Al 15 luglio 2024 i suicidi avvenuti presso le carceri italiane sono 56.
L’ultima persona a togliersi la vita è stata un uomo di 37 anni, originario di San Donà di Piave, detenuto per vari reati connessi allo spaccio di stupefacenti. È stato trovato impiccato con il lenzuolo nella sua cella della Casa Circondariale Santa Maria Maggiore di Venezia.
A queste morti, bisogna aggiungere le 6 degli agenti penitenziari che si sono tolti la vita durante il 2024.
Al 30 giugno 2024 erano 61.480 le persone detenute nelle carceri italiane, per un numero di posti ufficiali pari a 51.234.
Tuttavia, il numero di posti effettivamente disponibili, al netto di quelli inutilizzabili, è di gran lunga inferiore, portando il tasso di affollamento sul territorio nazionale circa al 135%. In alcuni istituti questa percentuale cresce in modo drammatico; è il caso ad esempio dell’istituto di Brescia Canton Monbello con il 210% del tasso di affollamento o di Regina Coeli a Roma con circa il 180%.
Davanti a questa tragica situazione, che sembra in costante peggioramento, il Governo ha deciso di intervenire con il decreto-legge 4 luglio 2024, n. 92 (c.d. decreto carcere), recante «Misure urgenti in materia penitenziaria, di giustizia civile e penale e di personale del Ministero della Giustizia».
Secondo le dichiarazioni del Ministro della Giustizia, Carlo Nordio, le disposizioni in materia penitenziaria proposte dal decreto sono volte ad umanizzare l’esecuzione della pena della privazione della libertà. Ciononostante, l’atteggiamento del Governo si rivela quanto meno contraddittorio se si considerano, invece, le previsioni di un altro documento normativo che mira ad incidere (anche) sulla realtà penitenziaria, ovvero, il disegno di legge n.1660, conosciuto come ddl sicurezza.
L’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) ha affermato che “la maggior parte delle disposizioni [del ddl sicurezza] ha il potenziale di minare i principi fondamentali della giustizia penale e dello Stato di diritto”.
Infatti, le nuove disposizioni che il Governo vorrebbe introdurre con tale atto normativo, appaiono ispirate ad una logica repressiva e disumanizzante, in quanto le norme sembrano tendere verso una criminalizzazione del dissenso e delle lotte sociali, trasformando in reati comportamenti che hanno a che fare con la protesta, il disagio e la marginalità sociale.
Soprattutto, l’introduzione del reato di rivolta penitenziaria, rischia di cambiare irrimediabilmente il volto del sistema carcerario, prevedendo anche la punibilità della resistenza passiva a un ordine dell’agente di Polizia, senza neanche specificare se tale ordine sia legittimo o meno.
Tornando, invece, al decreto-carcere, i principali interventi introdotti riguardano gli agenti di Polizia penitenziaria, la liberazione anticipata, la corrispondenza telefonica, l’art. 41-bis dell’ordinamento penitenziario e la disciplina relativa all’ingresso nelle strutture residenziali per l’accoglienza e il reinserimento sociale delle persone detenute. Sebbene l’intento sia quello di riportare all’interno dei parametri di dignità le carceri italiane, le novità proposte dal decreto appaiono molto timide ed insufficienti ad incidere in maniera significativa sul panorama penitenziario italiano, che sta affrontando una delle sue crisi peggiori.
In merito ai provvedimenti relativi al personale non si può non notare come l’intervento governativo si concentri, e nemmeno in maniera esaustiva, su una categoria di lavoratori, quella appartenente al corpo della Polizia penitenziaria, prevedendo l’assunzione di 1000 unità, mentre trascura quasi del tutto le altre, in particolare quelle dedicate ai percorsi di inclusione e reintegrazione sociale o di sostegno socio-sanitario.
Nelle carceri italiane attualmente opera in media un educatore ogni 65 detenuti, un rapporto che arriva in alcuni casi a vedere un singolo educatore prendere in carico quasi 200 persone, con evidenti ricadute sulla capacità di creare percorsi individualizzati di reinserimento sociale o di intercettare quella disperazione che troppo spesso conduce a gesti estremi.
Inoltre, la scelta di ridurre i momenti formativi dei poliziotti da inserire in carcere da 6 a 4 mesi, al fine di consentire una più rapida presa di servizio negli istituti, non sembra lungimirante, vista la complessità del ruolo da svolgersi e la necessità di valorizzarla anche sul piano del riconoscimento sociale.
In merito agli “Interventi in materia di corrispondenza telefonica dei soggetti sottoposti al trattamento penitenziario” introdotti dal decreto, questi consistono sostanzialmente nell’aumento delle telefonate mensili a disposizione delle persone detenute da 4 a 6, mantenendo comunque la durata di ciascuna di 10 minuti. L’incremento delle telefonate è da accogliere positivamente, ma la concessione, oltre che insufficiente, appare non realmente produttiva di cambiamenti. Come sottolinea anche il Professor Ruotolo, si tratta, di una previsione non immediatamente operativa, poiché l’art. 6, comma 1 del decreto rinvia all’adozione di un regolamento governativo che equipari la disciplina del “numero” dei colloqui telefonici settimanali e mensili a quella dei colloqui in presenza, rispettivamente contenuta negli articoli 39 e 37 del Regolamento di esecuzione dell’ordinamento penitenziario. Tuttavia, essendo il decreto fonte primaria, lo stesso avrebbe direttamente potuto disporre la predetta equiparazione.
Nonostante lo scopo dell’aumento delle telefonate sia quello di incrementare la possibilità di contatto tra le persone detenute e i propri cari, il decreto nulla dice ai fini di favorire la piena ed immediata applicazione della sentenza della Corte Costituzionale n.10 del 2024 in materia di sessualità e affettività. Si tratta di un’occasione senz’altro mancata.
Il decreto-carcere è andato anche a modificare la disciplina della liberazione anticipata, sebbene tali modifiche riguardino esclusivamente gli aspetti procedimentali di accesso al beneficio, senza aumentare i giorni di liberazione anticipata concedibili, come fu invece fatto con indubitabile successo deflattivo all’indomani della condanna della Corte Edu del 2013 nella sentenza Torreggiani. Nel decreto si ravvisa, quindi, un intervento sulla liberazione anticipata di minimo impatto rispetto alla vita detentiva così come, nella prospettiva di deflazionare il carico degli Uffici e dei Tribunali di Sorveglianza. È prevista una modifica dell’art. 656 c.p.p. (recante “esecuzione delle pene detentive”), in virtù della quale già nell’ordine di esecuzione deve essere indicata la pena da espiare computando i giorni di concessione della liberazione anticipata, contestualmente alla pena comminata senza il computo dei giorni medesimi. È previsto che le detrazioni non verranno prese in considerazione laddove si ravvisi un comportamento del soggetto che non abbia dato adesione al percorso trattamentale.
Si provvede poi a modificare e sostituire l’art. 69-bis o.p.; in occasione di una eventuale istanza con la quale la persona detenuta richieda l’accesso a misure alternative o benefici, il Magistrato di Sorveglianza deve attivarsi d’ufficio. A tal fine, nel caso in cui la concessione della liberazione anticipata risulti decisiva, valuterà se effettivamente sussistano i presupposti per la relativa concessione. Inoltre, si prevede un termine a decorrere dal quale si può procedere a depositare istanza per l’accesso alle misure/benefici: 90 giorni antecedenti la maturazione dei presupposti di accesso alla misura o al beneficio per cui si procede, tenuto conto nel calcolo di tale termine delle detrazioni legate alla liberazione anticipata. Si evince, pertanto, che prima di tale termine non sia possibile depositare alcuna istanza. In ogni caso, quindi, a prescindere dalla richiesta di accesso a misure alternative o benefici, è poi previsto che il Magistrato – almeno 90 giorni prima del termine previsto per la conclusione della pena – debba provvedere ad effettuare, d’ufficio, una valutazione relativa ai semestri di pena scontati per verificare l’effettiva sussistenza dei presupposti per la concessione della liberazione anticipata.
Al netto di tali modifiche emerge, in primo luogo, come non si possa parlare di una vera e propria concessione in via preventiva del beneficio della liberazione anticipata, gravando comunque sulla Magistratura l’onere di effettuare le verifiche di sussistenza dei requisiti in occasione di istanze provenienti dagli interessati o, comunque, in prossimità del termine di espiazione della pena.
Il decreto-carcere, inoltre, esclude i detenuti sottoposti al regime di cui all’art. 41-bis dall’accesso a programmi di giustizia riparativa, che viene aggiunto all’interminabile elenco delle limitazioni che li riguardano (tra le quali permane il divieto di cottura dei cibi, pur censurato dalla Consulta nel 2018, che il decreto non ha colto l’occasione per eliminare).
Infine, è da accogliersi con favore la previsione di fondi volti a sostenere luoghi di accoglienza per persone detenute che potrebbero usufruire di misure penali di comunità alle quali viene loro oggi negato l’accesso per il solo fatto di non avere un idoneo domicilio. Ciononostante, questa possibilità non deve assolutamente aprire a ipotesi di privatizzazione della pena, qualora un domani si decidesse di intervenire legislativamente in maniera da permettere l’accesso alle strutture residenziali anche durante l’esecuzione della pena detentiva.
È altresì importante che non si scarichino sulle strutture del privato sociale quei compiti di formazione professionale, di orientamento lavorativo, di assistenza socio-sanitaria che devono continuare ad essere nell’attenta considerazione dello Stato.
Rachele Stroppa
Associazione Antigone
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(*) Antigone, associazione politico-culturale, a cui aderiscono prevalentemente magistrati, operatori penitenziari, studiosi, parlamentari e cittadini che a diverso titolo si interessano di giustizia penale. Antigone promuove elaborazioni e dibattiti sul modello di legalità penale e processuale del nostro Paese e sulla sua evoluzione; raccoglie e divulga informazioni sulla realtà carceraria; cura la predisposizione di proposte di legge; promuove campagne di informazione e di sensibilizzazione su temi o aspetti particolari, comunque attinenti all’innalzamento del modello di civiltà giuridica del nostro Paese, anche attraverso la pubblicazione del quadrimestrale Antigone. Dal 1998 Antigone è autorizzata dal Ministero della Giustizia a visitare i quasi 200 Istituti penitenziari italiani.