Il Concordato Preventivo Biennale:
norma migliorata, ma non esaustiva

Preso atto dello scarso interesse finora riservato dai contribuenti e dai loro consulenti nei confronti della proposta, ex D.lgs. n. 13 del 12 febbraio 2024, dopo mesi di dibattiti e approfondimenti, l’Agenzia delle Entrate è finalmente intervenuta per tentare di superare il generale scettiscismo verso l’ormai noto istituto di compliance, Concordato Preventivo Biennale (CPB), come riservato agli esercenti attività d’impresa, arti e professioni, soggetti agli Indici Sintetici di Affidabilità (ISA), di cui all’art. 9-bis, D.L. n. 50/2017, ovvero ai soggetti che aderiscono al regime forfettario, quale “accordo” per quantizzare il debito d’imposta e versare i relativi tributi non sulla base degli effettivi redditi conseguiti, ma su quanto preventivato dalla stessa Agenzia.

Come indicato, infatti, nel mio articolo “Il Concordato Preventivo Biennale è da riscrivere” sul precedente numero di questa rivista, l’originaria idea dell’Agenzia si è chiaramente scontrata con le incongruenze della stessa e  lo scarso appeal ricevuto, atteso che, a fronte di benefici tutto sommato relativi, il contribuente si sarebbe trovato, fra l’altro, a dover affrontare non solo costi significativi, ma soprattutto l’impossibilità di derogare ad un accordo quandanche rilevatosi in seguito sfavorevole.

Con la nuova proposta, inserita nell’art. 4 del D.lgs. n. 108 del 5 agosto 2024 (“Modifica alla disciplina del concordato preventivo biennale”), l’Agenzia delle Entrate si è così soffermata a fornire chiarimenti, introducendo modifiche circa le cause di esclusione, la determinazione del reddito di lavoro autonomo e d’impresa, il valore della produzione netta oggetto concordato, ecc., recependo di fatto quanto indicato dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili nel comunicato stampata del 9 luglio u.s., ovvero la possibilità, riservata al contribuente, di “assoggettare la parte del reddito d’impresa o di lavoro autonomo derivante dall’adesione al concordato, che risulta eccedente rispetto al corrispondente reddito dichiarato nel periodo d’imposta antecedente a quelli cui si riferisce la proposta (…) a un’imposta sostitutiva delle imposte sul reddito, addizionali comprese”.

In particolare, con i neo artt. n. 20-bis (“Regime opzionale di imposizione sostitutiva sul maggior reddito concordato per i soggetti che applicano gli indici sintetici di affidabilità fiscale”) e n. 31-bis (Regime opzionale di imposizione sostitutiva del maggior reddito concordato per i soggetti che aderiscono al regime forfetario), viene stabilito che, relativamente ai soggetti ISA, sarà possibile applicare un’imposta sostitutiva:

a) del 10 per cento, se nel periodo d’imposta antecedente a quelli cui si riferisce la proposta presentano un livello di affidabilità fiscale pari o superiore a 8;

b) del 12 per cento, se nel periodo d’imposta antecedente a quelli cui si riferisce la proposta presentano un livello di affidabilità fiscale pari o superiore a 6 ma inferiore a 8;

c) del 15 per cento, se nel periodo d’imposta antecedente a quelli cui si riferisce la proposta presentano un livello di affidabilità fiscale inferiore a 6,
mentre, per i soggetti che aderiscono al regime forfettario, l’imposta sostitutiva delle imposte sul reddito, addizionali comprese, sarà “pari al 10 per cento dell’eccedenza, ovvero del 3 per cento nel caso di cui all’articolo 1, comma 65, della legge 23 dicembre 2014, n. 190”.

Chiaramente intuibili sono le finalità del nuovo Decreto, atteso che l’adesione al concordato vincola il contribuente a dichiarare il reddito proposto in luogo di quello effettivo. Potrebbe, infatti, verificarsi che il reddito proposto sia assai più elevato di quello effettivo, per cui la prospettiva di versare un’IRPEF progressiva su detto maggior reddito induce i contribuenti a rinunciare al nuovo istituto.

Con la nuova imposta sostitutiva, significativi potrebbero essere, invece, i vantaggi per il contribuente, come nel caso di un reddito concordato superiore a quello effettivo, o ancor più di un reddito concordato inferiore a quello effettivo.

Considerando, infatti, un reddito concordato (2024) di Euro 75.000, un reddito effettivo di Euro 68.000 e un reddito dichiarato (2023) di Euro 55.000, il contribuente, con la nuova proposta, verrebbe a pagare un’IRPEF ordinaria (progressiva) sul reddito dichiarato di Euro 55.000 unitamente ad un’imposta sostitutiva (tra il 10 ed il 15%) sulla parte del reddito concordato eccedente quello dichiarato nel periodo precedente (Euro 22.000 = 75.000 – 55.000). Con l’accettazione del reddito proposto viene così premiata la maggiore redditività rispetto al reddito dell’anno precedente.

Nel caso, invece, di un reddito concordato (2024) di Euro 87.000, di un reddito effettivo di Euro 125.000 e di un reddito dichiarato (2023) di Euro 68.000, il contribuente, sempre con la nuova proposta, verrebbe a pagare un’IRPEF ordinaria (progressiva) sul reddito dichiarato di Euro 68.000 ed una modesta imposta sostitutiva (tra il 10 ed il 15%) sulla parte del reddito concordato risultante eccedente rispetto a quello dichiarato nel periodo precedente (Euro 19.000 = 87.000 – 68.000). Evidente si rileva il beneficio per il contribuente, nella considerazione che nessuna imposta sarà dallo stesso dovuta sulla differenza tra reddito effettivo e reddito concordato (Euro 38.000 = 125.000 – 87.000). In merito, si evidenzia quanto nell’art. 19 (“Rilevanza delle basi imponibili concordate”) del D.lgs. n. 13/2024: “gli eventuali maggiori o minori redditi effettivi (…) nel periodo di vigenza del concordato, non rilevano ai fini della determinazione delle imposte sui redditi (…), nonché dei contributi previdenziali obbligatori”.

L’Agenzia delle Entrate ha così accolto le proposte pervenute in particolare dall’organismo di rappresentanza dei commercialisti, professionisti che quotidianamente si trovano ad affrontare sul campo le esigenze e le difficoltà del mondo del lavoro e dell’impresa, interfacciandosi con l’Amministrazione Finanziaria a garanzia della correttezza e della trasparenza dell’operato fiscale.

Un grosso passo avanti è stato fatto ma, con l’approssimarsi del termine per l’adesione (31 ottobre p.v.), ancora svariati restano i punti e le incertezze che necessitano di ulteriori chiarimenti, quali, ad esempio:

  • i forfettari che, avendo nel 2023 superato di 100.000 Euro di ricavi, dovrebbero ai fini del CPB essere ricompresi tra i “soggetti ISA”?
  • per chi, avendo la necessità di compensare crediti “sopra soglia”, ha già presentato la propria dichiarazione, lasciando temporaneamente in bianco i quadri riguardanti il CPB, può presentare una “correttiva nei termini” al fine di formalizzare la propria adesione al CPB?
  • i forfettari nel 2024 che, pur rimanendo sotto la soglia dei 150.000 Euro di ricavi (causa di esclusione dal CPB, ex art. 32bis, D.lgs. n. 13/2024), verranno a conseguire compensi superiori agli 85.000 o 100.000 Euro, come dovranno calcolare le imposte da versare?

Auspichiamo, quindi, anche per questi casi, una pronta risposta dell’Agenzia delle Entrate, magari ancora una volta supportata dalla fattiva collaborazione del ceto professionale competente.

Roberto Serrentino

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