca, che ha chiuso il 2023 con un Pil in discesa dello 0,3% (unica tra le grandi economie europee), ha chiuso il secondo trimestre in negativo (-0,1%) e chiuderà anche il 2024, secondo molti istituti di ricerca tedeschi, con il segno meno. Tra le cause di questo trend compare, da una parte, la lievitazione dei costi energetici dell’industria pesante tedesca causata dal venir meno di contratti di approvvigionamento molto favorevoli di gas e petrolio russo. Dall’altra, la crisi dell’automotive, che ha esposto le grandi marche tedesche agli attacchi dei concorrenti cinesi sulla impervia via della transizione green. Da aggiungere, infine, una dilagante crisi di fiducia che, da un lato, colpisce l’occupazione e gli investimenti delle imprese tedesche e, dall’altro, riduce i consumi dei lavoratori/ consumatori innescando così un pericoloso circolo vizioso.

Sul fronte della lotta all’inflazione le cose, invece, vanno meglio. Ad agosto l’inflazione nell’Eurozona si è ridotta in maniera ampia coinvolgendo nella discesa tutte le principali economie europee, tra cui Germania, Francia, Spagna e Portogallo. Inoltre, la discesa dell’inflazione generale è stata questa volta accompagnata anche dalla discesa dell’inflazione Core, calcolata al netto dell’alimentare fresco e del prezzo delle fonti energetiche. Infatti, questa variabile, sorvegliata a vista dalla BCE, è scesa ad agosto al 2,8%, il dato migliore dal luglio 2021. E in Italia le cose sono andate anche meglio. Infatti, a fronte di una inflazione Core stazionaria, ma contenuta (0,9%), l’inflazione generale è scesa in agosto all’1,1%, ben al di sotto della media europea (2,2%). Da non trascurare, infine, che anche i recentissimi dati provvisori di settembre sembrerebbero confermare il descritto trend discendente. Più in particolare, l’inflazione dell’Eurozona sarebbe scesa all’1,8%, con Francia all’ 1,5%, Germania all’1,8 %, ed Italia allo 0,7%.

Ora, una economia stagnate abbinata ad una inflazione in trend decrescente potrebbero indurre asetticamente a marchiare la politica monetaria della BCE come troppo cauta ed attendista specie se confrontata con le mosse della FED. Tuttavia, due considerazioni potrebbero portarci a riconsiderare questo giudizio e a farci ritenere che le decisioni della Banca Centrale Europea siano state sin qui sostanzialmente equilibrate.

La prima considerazione riguarda il fatto che la fiammata inflazionistica in Europa è derivata in buona misura da shock esogeni. che hanno fatto impennare i prezzi di fonti energetiche, materie prime e semilavorati. Ora, nell’attuale scenario di enorme incertezza geopolitica derivante dall’esplosione dello scacchiere Medio orientale, appare assolutamente condivisibile che la BCE si muova lungo una linea improntata a prudenza e gradualità. Infatti, solo così facendo la Banca Centrale Europea si mette nelle condizioni di gestire probabili tensioni sui prezzi senza dover interrompere o invertire il trend discendente dei tassi, innescando così un andamento stop and go deleterio per investitori, famiglie ed aziende.

La seconda considerazione riguarda, invece, il citato confronto con la FED, che a settembre ha abbassato i tassi di ben 50 bp. A ben vedere, però, neanche questa maggiore aggressività della FED dovrebbe indurci a considerare la BCE come troppo pavida. Infatti, non bisognerebbe scordare che i timori da inflazione negli USA non sono tanto legati a possibili shock energetici esogeni come in Europa, quanto alla preoccupazione che le dinamiche salariali, spinte dall’inflazione, possano innescare una spirale salari-prezzi difficilmente controllabile. Ora, poiché nell’attuale scenario USA le dinamiche salariali, abbinate ad un rallentamento nella creazione di nuovi posti di lavoro, non appaiono particolarmente preoccupanti, risulta evidente che la Fed abbia al momento maggiori margini di manovra e che quindi possa attivare politiche monetarie più aggressive rispetto alla consorella europea. L’impressione è che, comunque, dalle prossime riunioni, FED E BCE possano marciare sostanzialmente in sintonia in modo da portare i tassi nella seconda parte del 2025 in una forbice compresa tra il 3,25 ed il 3,50% negli USA e a ridosso dell’1,75% / 2% in Europa.

Ovviamente, imponderabili shock esterni permettendo.

Andrea Ferretti

Economista, docente al corso di economia delle imprese familiari – Univerona

Registrato al Tribunale di Roma il 19/09/2018, n. 155
Direttore: Roberto Serrentino

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