Il Documento di Economia e Finanza (DEF) ha due funzioni. La prima: analizzare l’andamento dell’economia e dei conti pubblici (i numeri cosiddetti “tendenziali”). La seconda: esplicitare, almeno a grandi linee, gli obiettivi e i programmi del governo per il triennio successivo (la parte “programmatica”).
Il DEF approvato il 9 aprile dal governo Meloni contiene solo la parte tendenziale. Ed è, quindi, del tutto inutile per capire (e discutere) la futura politica economica del governo.
È una scelta singolare, che in passato è stata adottata solo da governi dimissionari, mentre l’attuale esecutivo è nel pieno delle sue funzioni.
Perché? La motivazione ufficiale è la mancanza delle “istruzioni tecniche” applicative del nuovo patto di stabilità e crescita europeo. La motivazione reale è che Meloni e Giorgetti hanno deciso di tenere nascoste le loro carte. Tra meno di due mesi si vota per le europee e le amministrative ed è meglio non dare cattive notizie agli elettori.
Steso un velo pietoso su questo atteggiamento furbesco, una serie di chiarimenti l’esecutivo ha comunque il dovere di darli.
Il governo, in primo luogo, dovrebbe spiegare perché i conti nel 2023 sono andati completamente fuori controllo, con un deficit enormemente superiore rispetto alle previsioni iniziali e pesanti riflessi sul debito, che nei prossimi anni tornerà a crescere in rapporto al PIL (contrariamente alle previsioni del settembre scorso). La colpa è del super bonus, viene ripetuto come un mantra. Gli extra costi del 110 per cento sono sicuramente il fattore chiave. Nessuno dalle parti di Palazzo Chigi e di via XX Settembre però ci ha ancora spiegato perché, dopo il decreto legge di febbraio 2023 (il DL 11/2023 cosiddetto “blocca cessioni”), per un intero anno nulla di serio sia stato messo in campo per frenarne i costi. I numeri tratti dai report mensili pubblicati da ENEA possono aiutarci: all’insediamento del governo Meloni (ottobre 2022) gli oneri accertati del superbonus erano di 60,5 miliardi. A fine gennaio 2023, prima dell’emanazione del decreto, erano saliti a 71,8 miliardi. Nei mesi successivi, la progressione ha continuato inarrestabile fino ai 122,2 miliardi di fine marzo 2024. Cosa non ha funzionato in questi mesi? Perché il governo, dopo il decreto di febbraio 2023, è rimasto sostanzialmente inerte di fronte all’esplosione dei conti del 110?
Secondo: il governo, come abbiamo ricordato, ha scelto di non dire nulla sulla politica di bilancio che prefigura per i prossimi tre anni. Nel frattempo, i nodi che in tanti avevamo evidenziato quando abbiamo discusso la legge di bilancio stanno venendo puntualmente al pettine. La crescita prevista a settembre (+1,2 per cento nel 2024) si è rivelata sovrastimata e il governo è stato costretto a correggerla al ribasso (+1 per cento, un livello comunque ottimistico rispetto ad altre stime: Banca d’Italia ad inizio aprile ha stimato uno striminzito +0,6 per cento). Il governo non sa che pesci pigliare, per rilanciare l’economia, e l’Italia rischia di tornare ad una condizione di semi-stagnazione. Ci salva, in parte, il PNRR, ma il Piano esaurirà i suoi effetti a metà 2026. Il grosso delle misure dell’ultima legge di bilancio – dal taglio del cuneo contributivo al primo modulo della riforma IRPEF che ha accorpato i primi due scaglioni, fino al mini sconto sul canone RAI – sono finanziate solo per il 2024. Dal 2025 non c’è un euro. L’unica cosa che gli italiani hanno in mano è quella che il ministro Giorgetti ha definito, non senza ironia, la “cambiale” del governo (cioè l’impegno a rifinanziare queste misure con la prossima legge di bilancio). Ora che bisognerebbe esplicitare come trovare i soldi che mancano – a spanne, almeno 20 miliardi – il governo si è trincerato dietro un rigoroso silenzio. Nessun impegno preciso, nessuna indicazione sul reperimento delle risorse per la prossima manovra finanziaria. Con il DEF bisognerebbe iniziare a dire che, per trovare i soldi che servono, alcune tasse aumenteranno e una serie di spese saranno tagliate, mentre la strada del deficit, a cui il governo è ricorso a piene mani con l’ultima manovra di bilancio, sarà sostanzialmente impercorribile a causa delle regole stringenti del nuovo patto di stabilità (deciso dalla coppia Francia-Germania e avallato supinamente dal governo Meloni) e dell’apertura a carico dell’Italia di una procedura per deficit eccessivo. Meloni e Giorgetti dovrebbero iniziare ad ammettere che buona parte delle loro promesse (le “cambiali” di cui sopra) non saranno onorate. Un suicidio, prima delle elezioni di giugno. Quello che manca, in questo DEF, non sono le “istruzioni” europee.
Manca la volontà di dire la verità all’Italia.