Nei giorni scorsi ha suscitato un grande clamore mediatico, oltre che un animato dibattito pubblico, il provvedimento emesso da un giudice catanese in materia di protezione internazionale di un cittadino straniero entrato clandestinamente in Italia, avente ad oggetto la mancata convalida del decreto amministrativo del suo trattenimento all’interno di un centro di permanenza e rimpatrio.
Il giudice ha ritenuto, sulla scorta della normativa e della giurisprudenza euro-unitaria (una direttiva dell’Unione Europea del 2013 e una sentenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea del 2022), che la legislazione italiana fosse incompatibile con quella sovranazionale.
Ha, pertanto, disapplicato la normativa interna, non ha convalidato il decreto del Questore e ha disposto l’immediato rilascio dello straniero.
Nulla di eclatante, né di sovversivo: una ordinaria pronuncia giurisdizionale su un caso specifico, a seguito di una domanda di tutela giudiziaria avanzata da un difensore sulla scorta della legge sostanziale e processuale attualmente in vigore nel nostro Paese.
Si potrebbe e dovrebbe discutere, in un Paese democratico e libero, del contenuto del provvedimento, visto il tema sensibile che esso affronta e l’attualità (in realtà ormai decennale) della problematica questione della immigrazione clandestina in Europa di persone provenienti dall’Africa attraverso il Mar Mediterraneo.
Legittimo, persino doveroso, il diritto di critica dello stesso come, ovviamente quello, opposto, di piena e pubblica condivisione dei princìpi applicati. È la democrazia, bellezza (per parafrasare una ben nota citazione cinematografica!).
C’è un limite al diritto di critica dei provvedimenti giudiziari? La risposta non può che essere affermativa: quando la censura diventa contumelia o diffamazione o interferenza o intimidazione, essa costituisce un illecito, deontologico, prima che giuridico, specialmente quando proviene da altri pubblici funzionari.
Ancor più grave quando la contestazione nei confronti di un provvedimento degeneri in un vero e proprio attacco immotivato alla sentenza o, peggio ancora, alla persona del giudice per suoi comportamenti extraprocessuali, magari pregressi e soltanto latamente connessi alla decisione.
Nel caso in esame, infatti, gli attacchi non sono stati rivolti al provvedimento e al merito dello stesso, ma ad una presunta ideologizzazione del giudice.
Esponenti del Governo hanno additato il magistrato che non ha convalidato il trattenimento dello straniero come un “nemico della sicurezza della Nazione (…) o un ostacolo alla difesa dell’ordine pubblico (…e di) scagliarsi contro i provvedimenti di un Governo democraticamente eletto”.
Cosa ancor peggiore è stato riesumare un video risalente a cinque anni prima, non si sa bene di quale provenienza, che riprendeva il magistrato mentre partecipava ad una manifestazione di protesta contro il Governo dell’epoca (un rappresentante del quale è attuale Ministro dell’Esecutivo in carica) per avere impedito per giorni lo sbarco di centinaia di cittadini extracomunitari – tra i quali molte donne e bambini – dopo essere stati essi condotti in un porto sicuro italiano in base alla normativa internazionale.
Divulgato il video in ogni modo e attraverso svariati media, i detrattori di quel provvedimento hanno accusato pubblicamente il magistrato di ideologizzazione e di mancanza di neutralità, così confondendo maliziosamente il dovere di esercizio delle funzioni in modo imparziale (art. 1 d.lgs. 109/2006 e articolo 9 Codice etico dei magistrati) con l’obbligo deontologico, per ogni giudice, di apparire terzo in ogni suo comportamento sociale, al fine di impedire che si alteri la fiducia del pubblico nella sua imparzialità e nella sua indipendenza (vd. art. 6-2 Statuto Universale del giudice, approvato dall’Unione Internazionale dei magistrati nel 1999 a Taiwan e aggiornato a Santiago del Cile nel 2017).
“Essere imparziali vuol dire giudicare il caso sottoposto con obiettività e senza preconcetti, seguendo soltanto la propria coscienza nell’applicazione della norma giuridica; vuol dire non lasciarsi influenzare da simpatie, interessi personali, forse e interessi esterni di qualsiasi genere; vuol dire giudicare senza aspettative di vantaggi e senza timore di pregiudizi”: così mirabilmente il giudice Rosario Livatino descriveva il dovere di imparzialità del magistrato.
Nella fattispecie il giudice ha svolto le sue funzioni in modo imparziale e seguendo scienza normativa e coscienza. La lettura del provvedimento dimostra che esso è il frutto di una interpretazione del quadro normativo e giurisprudenziale attualmente vigente. Ogni doglianza può essere oggetto di impugnazione, come prevede la legge per qualsiasi atto giudiziario.
Il presunto tradimento della neutralità dell’apparenza è stato solo un pretesto per screditare e delegittimare il suo operato e soprattutto per dissuadere altri giudici e pubblici ministeri dall’adozione di quella linea interpretativa sgradita ai governanti. Questo è un atteggiamento gravemente lesivo delle prerogative della Magistratura e in pieno spregio del principio di separazione dei Poteri, oltre che di qualsivoglia “disciplina e onore” nell’adempimento delle funzioni pubbliche (art. 54 Cost.).
Molto strano il fatto che certi nostri politici accusino di collateralismo e di ideologizzazione i magistrati soltanto quando devono interferire su singoli provvedimenti a loro sgraditi.
Incredibilmente, però, ad ogni tornata elettorale, gli stessi politicanti dimenticano che i gruppi che animano la vita associativa e istituzionale della Magistratura da decenni hanno sempre manifestato simpatie politiche nei confronti dei partiti in auge, e che decine di loro sodali e/o di loro rappresentanti “ideologizzati” vengono consuetamente accolti e abbracciati, nell’ordinario spoil system, all’interno della compagine governativa, ad esempio riempiendo il Ministero della Giustizia di magistrati amici dei governanti, scelti su base fiduciaria e con criteri altrettanto politici.
Certamente il magistrato ha un dovere etico di astenersi da ogni comportamento, azione o manifestazione capaci di intaccare la sua apparenza di imparzialità, specialmente in occasioni pubbliche o quando usa i social networks.
Ma non si può immaginare una neutralità culturale del magistrato, che è anche essere umano e cittadino. Una cosa è la “politicità delle idee” del singolo giudice o pubblico ministero – che non contrasta con il dovere di imparzialità del magistrato, purché espressa con quelle indefettibili moderazione e sobrietà che dovrebbero connotare l’azione di ogni esponente dell’Ordine giudiziario altra cosa è la “politica partitica”, che è una scorretta discesa in campo del singolo giudice e un tradimento dell’immagine pubblica di indipendenza e di terzietà.
Tutte le carte internazionali e la nostra Costituzione, in primis, riconoscono il carattere assoluto della libertà di manifestazione del pensiero e di espressione, sia sotto il profilo oggettivo che sotto quello soggettivo.
Non può più esistere un giudice che parla solo con provvedimenti, quando progetti di legge o decreti d’urgenza o potenti esponenti di un Governo interferiscono pesantemente sulla giurisdizione o sull’assetto dei poteri dello Stato o sull’autonomia e indipendenza della Magistratura.
In questi casi il magistrato non ha solo il potere di parlare, ma il dovere di gridare ai cittadini i rischi che l’ordinamento giuridico corre, perché gli interessi che difende chi svolge funzioni giudiziarie non saranno mai quelli personali, ma solo quelli dei singoli cittadini.
Il magistrato è chiamato alla tutela dei diritti di ogni membro del consesso sociale ed esercita quella funzione in nome del – e per il – popolo italiano.
Ogni volta che la democrazia, la separazione dei poteri e lo stato di diritto sono minacciati, ogni giudice ha il dovere di parlare in difesa della indipendenza della magistratura e dell’ordine costituzionale, anche su questioni politicamente sensibili, specialmente quando esse involvono diritti fondamentali dell’essere umano (così, di recente anche l’opinione n. 25/2022 del 2.12.2022 adottata dal Consiglio Consultivo dei giudici europei).
Anche i magistrati italiani, specialmente coloro che hanno incarichi di rappresentanza associativa e istituzionale della categoria, devono rivendicare questo diritto/dovere, nei limiti sopra indicati, specialmente in un periodo storico dove veementi sono gli attacchi alla giurisdizione e allo Stato di diritto anche nei Paesi liberaldemocratici europei.
La medesima opinione del Consiglio Consultivo dei giudici europei del dicembre 2022 sottolinea come i magistrati abbiano un dovere etico di spiegare al pubblico il sistema giudiziario, il funzionamento della magistratura e i principi di indipendenza interna ed esterna al fine di promuovere e preservare la fiducia del pubblico nell’attività giudiziaria.
Ecco: l’impegno sociale dei rappresentanti associativi e degli organi di autogoverno giudiziario oggi dovrebbe sostanziarsi in una missione “apostolica”, giusto per restare in tema! intesa nel senso etimologico del termine, ossia di “inviati e mandatari”, all’esterno della torre d’avorio, dei principi fondamentali che in una moderna Costituzione repubblicana dovrebbero connotare la funzione giurisdizionale e il rapporto con gli altri poteri dello Stato.