Con l’espressione “burocrazia difensiva” possiamo intendere quelle prassi amministrative che, allo scopo di evitare i rischi naturalmente connessi all’assunzione delle decisioni, finiscono per risolversi nell’evitare o nel rimandare le decisioni stesse.
La Corte dei conti, quale giudice della responsabilità amministrativa, si trova quotidianamente al cospetto di simili comportamenti e non di rado viene individuata quale causa della “paura della firma” che induce a tenerli.
Ora, non c’è dubbio che qualsiasi attività giuridica riferibile alla pubblica amministrazione, che si estrinsechi in atti amministrativi o di diritto privato, comporti che il soggetto che la compie sia responsabile delle relative conseguenze “secondo le leggi penali, civili e amministrative”, come recita l’art. 28 della Costituzione.
L’intervento della Corte dei conti, tuttavia, non costituisce una sorta di fattore casuale, che “colpisce” il dipendente pubblico in modo imprevedibile e senza adeguate garanzie.
Occorre, innanzitutto, considerare che il pubblico ministero può agire soltanto sulla base di una notizia di danno specifica e concreta, e non di esposti dal contenuto generico.
Si richiede, poi, lo svolgimento di un procedimento di indagine che consenta al Procuratore regionale di definire e di accertare la ricorrenza di tutti gli elementi costitutivi della responsabilità: il danno erariale, la cui assenza, pur in presenza della violazione di norme giuridiche, comporta tout court l’archiviazione del procedimento; la causazione del pregiudizio attraverso la violazione di obblighi di condotta; l’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave.
Ciò spiega l’ampia divaricazione numerica tra i procedimenti aperti e quelli nei quali il Procuratore regionale decide di procedere con la citazione in giudizio.
Così, ad esempio, nell’anno 2023 le Procure regionali hanno emesso n. 1061 atti di citazione in giudizio a fronte di n. 22.547 procedimenti aperti in corso d’anno. Il “filtro” esercitato dai magistrati requirenti evidenzia un rapporto di uno a venti tra i giudizi instaurati e le istruttorie avviate nel medesimo anno, a dimostrazione dell’elevato grado di selettività che connota l’attività requirente.
Va, del pari, evidenziato come un vaglio parimenti attento sia condotto, all’esito del processo, dai collegi giudicanti, dinanzi ai quali i convenuti possono esercitare le più ampie facoltà difensive. Sempre guardando alle risultanze del 2023, si può rilevare come, su circa 2000 pronunce di merito emesse dalle Sezioni giurisdizionali regionali, quasi una su tre abbia respinto la domanda risarcitoria (n. 604 sentenze di rigetto e n. 1.352 sentenze di condanna). In tali casi, peraltro, il giudice dispone altresì la liquidazione delle spese di difesa in favore dei convenuti ritenuti esenti da responsabilità.
Appare, allora, approssimativo, di fronte a simili dati, individuare la causa del fenomeno della burocrazia difensiva nel modo in cui la Corte dei conti, nel suo complesso, esercita le proprie funzioni.
Esso appare, più ragionevolmente, riconducibile a una pluralità di fattori, come la complessità del quadro normativo, sovente stratificato e reso difficilmente comprensibile dal rapido susseguirsi di innovazioni episodiche. Tra i rimedi alla paura della firma, dunque, si potrebbe individuare, in primis, l’avvio di un processo di reale semplificazione normativa, da affiancare a programmi di formazione che garantiscano l’elevazione del livello di preparazione del personale.
Ciò detto, è tuttavia un dato di fatto che il legislatore degli ultimi anni ha preferito intervenire nella direzione della modifica del regime della responsabilità amministrativa, sul presupposto che ciò renda meno gravosa, per gli agenti pubblici, l’assunzione delle rispettive decisioni e la relativa attuazione.
Una prima direttrice legislativa è consistita tout court nell’esenzione dalla responsabilità di determinate condotte, quando accompagnate dall’elemento soggettivo della colpa grave.
Abbiamo, in particolare, assistito all’emanazione, all’interno del d.l. n. 76/2020, conv. con l. n. 120/2020, di una disposizione transitoria – con efficacia poi prorogata sino al 31 dicembre 2024 –secondo la quale la responsabilità amministrativa presuppone la ricorrenza del dolo, salvo che non si tratti di danni cagionati da omissione o inerzia dell’agente, per i quali assume rilevanza anche la colpa grave (art. 21).
A fondamento della limitazione della responsabilità colposa alle sole condotte omissive, denominata nel linguaggio comune “scudo erariale”, si pone il dichiarato intento di favorire, in vista del rilancio dell’economia a seguito della pandemia da Covid-19, un comportamento degli agenti pubblici che sia volto a “fare”, piuttosto che a “non fare”, e cioè al superamento di quegli approcci “attendisti” che la paura della firma potrebbe ingenerare.
La norma si è però esposta da subito a numerosi rilievi, uno dei quali attiene – sotto il profilo, per così dire, assiologico, ossia del bilanciamento dei valori in gioco – al sostanziale sacrificio dell’integrità dell’erario in vista dell’accelerazione, che peraltro non significa necessariamente miglioramento della qualità, dell’azione amministrativa.
Essa, inoltre, nel derogare al requisito minimo della colpa grave, che la Corte costituzionale ha considerato principio generale dell’ordinamento non suscettibile di essere ulteriormente attenuato “in via generale” (Corte cost., n. 340/2001), appare irragionevole e sproporzionata, perché si applica anche a situazioni che nulla hanno a che fare con l’esigenza di garantire il rilancio dell’economia (i fatti di malpractice medica, ad esempio) e finisce per realizzare una discriminazione non fondata sull’effettivo disvalore dei comportamenti. Così, ad esempio, l’autore di condotte commissive non risponde del danno che ha cagionato, del quale è invece responsabile chi, essendo tenuto a controllarlo, ha omesso di farlo.
Per queste ragioni la magistratura contabile ha rimesso la disposizione all’esame del giudice delle leggi, sotto il profilo della violazione degli articoli 3, 28, 81, 97 e 103 della Costituzione (Corte conti, Sez. giur. reg. Campania, ord. n. 228/2023).
A diverse conclusioni può giungersi rispetto alla scelta, che ha animato altre disposizioni di recente conio, di pervenire alla tipizzazione della colpa grave.
L’art. 2 del nuovo Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 36/2023), nel declinare il principio della fiducia, prevede, in particolare, che in tutto il “ciclo di vita” del contratto – vale a dire, “nell’ambito delle attività svolte nelle fasi di programmazione, progettazione, affidamento ed esecuzione” – la colpa grave sussiste quando si verificano la “violazione di norme di diritto e degli auto-vincoli amministrativi, nonché la palese violazione di regole di prudenza, perizia e diligenza e l’omissione delle cautele, verifiche ed informazioni preventive normalmente richieste nell’attività amministrativa, in quanto esigibili nei confronti dell’agente pubblico in base alle specifiche competenze e in relazione al caso concreto”.
Nel contempo, la disposizione precisa che non costituisce, invece, colpa grave “la violazione o l’omissione determinata dal riferimento a indirizzi giurisprudenziali prevalenti o a pareri delle autorità competenti”.
Come si può notare, le norme in esame hanno trasformato in diritto positivo interpretazioni che già erano consolidate nella giurisprudenza. Si può, nondimeno, prevedere – e ravvisare, in ciò, una concreta incidenza innovativa – che proprio detto recepimento richiederà ai magistrati requirenti e giudicanti, rispettivamente nella editio actionis e nella decisione della controversia, una più puntuale individuazione degli specifici profili di colpa attribuibili al convenuto, da compiersi alla luce della articolata definizione sopra riportata.
Da ultimo, occorre dare atto di un disegno di legge governativo (d.d.l. Foti), attualmente all’esame della Camera dei Deputati, il quale si prefigge l’obiettivo di una riforma, stavolta, di più ampio respiro delle funzioni della Corte dei conti, intervenendo sia su quelle giurisdizionali che su quelle di controllo.
Tra le misure di maggior rilievo: è intensificato il collegamento tra l’esercizio dei controlli – tra cui un nuovo controllo preventivo, a discrezione dell’amministrazione, sui contratti del PNRR-PNC – e la responsabilità amministrativa; la responsabilità colposa, poi, è nell’esercizio delle attività conciliative e transattive che interessano, anche in materia fiscale, la pubblica amministrazione; per i casi in cui la condanna è disposta a titolo di colpa grave, viene operata una predeterminazione del limite minimo e massimo del risarcimento, con un “tetto” pari a due annualità del trattamento economico spettante al responsabile.
Non è opportuno scendere in commenti di dettaglio rispetto a un testo legislativo non ancora approvato. In termini generali, sebbene nel dibattito interno alla Corte dei conti siano emerse alcune perplessità circa le misure proposte, si deve, nondimeno, apprezzare il fatto che, diversamente da quanto spesso avvenuto negli ultimi anni, le innovazioni che interessano in modo stabile la Corte dei conti e le sue funzioni non sono oggetto di decreti di urgenza, bensì di un disegno di legge.
La riconduzione di innovazioni di carattere istituzionale come quelle in esame nel naturale alveo parlamentare consente di nutrire fiducia nella possibilità che, nel corso del procedimento legislativo, si sviluppi su di esse una interlocuzione costruttiva, nell’interesse dei cittadini e del miglior utilizzo delle risorse pubbliche.