Matteo Messina Denaro, se mi fosse dato di poterlo incontrare

Non possiamo permetterci il lusso di essere ingenui, credendo che con la morte di Matteo Messina Denaro sia morta la mafia. È morto un mafioso, forse il capo dei mafiosi, ma purtroppo non è morta la mafia, sia come associazione a delinquere, sia come cultura, sia come atteggiamento esistenziale.

La mafia è un fenomeno sociale negativo, che ha avuto origine in Sicilia, ma che presto si è diffuso in molte altre zone d’Italia e fuori d’Italia, pur continuando ad avere in Sicilia il suo principale centro.

Sulla mafia si sono scritte intere biblioteche. La mafia non viola il diritto ma lo nega, non riconosce il monopolio statale della violenza e quindi è fuori e contro lo Stato, considerando il ricorso all’omicidio come la sua forma di giustizia. Nello stesso tempo, però, per le sue attività legate al denaro pubblico e la sua partecipazione attiva alla vita pubblica, essa è dentro e con lo Stato, per cui la definizione di “criminalità istituzionalizzata” della Commissione d’inchiesta del Parlamento Europeo (novembre 1991), coglie pienamente nel segno.

A partire dalla metà degli anni novanta (1995-1996) si è assistito, dopo il terrore degli anni ’70-’80, ad una progressiva e sensibile trasformazione, quasi un ritorno al passato, del modo in cui “cosa nostra” si è manifestata. Trasformazione caratterizzata da una progressiva scomparsa dalla scena pubblica e da una perdita di visibilità, che alcuni analisti hanno interpretato come un segnale di declino, di sconfitta, di indebolimento.

Di fatto, la minore visibilità di “cosa nostra”, più che essere un indicatore di un declino, è stato il frutto di una precisa scelta strategica che, se in parte motivata da alcune restrizioni e limitazioni imposte dal vigore dell’azione giudiziaria, d’altra parte è studiata e voluta per dare un nuovo rilancio alle attività dell’organizzazione.

Le osservazioni di questi ultimi anni ci portano a ritenere che “cosa nostra” si sia trasformata attraverso un percorso articolato nel segno della continuità e della stabilità, ma non della staticità. Una continuità ancorata alla tradizione storico-familiare, in cui nuove generazioni di uomini d’onore, discendenti per lo più da vecchi patriarchi, continuano ad alimentare il nucleo forte dell’organizzazione, in un milieu in cui si sono perdute anche le vecchie distinzioni tra vincenti e perdenti dell’ultimo e più recente conflitto interno alle famiglie.

Oggi, a differenza dei padri e dei nonni, la nuova generazione di uomini d’onore investe in borsa e sul mercato immobiliare internazionale, trasferisce fondi e capitali con moderni mezzi telematici, pianifica gli investimenti con le multinazionali e le aziende di rilevanza transnazionale.

La mafia è un fenomeno che potremmo definire inafferrabile, è entrata nel costume, nel modo di dire e di fare. Non esiste infatti soltanto la mafia come associazione a delinquere, esiste un costume mafioso, atteggiamenti, criteri di giudizio, modelli di vita che si creano nella quotidianità e che non vanno nella direzione dei valori evangelici.

Ai mafiosi veri e propri – che sono il primo livello -, si può affiancare chi, pur non entrando nella illegalità, ritiene di poter capire e giustificare quanti operano illegalmente e offre, a questi ultimi, una copertura almeno morale con il proprio silenzio. Questo è il secondo livello della cultura della mafia, in cui si possono collocare anche molti cristiani, che sottostanno alle leggi del ricatto, del pizzo, che fanno finta di non sapere e che si lasciano condizionare dalla paura.

Ma vi è, inoltre, un terzo livello, quello di coloro che partecipano al diffondersi della cultura della mafia, come evidenziato da Giuseppe Savagnone in “La Nuova Evangelizzazione di fronte alla cultura della mafia” del 24 ottobre 1992: «Con la loro indifferenza, con la rassegnazione, con la convinzione che non si possa far altro se non fare come tutti, con l’auto-giustificazione di non aver tempo per occuparsi di ciò che riguarda il bene comune, con il credere che nei comportamenti come la raccomandazione, la richiesta o la pratica di favoritismi e simili, non ci sia niente di male, col loro stessi sentirsi a posto mentre altri, accanto a loro, muoiono».

A chi guarda con senso critico la realtà quotidiana appare più che mai chiaro che la mafia non sono soltanto persone e organizzazioni precise, sono anche atteggiamenti e comportamenti diffusi, uno stile di vita che contagia l’apparato amministrativo, burocratico e molti gesti della vita quotidiana.

Vi sono alcuni presupposti che devono essere rimossi, perché risultano essere luoghi vitali per il nascere e il crescere della cultura mafiosa: il problema della disoccupazione, l’importazione di pseudo-valori estranei alla cultura del Sud, la mentalità feudale che costringe ad un atteggiamento dipendente da nuovi padroni democraticamente eletti, la mafiosità come cultura dominante, la criminalità feroce, la mancanza del senso della legalità e del senso dello Stato. Fin quando non si creeranno le condizioni adatte per uscire fuori da questi mali, sarà difficile ipotizzare l’emarginazione della mafia e dei mafiosi.

Come medicina a questa malattia, la Commissione parlamentare antimafia riconosce che è urgente

«ripristinare la fiducia nella legge da parte dei cittadini e cercare di rompere quel principio, abbastanza diffuso nel comune sentire delle comunità meridionali, secondo cui non si ottiene nulla secondo le regole e per un proprio diritto, mentre si ottiene molto attraverso privilegiati rapporti personali con chi detiene il potere, sia esso politico che mafioso».

Di fronte al fenomeno mafioso non è sufficiente la repressione, attraverso una efficiente presenza della magistratura, ma è necessario un impegno straordinario di tipo educativo, che chiama in causa tutti gli uomini onesti, per evitare che il tessuto sociale e politico del Paese scivoli gradatamente in un processo di imbarbarimento delle istituzioni, di adeguamento al metodo mafioso, utilizzando il quale non sarà più facile discernere i confini tra lecito e illecito.

Il giorno in cui Matteo Messina Denaro è stato catturato, 16 gennaio 2023, ho scritto: Io non posso gioire per la cattura di Messina Denaro. Gioire contro di lui lo percepisco come un atto di ulteriore violenza. Gioire per la sua cattura lo vivo come un’ulteriore forma di sconfitta umana. Non posso pensare con la sua stessa logica, non posso continuare con il suo stesso agire. Io oggi non brindo! Io oggi vorrei piangere, ma anche questo non riesco a fare!

La cattura di Messina Denaro non mette fine alla violenza, alla disonestà, all’ingiustizia. Mette fine alla sua latitanza, assicura la giustizia alle sue vittime, disarma un pericoloso violento. Certo, tutto questo non è affatto poco ma, di questo, non mi posso accontentare.

Non posso gioire, perché la mafia in tutte le sue sfaccettature non è ancora finita, la logica mafiosa non è ancora superata, lo stile di vita prepotente ancora non è debellato, gli imbrogli e le comunelle sono ancora all’ordine del giorno.

Inoltre, come cristiano non posso gioire perché attorno a quest’uomo vedo solo fallimenti e dolori. Il fallimento di una vita dedicata al male che ha fatto, direttamente e indirettamente, soffrire tutti. Ha fatto soffrire le sue numerose vittime, i suoi concittadini che si vergognano di lui, i suoi familiari, lui stesso che ha vissuto come un topo nascosto dentro una fogna.

Queste domande mi tengono inquieto. Non posso gioire, perché un altro prenderà il suo posto e continuerà a portare morte e dolore dentro la società. La sua cattura non è la fine del male, ma solo il passaggio del testimone. Io non posso gioire per la sua cattura!

Se mi fosse dato di poterlo incontrare, gli consiglierei di utilizzare questo ultimo tempo della sua vita, prima che il tumore lo consegni alla vera morte, per recuperare il male fatto, collaborando con la giustizia umana, gridando forte, in modo che tutti possano sentirlo, il suo fallimento umano. Matteo, fai un atto eroico, trova dentro di te il coraggio necessario per dire, chiaro e forte, che nella violenza non c’è futuro.

Se mi fosse dato di poterlo incontrare gli direi, inoltre, di non disperare, perché Dio è più grande del suo male e, se lui lo desidera, assumendosi tutte le sue responsabilità, può riiniziare una vita nuova, finalmente! Matteo Messina Denaro dai spazio a quello che resta della tua umanità e convertiti, torna alla verità, alla giustizia, alla pace, a Dio. Chiedi perdono a tutti e presentati con umiltà, così come oggi ti abbiamo visto, per ritrovare un posto di “Uomo vero” dentro l’umanità.

Matteo, fratello mio, fai memoria di quella fede che hai ricevuto in dono nel momento del battesimo e, rinnegando tutto il male fatto, affidati a Dio che comunque ti cerca ed è l’unico, forse, che continua a volerti bene.

Con questo accorato appello ho inteso scuotere le coscienze di quanti, senza nemmeno accorgersene, respirano la cultura mafiosa e magari implicitamente la considerano non proprio così pericolosa.

Adesso che è morto, continuo a dire io non posso gioire, perché vedo il fallimento di una vita umana e tutto il male che ha fatto e che ha lasciato in eredità a quanti si riconoscono come suoi discepoli.

Leonardo Sciascia in A futura memoria scriveva: «la democrazia non è impotente a combattere la mafia o meglio: non c’è nulla nel suo sistema, nei suoi principi, che necessariamente la porti a non poter combattere la mafia, a imporle una convivenza con la mafia. Ha anzi tra le mani lo strumento che la tirannia non ha: il diritto, la legge uguale per tutti, la bilancia della giustizia».

A tutto questo aggiungo che la società italiana per combattere la mafia e i mafiosi ha dalla sua parte la sua lunga storia educativa, a cui deve ritornare a dare il primato, per aprire le nuove generazioni alla speranza. Questa è una missione ancora tutta da compiere per evitare che un nuovo capo mafia metta sotto scacco il futuro degli uomini onesti e laboriosi.

Don Giuseppe Alcamo

parroco in Mazara del Vallo - docente di Teologia alla Facoltà di Giurisprudenza ed Economia alla LUMSA di Palermo e alla Facoltà Teologica di Sicilia “S. Giovanni Evangelista”

Registrato al Tribunale di Roma il 19/09/2018, n. 155
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