La riforma delle sanzioni tributarie: finalmente una svolta?


La delega di riforma fiscale approvata con la Legge n. 111 del 2023 attraversa “a 360 gradi” il nostro sistema tributario, intercettandone le principali inefficienze e proponendo soluzioni assai equilibrate che, da un lato, tutelano gli interessi dell’Erario e, dall’altro, tengono in dovuto conto anche gli interessi dei contribuenti, che non sono sudditi.

Il suo obiettivo di fondo è rendere il nostro sistema maggiormente competitivo, aumentando l’appeal verso gli investimenti dall’estero ed evitando che le imprese che attualmente già vi operano si trasferiscano altrove.

L’intero tessuto imprenditoriale potrà beneficiare della delega giacché, oltre al significativo restyling dei singoli tributi – con interventi tutt’altro che marginali sulle imposte sui redditi, sulle operazioni straordinarie, sull’IVA, sull’imposta di registro e via dicendo – essa si occupa anche dei “grandi temi”, consistenti nel restituire certezza al diritto tributario, aumentare il livello di tutela dell’affidamento dei contribuenti, potenziarne le garanzie nella fase dell’accertamento e della riscossione, intervenire su taluni aspetti fondamentali del processo tributario e, per quanto qui di nostro interesse, restituire finalmente “proporzionalità” al sistema sanzionatorio amministrativo e penale tributario. 

È noto, infatti, che il nostro sistema sanzionatorio tributario, amministrativo e penale, rappresenta un ostacolo molto rilevante alla competitività del Paese, perché conduce il “rischio fiscale” a livelli tali da scoraggiare gli investimenti in Italia. 

Ebbene, nel grande progetto di nuovo ordinamento tributario nell’ambito del quale hanno già visto il varo definitivo una decina di decreti legislativi, si è inserito anche lo schema di decreto legislativo in materia di riforma del sistema sanzionatorio tributario amministrativo e penale licenziato dal Consiglio dei Ministri in data 21 febbraio 2024, ed ormai anch’esso prossimo, a seguito dell’articolato parere favorevole rilasciato dalle Commissione riunite Giustizia e Finanze in data 10 aprile 2024, al varo definitivo.

Mi limiterò di seguito a fornire un “assaggio” di talune tra le numerose novità che ci attendono, anche se per il momento senza effetti retroattivi per via dell’assenza delle necessarie coperture finanziarie.

In primo luogo, il legislatore pone finalmente mano all’abnorme sistema sanzionatorio amministrativo tributario.

È noto, infatti, che le sanzioni amministrative prevedono oggi una “forchetta” dal 90% al 180% del tributo dovuto nel caso di infedele dichiarazione, che aumenta dal 120% al 240% nel caso di omessa dichiarazione. 

Nessun ordinamento estero prevede siffatte sanzioni, il cui limite massimo non supera mai il 100% e, se a tale misura si avvicina o si attesta, lo fa soltanto in caso di comportamenti fraudolenti, i quali sono peraltro di regola i soli che rilevano anche sotto il profilo penale, oppure in caso di recidiva.

Ebbene, il legislatore compie un deciso avvicinamento del nostro ordinamento agli standard europei. 

Scompaiono, innanzitutto, le “forchette” e la sanzione diventa “unica”, attestandosi per l’omessa dichiarazione al livello minimo del 120% già previsto – avendo il Governo ritenuto di tenere fermo il particolare disvalore di chi omette di presentare la dichiarazione – e riducendola invece al 70% per le ipotesi di infedele dichiarazione, spesse volte peraltro dipendenti non da fatti di vera e propria “evasione”, bensì da questioni meramente interpretative. Il legislatore, inoltre, ha previsto che in presenza di circostanze che rendono manifesta la sproporzione tra violazione commessa e sanzione applicabile, questa venga ridotta fino ad un quarto della misura prevista (anziché alla metà, come in precedenza), con l’effetto che la sanzione potrà in tal caso attestarsi ad un livello pari al 17,50%.

Un rilevante “disallineamento” sanzionatorio dagli standard europei si verifica anche sul fronte del tardivo od omesso versamento dei tributi, in cui non solo nessuno Stato prevede come, nel nostro, una sanzione del 30%, attestandosi su livelli sensibilmente inferiori (di regola tra il 3% e il 10%), ma alcuni addirittura si limitano a richiedere i soli interessi. In Italia, invece, per i ritardati versamenti IVA (e ritenute) si ricorre addirittura alla sanzione penale – pur trattandosi di importi regolarmente dichiarati – solo prevedendosi la non punibilità nel caso di pagamento entro la prima udienza dibattimentale.

Ebbene, con la delega, la sanzione amministrativa per gli omessi versamenti scende dal 30% al 25%. 

Sul piano penale, si prevede, invece, per l’IVA e per le ritenute, che gli omessi versamenti non siano più punibili ove essi dipendano da cause sopravvenute non imputabili all’autore, dovendo il giudice tenere conto della crisi non transitoria di liquidità dovuta all’inesigibilità dei crediti per accertata insolvenza o sovraindebitamento di terzi o al mancato pagamento di crediti certi ed esigibili da parte di Amministrazioni pubbliche e della non esperibilità di azioni idonee al superamento della crisi. Viene altresì introdotta la non punibilità per “particolare tenuità del fatto”, per la quale rileva anche l’avvenuto adempimento integrale dell’obbligo di pagamento secondo il piano di rateizzazione concordato con l’Amministrazione finanziaria o del debito residuo quando il pagamento non si sia ancora completato.

A questo intervento si lega quello ulteriore relativo alla riduzione della pena sino alla metà per taluni reati dichiarativi attualmente prevista, come detto, a condizione che il debito residuo venga estinto entro la prima udienza dibattimentale. Si tratta di una condizione irragionevole, perché le rateizzazioni prevedono tempi ben più ampi, che la delega ha inteso correggere, consentendo d’ora in poi l’estinzione mediante rateizzazione entro la chiusura del dibattimento di primo grado, con conseguente sospensione del processo penale per un anno e poi ulteriore proroga automatica di altri tre mesi (e facoltativa di altri tre, per consentire l’integrale pagamento del debito), sempreché naturalmente il contribuente adempia puntualmente al piano rateale previsto. Tra i tempi di chiusura del dibattimento e le proroghe, il contribuente avrà così un intervallo ben più ampio per estinguere il proprio debito ed accedere ai meccanismi premiali.

Si tratta, in sostanza, di disposizioni che – lungi dal favorire gli evasori, come da qualcuno erroneamente rilevato – intendono al contrario rimettere “in carreggiata” quei contribuenti che desiderano “mettersi in regola” ed adempiere integralmente e regolarmente a quanto da essi dovuto; nonché evitare di attivare la sanzione penale per quei contribuenti che, in presenza di cause sopravvenute ad essi non imputabili, non siano stati in condizione di adempiere, ivi compreso per l’inadempimento di quello stesso Stato che pur non avendo onorato il proprio debito nei confronti di quel soggetto pretende oggi il pagamento delle imposte. 

In secondo luogo, la delega affronta il coordinamento con il sistema penale anche per superare le principali problematiche che il c.d. “doppio binario” ha sin qui generato.

Sotto un primo profilo, viene risolta la questione del sequestro, talvolta disposto dalle procure nonostante la stipula di un accordo con il Fisco. D’ora in poi – e salvo che vi sia un concreto pericolo di dispersione della garanzia patrimoniale del Fisco – il sequestro non potrà aver luogo ove il debito tributario sia in corso di estinzione mediante rateizzazione, purché il contribuente mantenga la regolarità nel pagamento delle rate. 

Sotto un secondo profilo, si supera l’annosa questione di quei contribuenti che dopo un estenuante dibattimento in sede penale si vedano assolti perché il fatto non sussiste, per poi sentirsi dichiarare nelle Corti di giustizia tributarie, all’esito di processi di natura eminentemente documentale e caratterizzati, come noto, da ben inferiore approfondimento istruttorio, che la contestazione fiscale è invece fondata.

D’ora in poi, infatti, le sentenze irrevocabili di assoluzione perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, pronunciate in seguito a dibattimento nei confronti del medesimo soggetto e sugli stessi fatti materiali oggetto di valutazione nel processo tributario, avranno efficacia di giudicato in ogni stato e grado del processo tributario, quanto ai fatti medesimi. Sicché una volta accertato in sede penale che quei fatti non sussistono – ad esempio, che le operazioni ritenute “fittizie” sono al contrario esistenti – il giudice tributario dovrà trarne le dovute conseguenze anche nella diversa sede amministrativa, annullando la pretesa erariale.

Quando, invece, per lo stesso fatto sia stata applicata, a carico del soggetto, una sanzione penale ovvero una sanzione amministrativa o persino una sanzione amministrativa dipendente da reato – sicché il legislatore riconosce adesso anche un possibile eccesso punitivo nel concorso tra sanzione amministrativa tributaria sull’ente e “sanzione 231” – il giudice o l’autorità amministrativa, al momento della determinazione delle sanzioni di propria competenza e al fine di ridurne la relativa misura, dovrà d’ora in poi tenere conto di quelle già irrogate con provvedimento o con sentenza assunti in via definitiva.

Anche il principio del ne bis in idem inizia, dunque, ad affacciarsi ufficialmente nel sistema sanzionatorio tributario italiano.

Naturalmente, i temi affrontati dalla delega sono ancora tanti e taluni ancora bisognosi di un fine tuning in vista della versione definitiva – tra tutti, la distinzione tra crediti non spettanti e crediti inesistenti – ma anche sul fronte sanzionatorio può senz’altro affermarsi che la strada intrapresa dal Governo è quella giusta.

Giuseppe Melis

Professore ordinario di diritto tributario nella LUISS Guido Carli, membro della Commissione sullo Statuto dei diritti del contribuente presso il MEF

Registrato al Tribunale di Roma il 19/09/2018, n. 155
Direttore: Roberto Serrentino

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