Il 7 ottobre 2023 diventerà una delle date “storiche”, che sarà di anno in anno amaramente ricordata. Una folta cellula del gruppo terroristico di Hamas si introduce in territorio israeliano, commettendo atrocità indicibili, in buona parte, contro civili inermi.
Oltre alle circa 1400 vittime e ai numerosissimi feriti, vengono rapite circa 230 persone, tutt’oggi ostaggi di Hamas, appartenenti a fasce d’età differenti: da neonati ad anziani.
Migliaia di razzi lanciati contro Israele, i cui danni sono stati attenuati soltanto grazie ad un efficiente sistema antimissilistico.
Manifestazioni in varie città europee, e non solo, hanno inneggiato ad Hamas, esprimendo profondo dissenso nei confronti di Israele, che ha reagito bombardando la Striscia di Gaza.
Cosa dire? L’ideologia che avversa l’uomo occidentale, “ricco e prepotente”, supporta immancabilmente la controparte, fino al punto di sostenere e quasi idealizzare bande terroristiche, con tipico tifo urlato da stadio, che purtroppo connota sempre di più anche gli atenei del Bel Paese.
Quale può essere, infatti, la giusta motivazione alla base di un attacco così barbaro, contrario ad ogni diritto etico e morale?
Non è certo la conquista di un territorio (peraltro qui si ricorda che Gaza è stata consegnata ai palestinesi nel 2005).
Neanche si può affermare che l’obiettivo di Hamas fosse colpire strutture militari israeliane. Le ignobili operazioni terroristiche del 7 ottobre scorso si sono svolte infatti in villaggi agricoli e contro raduni di giovani in festa, automobilisti in transito, un numero impressionante di bambini.
Infine, ad attivare il massacro non è stato neppure il perseguimento di migliori condizioni economiche e sociali degli abitanti di Gaza. Si pensi che, prima dell’attacco, da Gaza entravano in Israele ogni giorno circa 50.000 persone, aventi permesso di lavoro.
Appare evidente, dunque, che la strage operata da Hamas non è scaturita da nessuna delle tanto dibattute questioni di cui sopra e che deriva molto linearmente dall’unico e solo obiettivo del gruppo radicale: eliminare gli infedeli (i “non mussulmani”).
In particolare, lo statuto di fondazione di Hamas, redatto nel 1988, esortava molto chiaramente alla cacciata degli Ebrei dal Mediterraneo al Giordano.
Sebbene nel 2017 Hamas pubblicò un nuovo statuto, rivisitato nelle sue parti più esplicitamente rivolte al pocanzi menzionato obiettivo, buona parte della leadership continua a mantenere la medesima linea retorica, come emerge da diverse interviste rilasciate in questi giorni.
Il recente riavvicinamento tra Israele e alcuni paesi arabi ha costituito una prova inconfutabile della solida volontà di raggiungere condizioni di normalità e di pace.
Si ricorda, infatti, che gli Accordi di Abramo, intervenuti nel settembre 2020, si sono poi concretizzati in collaborazioni di rilevante portata, soprattutto nel campo economico e in quello della difesa.
L’accordo più importante è quello di libero scambio, firmato nel maggio 2022, tra Israele e gli Emirati per l’esenzione dalla dogana di circa il 95% dei prodotti commercializzati.
Un tale traguardo era nato con l’obiettivo di consentire finalmente uno scambio significativo tra realtà imprenditoriali israeliane ed arabe, in settori quali quelli delle energie rinnovabili e della innovazione tecnologica.
Firmati poi, tra gli altri, un accordo di cooperazione per lo sviluppo di competenze anti-drone e un Memorandum d’Intesa nel settore della sicurezza.
Luminosi segnali di tale portata non devono essere ignorati, tantomeno cancellati dalla ferocia di una cellula terroristica.
Auspicabilmente tali rapporti dovrebbero invece incrementarsi sempre di più, isolando i gruppi di assassini e puntando invece a una sana cooperazione e a uno sviluppo dal potenziale imponente, sempre nel rispetto delle proprie peculiarità.
Non lasciamo spazio a chi vuole la morte per la morte; la legge del taglione non ha futuro.
Pace: Shalom (in ebraico), Salam (in arabo).