La riforma del Garante del contribuente, approvata dall’art. 4, lett. g) della legge delega fiscale n. 111 del 9 agosto 2023, parte col piede sbagliato e gli interventi finora intervenuti, in ottemperanza alla delega, sembrano andare in una direzione ancora peggiore. Risultano indebolite non solo le garanzie del contribuente, ma emergono sospetti persistenti di dubbia costituzionalità.
La norma delegante prevede soltanto la creazione di un Garante nazionale e monocratico e la contemporanea soppressione dei Garanti presenti in ogni regione e nelle province autonome. Demanda formalmente e totalmente al Governo, con la scrittura dei decreti legislativi, la determinazione dei “compiti” da attribuire al nuovo Garante.
L’assenza di indicazione di principi e criteri direttivi rappresenta un vulnus all’art. 76 della Costituzione, in quanto si traduce in una delega in bianco. D’altra parte non si spiegano le ragioni per cui si è del tutto disatteso il disposto dell’art. 5 della stessa Carta, che impone il più ampio decentramento amministrativo. L’argomento, alquanto complesso, potrà essere sviluppato in un altro contesto, per ora si formula solo l’auspicio che la norma potrà e dovrà essere sottoposta alla valutazione della Corte Costituzionale.
Ma il vulnus emerge anche sotto altro profilo. La richiamata lettera g), assente nel testo originario dell’art. 4 del Governo, è stata inserita con un emendamento presentato alla Commissione Finanze della Camera ed approvato senza un approfondito dibattito.
Il testo dell’art. 4 prevede alcune modifiche allo Statuto del contribuente, modifiche che vanno, per lo più, nella direzione di rafforzare l’efficienza dell’Amministrazione finanziaria, soprattutto sotto il profilo della creazione di nuovi momenti di collegamento tra fisco e contribuente. Si immaginava pertanto che, proprio in presenza di una delega così ampia ed in linea con questa impostazione, il Governo creasse un Garante che, competente su tutto il territorio, vedesse ampliato e più incisivo il suo ruolo, in modo da consentirgli di uscire dall’isolamento in cui è rimasto emarginato per oltre vent’anni, fuori dal circuito istituzionale. Insomma, si sperava nella creazione di una sorta di Autority, realmente indipendente, non dissimile dalle altre.
Invece la bozza del decreto legislativo 23/X/23 (Atti del Governo 97) in ottemperanza alla delega, nel riformulare l’art. 13 dello Statuto del contribuente, non solo non ha previsto il rafforzamento dei poteri del Garante, ma ha posto le premesse per uno svilimento del ruolo che lo Statuto, con la stessa norma, gli aveva conferito. Non sarà più un organo di presenza sul territorio, facilmente accessibile, che agevola e vigila sul rapporto fisco/contribuente, nel rispetto dei principi di buona fede e collaborazione, prestando particolare attenzione alla parte più debole, cioè al contribuente. Un testo che tradisce l’impostazione politica, che aveva spinto il legislatore ad apportare quelle modifiche allo Statuto. Si è pagato in definitiva lo scotto per il mancato riconoscimento allo Statuto di norma primaria di livello costituzionale, su cui avevano tanto insistito, ma inutilmente, i padri fondatori.
Certo la creazione di un organo centrale e monocratico era imposta dalla legge, ma nulla impediva, anzi era doveroso, nel rispetto di quei principi, il mantenimento di strutture periferiche, sia pure rivisitate nella dimensione di macroregioni, magari con una delega formale al titolare della struttura tessa. Le richieste aventi ad oggetto tributi locali, per ovvie ragioni, impongono, attesa la loro specificità, la presenza sul territorio di un Garante, e quindi la doverosa particolare competenza e conoscenza di logistiche situazioni.
Il Garante nazionale, sempre auspicato dagli addetti ai lavori, doveva essere concepito come un punto di riferimento, di raccordo tra tutti i Garanti, ferma restando la loro autonomia. Un soggetto che, intercettando le loro esigenze e proposte, possa rappresentarle a tutte le Istituzioni centralizzate, con le quali gli attuali Garanti non hanno possibilità di interlocuzioni, data la loro collocazione a livello regionale.
Comunque la maggior parte delle attribuzioni, che il citato art. 13 conferiva al Garante, con la nuova formulazione viene soppressa. Al Nuovo si riconoscono soltanto alcune delle competenze residuali, quali le “raccomandazioni, le diffide a rispettare determinate norme dello Statuto”, da attivare, solo su istanza del contribuente, verso i singoli uffici. Son previsti anche sopralluoghi! Scompaiono tutte le attribuzioni che determinano, hanno determinato, l’essenza delle attività dei Garanti, fatte di interlocuzioni, quindi di contatti diretti con gli uffici impositori ed i contribuenti. Una dialettica dinamica che ha portato, per questi ultimi, nel corso degli anni, a raggiungere un esito positivo delle loro istanze nella misura di oltre il 40%. Gli viene persino sottratto il potere più significativo ed assorbente: l’attivazione dell’autotutela che, con la ripartizione tra obbligatoria e facoltativa, operata dallo stesso decreto, avrebbe bisogno, soprattutto rispetto alla seconda, collegata a fattispecie di non evidente illegittimità, dell’intervento del Garante. Il progetto dell’Associazione dei Garanti immaginava che tutte le istanze di autotutela dovessero essere indirizzate in via prioritaria al Garante. Ma i progetti governativi sono diversi ed il contribuente rimane solo in balia del Fisco.
Quanto poi alla composizione dell’organo, si riscontra, già da tempo, una pericolosissima tendenza, soprattutto nel campo della giurisdizione, ad attribuire sempre maggiori competenze ad un organo monocratico, che certamente non dà maggiori garanzie rispetto al collegio. La scelta viene motivata dalla esigenza di realizzare una maggiore produttività o accelerazione dei procedimenti. Esigenza che non viene assolutamente soddisfatta riscontrando i dati statistici, mentre quella scelta si traduce in un progressivo calo della certezza del diritto ed in un accrescimento dell’autoreferenzialità del magistrato, non più vincolato o condizionato da una dialettica nel momento decisorio. Questa scellerata moda aveva indotto il legislatore già nel 2011 a ridimensionare il Garante da organo collegiale a monocratico, dopo aver accarezzato l’idea di sopprimerlo! Per il “magistrato della persuasione”, come viene appropriatamente definito il Garante, quella esigenza non sussisteva e non sussiste ora. Va sottolineato comunque che le pratiche in tutti gli uffici del Garante vengono completate in termini ragionevoli, subordinatamente al rispetto (peraltro in alta percentuale osservato) dei termini assegnati agli Enti impositori per le risposte alle richieste. Anzi, si è sempre ravvisato un problema opposto, quello cioè di incrementare i flussi di lavoro, attraverso una politica volta a far conoscere questa figura, ancora per lo più ignorata anche dagli addetti ai lavori. Per il neo Garante, proprio perché nazionale, sarebbe stato necessario prevedere una collegialità.
Anche l’autonomia, pur proclamata nello stesso articolo, subisce un ulteriore e sensibile condizionamento, posto che il potere di nomina del Garante viene conferito al Ministro dell’Economia e delle Finanze che determinerà pure il compenso dovuto, mentre il neo Dipartimento della giustizia tributaria dello stesso Ministero fornirà personale e mezzi per il funzionamento dell’ufficio. Non è previsto alcun potere di controllo, ma è implicito che esso sarà esercitato in ragione del gradimento dell’operato, soprattutto alla scadenza del quadriennio, quando si proporrà l’eventuale rinnovo dell’incarico. Detta mancata previsione è una patologia esistente anche nella normativa vigente, che a volte ha comportato qualche problema. Uno dei principi cardini della nostra Carta costituzionale è rappresentato proprio dal sistema di reciproci controlli tra le Istituzioni. Queste le ragioni per le quali i titolari delle Autority vengono nominati dal Parlamento. Per altro verso, se il personale ed i mezzi vengono forniti dal MEF, si comprende facilmente che l’autonomia del Garante sarà notevolmente compromessa: il funzionamento del suo ufficio è subordinato alle determinazioni della politica ministeriale, mentre la contiguità del personale (che istruirà inevitabilmente le pratiche), con quello delle Agenzie delle Entrate, non assicura la terzietà indispensabile. Sarebbe necessario quindi conferire al Garante un’autonomia contabile, che gli consenta di disporre di personale alle sue dipendenze e di mezzi da acquistare con proprie disponibilità.
Le scarse speranze, che si nutrivano in un ripensamento da parte degli organi preposti, si sono ulteriormente ridotte. Qualche giorno fa è stato inviato alle Commissioni parlamentari competenti il testo della bozza del decreto legislativo, rivisitato e licenziato dagli uffici studio del Senato e della Camera. La parte concernente il Garante è rimasta quasi totalmente immutata. Si confida almeno nella disciplina transitoria dell’emanando Regolamento, che non lasci neppure per un giorno il contribuente sprovvisto di quella minima o massima garanzia che il Garante gli può assicurare.