Tirare a campare è la filosofia di questa legge di bilancio

La coperta è corta è diventato il mantra della legge di bilancio 2024. Senza dubbio le cose non vanno bene, dal punto di vista economico e sociale. Il PIL nel terzo trimestre si è fermato e nell’anno crescerà, se va bene, marginalmente. L’inflazione è rimasta per mesi su livelli molto elevati, erodendo fortemente il potere d’acquisto dei redditi fissi. Il brusco rialzo dei tassi di interesse sta mettendo in forte difficoltà le famiglie, le imprese e i conti pubblici. Detto questo, il Governo ci ha messo del suo, per accorciare ulteriormente la coperta. Un anno di condoni, anziché ingaggiare una lotta seria contro l’evasione fiscale. Nessuna seria revisione della spesa. E mesi e mesi di incertezza sul PNRR, che hanno prodotto un sensibile rallentamento del ritmo di attuazione delle riforme e degli investimenti del Piano.

La manovra di bilancio presentata dal Governo nasce in questo contesto. E si caratterizza innanzitutto per la sua fragilità. È finanziata per due terzi in deficit. Si basa su previsioni di crescita largamente sovrastimate. Lega la (lieve) riduzione del debito a un obiettivo irrealistico di privatizzazioni.

La misura più importante, la proroga per il 2024 del taglio del cuneo fiscale, è un atto dovuto. Ma vale solo per un anno, così come avviene per tutte le altre principali misure della manovra, dall’avvio della riforma IRPEF – che accorpa i primi due scaglioni, distribuendo a pioggia poco più di 4 miliardi di euro per 25 milioni di contribuenti – alla deduzione aggiuntiva per le assunzioni, fino alla misura sul canone RAI. È il segno di una manovra scritta come se non ci fosse un domani. Provvisoria. Ed elettorale, visto che a giugno dell’anno prossimo è calendarizzato il voto per il Parlamento europeo.

Per il resto, c’è davvero poco, nella seconda legge di bilancio del Governo Meloni. Risorse aggiuntive per la sanità, ma meno di quanto chiedevano il ministro della salute e le regioni e, soprattutto, molto meno di quanto servirebbe almeno per stabilizzare la spesa sanitaria in rapporto al PIL al livello attuale. Scelte restrittive e inique sul sistema pensionistico, in totale controtendenza rispetto alle promesse elettorali di superamento della riforma Fornero. Zero per politiche pubbliche importanti come quelle per la casa e il trasporto pubblico locale. Qualcosa per la famiglia, ma con l’eclatante contraddizione dell’aumento dal 5 al 10 per cento dell’IVA sui prodotti per l’igiene femminile e l’infanzia. Una sventagliata di tasse sulle materie più disparate, dall’aumento della cedolare secca sugli affitti brevi alla revisione del regime fiscale degli impatriati, alla faccia di un governo che si era impegnato a non mettere le mani nelle tasche degli italiani. Tagli per gli enti territoriali. E quasi 12 miliardi di euro per un’opera molto criticata come il Ponte sullo stretto di Messina.

Sarebbe servito un robusto pacchetto di misure contro il carovita e per la difesa del potere d’acquisto dei redditi. Niente di tutto questo, salvo la proroga del taglio del cuneo fiscale e poco altro.

Avremmo bisogno di un cambio di passo sul PNRR e sulle politiche industriali. Non c’è n’è traccia, nella legge di bilancio. Nel frattempo, il governo sovranista ha ceduto ITA a Lufthansa, non sa che pesci pigliare sulla ex ILVA e ha avallato la vendita della rete TIM – un asset strategico nazionale – al fondo infrastrutturale americano KKR.

Era necessaria una iniezione di risorse fresche sulla sanità, la scuola, le politiche di coesione sociale. Si preferisce invece impegnare oltre 4 miliardi per una inutile revisione dell’IRPEF di cui nessuno o quasi si accorgerà.

Tirare a campare: è questa la filosofia di questa legge di bilancio.

Si prende a calci la lattina nella strada, cercando di scavallare le elezioni europee e rinunciando ad esprimere una qualche visione del futuro del Paese.

È un errore. Che ci porterà dritti verso un binario morto.

Antonio Misiani

Senatore, responsabile economico della Segreteria nazionale del Partito Democratico

Registrato al Tribunale di Roma il 19/09/2018, n. 155
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