Fabiano, 51 anni, Carcere di Verona
Zdenko, 48 anni, Carcere di Trieste
Alexandru, 30 anni, Carcere di Viterbo
Giulio, 67 anni, Carcere di Augusta
Fabrizio, 57 anni, Carcere di Varese
Fedi, 20 anni, Carcere di Firenze
I nomi di questi uomini non vi diranno nulla, probabilmente; eppure, erano sotto la custodia collettiva, in carcere, quando nei giorni scorsi sono morti e nulla è stato fatto per impedirlo.
Si sono suicidati!
Fabiano, Zdenko, Alexandru, Giulio, Fabrizio, Fedi, sono soltanto gli ultimi dei 56 suicidi che, dall’inizio dell’anno, si sono registrati nelle carceri del nostro Paese.
Sessantadue se si aggiungono anche i 6 agenti della Polizia penitenziaria che si sono tolti la vita, vittime anche loro delle nostre galere.
Sono più di otto al mese, due ogni settimana, una strage senza precedenti.
Per non contare poi il numero dei tentativi di suicidio, oltre 300 nel solo 2024.
Ma che sta succedendo?
Come è possibile che le nostre carceri siano fuori controllo; il sovraffollamento, sono 14.500 i detenuti in più rispetto ai posti disponibili, 61.468 rispetto 51.000, sono oltre 18mila unità mancanti alla Polizia penitenziaria, le gravissime carenze nell’assistenza sanitaria, le strutture fatiscenti, la disorganizzazione imperante.
Ma perché le carceri scoppiano?
Non sono stati inoltre coperte le carenze in organico dei tribunali di sorveglianza, le infrastrutture sono comunque insufficienti, le promesse non mantenute sono oramai divenute un ‘marchio di fabbrica’ sulle carceri.
Ed è proprio per portare all’attenzione dell’opinione pubblica, sensibilizzandola e far intervenire la politica, che l’Unione delle Camere Penali Italiane, a fronte di questo incessante stillicidio di persone che, ristrette nelle carceri del nostro Paese, decidono di porre fine alle loro insopportabili condizioni di sofferenza togliendosi la vita con una frequenza impietosa ed al contempo impressionante che mai prima d’ora si era registrata, ha organizzato, coinvolgendo tutte le Camere Penali territoriali (130 in tutta Italia), una ‘maratona oratoria’ per il carcere, intitolata “non c’è più tempo”, che si è sviluppata sull’intero territorio nazionale e si è svolta in luoghi pubblici delle città, così rappresentando alla società civile la condizione inumana dei detenuti, il degrado della realtà carceraria nella quale sono costretti ad operare gli stessi detenenti, le inefficienze del sistema, e ogni altro aspetto che possa offrire l’immagine del fallimento di un sistema che rappresenta la negazione stessa della nostra democrazia.
Con tale iniziativa, di informazione, sensibilizzazione e protesta, abbiamo inteso denunciare pubblicamente tanto la mancanza di un programma di serie riforme strutturali e di ripensamento dell’intera esecuzione penale, quanto l’irresponsabile indifferenza della politica, che si protrae negli anni, di fronte al dramma del sovraffollamento ed alla tragedia dei fenomeni suicidiari, concretizzatisi nel perdurante rifiuto di porre in essere con immediatezza ed urgenza qualsivoglia concreto strumento deflattivo, da quello dell’adozione di possibili procedimenti di clemenza generalizzata (indulto e/o amnistia), a quelli già oggetto di proposta di legge pendente in Parlamento (liberazione anticipata speciale portando i giorni premiali da 45 a 60 giorni per semestre).
La maratona oratoria ha preso il via il 29 maggio, si è conclusa l’11 luglio a Roma in Piazza dei Santi Apostoli, nel mezzo di tre giorni di astensione da ogni attività giudiziaria del 10, 11 e 12 luglio.
Ed è proprio al motto ‘Non c’è più tempo’, per le parole e per le promesse, che con la Camera Penale di Roma il 4 luglio abbiamo organizzato la nostra ‘maratona oratoria’ al Pigneto, con una grande partecipazione, di avvocati, di magistrati, di politici, di esponenti dell’associazionismo e delle istituzioni civili oltre che di persone comuni.
Siamo andati tra la gente allestendo una cella a grandezza naturale per consentire di provare quell’esperienza claustrofobica del vivere in uno spazio asfittico e disadorno.
Abbiamo voluto richiamare la sensibilità delle persone comuni attorno alla comunità dei reclusi, per aprire simbolicamente le porte del carcere, un luogo troppo spesso dimenticato all’interno del quale troppe vite vengono umiliate senza approdo ad una speranza di riabilitazione ed integrazione.
Questo percorso di testimonianza e di protesta, nei confronti dell’inerzia dei decisori politici in capo ai quali incombe il preciso dovere di porre fine a tali condizioni inumane di detenzione, dobbiamo intervenire con urgenza al fine di interrompere questa scia di morte, la cui responsabilità ricade inesorabilmente su uno Stato che deve assicurare il diritto fondamentale al rispetto della dignità umana alle persone private della libertà personale, come ribadito recentemente anche dal Pontefice e dal Presidente della Repubblica.
La risposta a questa iniziativa, è stata corale ed ha prodotto ovunque una partecipazione delle Camere penali territoriali davvero formidabile, dando forma concreta, aperta, pubblica ed incisiva, alla nostra denuncia delle drammatiche condizioni del sistema carcerario del Paese e del tragico fenomeno dei suicidi.
In questi incontri è stata coinvolta la società civile nelle sue più diverse manifestazioni, riuscendo a raggiungere quei sentimenti, comunque diffusi nella nostra collettività e che ancora resistono, insopprimibili e autentici, a difesa dei principi costituzionali e della dignità dell’uomo.
Abbiamo richiamato l’attenzione dell’intera opinione pubblica, sul dramma civile ed etico, dell’illegalità della detenzione nel nostro Paese, richiamando l’intervento politico.
Continueremo a percorrere assieme questa strada, certi che la conquista dei diritti e la realizzazione effettiva dei valori della Costituzione.
“Le carceri italiane (…) rappresentano l’esplicazione della vendetta sociale nella forma più atroce che si sia mai avuta: noi crediamo di aver abolito la tortura, e i nostri reclusori sono essi stessi un sistema di tortura la più raffinata; noi ci vantiamo di aver cancellato la pena di morte dal codice penale comune, e la pena di morte che ammanniscono a goccia a goccia le nostre galere è meno pietoso di quella che era data per mano del carnefice; noi ci gonfiamo le gote a parlare di emenda dei colpevoli, e le nostre carceri sono fabbriche di delinquenti, o scuole di perfezionamento dei malfattori”.
Con queste parole Filippo Turati, pronunciate alla Camera dei Deputati il 18 marzo 1904, in un discorso memorabile che poi fu pubblicato in opuscolo sotto il titolo ‘il Cimitero dei vivi’ fotografò una situazione che nonostante il decorso del tempo e sviluppo socio culturale è completamente ferma se non addirittura peggiorata.
Interrompiamo questa macabra liturgia, di dover fare il conteggio con l’aggiornamento settimanale delle morti in carcere, che non vede distinzioni di età, di nazione, di estrazione sociale, nè di luogo geografico ove è collocato l’istituto di pena.
In uno Stato civile e democratico deve esser comunque garantita la dignità del detenuto (colui che sta pagando per ciò che ha commesso).
Dobbiamo dare piena attuazione all’art. 27 della nostra Carta costituzionale, ove recita che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.
Diamo atto all’attuazione di quanto sopra con gli strumenti dell’indulto e/o dell’amnistia e, nell’immediato, con la concessione della liberazione anticipata speciale.
Dobbiamo intervenire per porre fine a questa drammatica situazione, in cui noi Avvocati penalisti siamo i primi, diretti testimoni delle condizioni disumane in cui versano le carceri italiane e di questo stato di abbandono del sistema penitenziario che ha portato ormai da anni l’Italia a condanne e sanzioni da parte della CEDU.
Dobbiamo ripristinare una civiltà giuridica ed uno stato di diritto effettivo degno dalla nostra nazione.
Non c’è più tempo, il tempo è finito!
Nella difesa degli ultimi noi ci siamo e ci saremo sempre!