Ha perfettamente ragione il ministro Giorgetti quando dichiara che, in relazione all’evoluzione dello scenario italiano, non è tanto preoccupato dalle considerazioni della Commissione Europea, quanto dalle possibili reazioni dei mercati. Ed ha ragione perché, in presenza di un fardello di quasi 3000 mld di debito, in parte detenuto anche all’estero, è doveroso preoccuparsi delle reazioni dei mercati. A questo proposito, non bisognerebbe mai scordarsi della lezione del Novembre 2011 quando il “Sentiment” dei mercati (il fattore S), inteso come le paure, le elucubrazioni le ansie dei mercati, presero il sopravvento sui dati reali del Paese. La conseguenza immediata fu allora il balzo dello spread rispetto ai Bund fino a 575 bp e la volata del rendimento dei BTP decennali oltre il limite del 7% considerata la soglia “di non ritorno”.
Ciò detto, non c’è dubbio che, attualmente, un faro sulla situazione italiana sia stato acceso anche in relazione al fatto che il BTP decennale ha toccato il rendimento del 5% (non accadeva dal 2012) e che lo spread ha più volte testato la barriera dei 200 bp. Tuttavia, oggi non siamo sicuramente in presenza di un allarme rosso come nel 2011, ma neanche di un complotto ordito contro l’Italia per finalità squisitamente politiche. Più banalmente, ci troviamo in uno scenario nel quale i partner europei, le istituzioni internazionali e gli investitori osservano con crescente attenzione come l’Italia intenda gestire alcune variabili delicate quali, ad esempio, la crescita prevista. Per quanto riguarda questa variabile, la Commissione Europea indica nelle sue recentissime previsioni che, nel 2023, la crescita italiana si assesterà intorno allo 0,9%, sostanzialmente in linea con la crescita media dell’Eurozona. Peggio delle precedenti previsioni di aprile, ma, sicuramente, non un dato inquietante. Giova ricordare, a questo proposito, che alcune delle società di rating, nel dicembre dello scorso anno, avevano ipotizzato una contrazione del nostro PIL nel 2023 nell’ordine dell’1,3/1,5%. Il fattore che invece ha attirato l’attenzione dei mercati riguarda la crescita italiana nel prossimo anno. Infatti, la Commissione ipotizza che l’Italia, dopo una eccellente performance post Covid, possa tornare nel 2024 ad essere il fanalino di coda della crescita europea: + 0,8% contro il + 1,3% dell’Eurozona, il + 2% della Spagna, etc. Da evidenziare che, mentre il dato di crescita italiana è confermato anche dall’OCSE, il NADEF prevede un PIL 2024 in aumento dell’1,2%, dato che appare, a questo punto, piuttosto ottimistico. E questo per almeno tre motivi. Primo: la perdurante politica di alti tassi di interesse, ribadita di recente da BCE (e FED), tende a penalizzare maggiormente il nostro tessuto produttivo rispetto ai competitor esteri in considerazione della maggiore dipendenza delle nostre PMI dal sistema bancario. Secondo: la politica della BCE che, aveva colpito soprattutto il manifatturiero, inizia a contagiare anche il settore dei servizi che, fino ad oggi, aveva mitigato i contraccolpi dei tassi alti sul comparto industriale. Le conseguenze di tutto ciò potrebbero già manifestarsi in un quarto trimestre meno brillante delle previsioni. Terzo: il nostro export è rivolto per oltre il 12% alla Germania e, quest’anno, la Germania sarà l’unica grande economia europea al limite della recessione con un PIL in discesa tra lo 0,4 e lo 0,6%. Da evidenziare che la situazione tedesca ha già causato forti cali nelle vendite estere di componentistica e beni strumentali in ben 79 distretti industriali italiani danneggiando non solo le aziende esportatrici finali, ma tutta la filiera domestica delle PMI a monte di queste ultime. La sola speranza è che siano corrette le previsioni della Commissione che ritengono che l’industria tedesca possa rimettersi in movimento già dal prossimo anno. Ciò detto, il faro puntato dai mercati sul PIL italiano non deriva da innata curiosità, ma dal fatto che, sia il dato relativo al deficit, sia quello legato al debito pubblico sono strettamente legati alla nostra crescita. Ne consegue che, qualora la crescita italiana nel 2024 dovesse essere ridimensionata intorno allo 0,6/0,8% (come previsto da numerosi osservatori), anche le previsioni di deficit e di rientro dal debito previste nel NADEF andrebbero riconsiderate. Il punto dolente è che, in questo documento, da una parte, il deficit 2024 è già stato aumentato dal 3,6% al 4,3% al fine di generare circa 15 mld destinati alla manovra; dall’altra, la traiettoria di rientro dal debito è stata resa quasi piatta passando dal 140,2% del PIL nel 2023 al 140,1% nel 2024: un solo decimale di riduzione.
Da qui le fibrillazioni dei mercati e le tensioni sui nostri BTP. Dunque, non siamo certo in presenza di un disastro ecologico, tuttavia diventa sempre più urgente che i Governo tranquillizzi i mercati con una manovra economica equilibrata e rigorosa e con una corretta e puntuale messa a terra del “PNRR modificato”. Il tutto al fine di sostenere le nostre PMI e stimolare, al contempo, una crescita ancora decisamente modesta.