Abuso di ufficio: ghostbusters all’opera

Dalla madre di tutte le riforme dei reati dei pubblici ufficiali e degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione, risalente al 1990, la storia dell’abuso d’ufficio è quella di un filtro che ha progressivamente perso la sua capacità di fermare le impurità.

Creata come una rete a maglie molto strette per intercettare il più possibile gli abusi di potere, a poco a poco i suoi nodi sono stati allentati, le sue maglie slargate, i suoi fili strappati.

Profittando delle sonnolente afe agostane, si sono susseguite ripetute sforbiciate estive, di ogni colore politico. L’ultima, nell’estate 2020, anche i magistrati, sotto il sole agostano, sono rimasti silenti a guardarla: intervenuta all’indomani dello scandalo delle chat tra i “migliori” consiglieri del CSM, ha ridotto la rete a brandelli, comprimendo fino all’osso la portata della fattispecie.

Può sembrare assurdo ma ora, gli stessi che hanno fatto questo, lamentano che attraverso quelle maglie passa quasi tutto. È esattamente quello che hanno voluto. Per incappare in un abuso d’ufficio punito dal Codice penale, ormai, non basta più mettercisi d’impegno, bisogna farla davvero enorme: violare spudoratamente una precisa disposizione di legge, con la specifica intenzione di arricchirsi o arricchire altri oppure di recare danno a qualcuno e sempre che l’intenzione si traduca in realtà.

Si tratta di condotte che non solo sono molto molto difficili da dimostrare con riferimento al profilo dell’intenzione ma che costituiscono una minima parte delle innumerevoli forme di abuso del potere che si consumano negli ambienti pubblici. Chi frequenta tali ambienti o è coinvolto dalla relativa attività, peraltro, avverte intensamente l’esigenza di tutela dagli abusi di potere. E li denuncia a iosa.

Il fatto è che, al netto di alcune denunce strumentali e infondate, nella gran parte dei casi si tratta di abusi che, per quanto a volte assai gravi e deprecabili, non presentano quegli estremi che ne fanno abuso d’ufficio penalmente rilevante oppure di abusi per i quali non si riesce a dimostrare l’intenzione criminosa.

Inevitabilmente, quindi, le archiviazioni o le assoluzioni fioccano. Eppure, di abusi si tratta, rispetto ai quali a un’avvertita esigenza di tutela, anche penale, non corrisponde alcuna incriminazione. È propriamente questo il senso dei numeri sciorinati nella relazione di accompagnamento del disegno di legge che reca la norma abrogatoria del delitto di abuso d’ufficio: migliaia di denunce di fatti che sono avvertiti come deprecabili abusi di potere, rispetto ai quali s’invoca tutela, ma che, nella valutazione del legislatore, non sono reato o è pressoché impossibile dimostrare che lo siano.

Insomma, a un’avvertita esigenza collettiva di incriminazione penale non corrisponde la necessaria e congruente previsione di legge.

A fronte di ciò, la ricetta non è riparare la rete, ricostituendone le maglie in modo più robusto, ma esattamente il contrario, toglierla completamente di mezzo. L’ordine è mani libere al potere! Con buona pace della salubrità dell’ambiente.

Tutto, anche quel poco che ancora oggi “rischia” di impigliarsi nelle maglie sbrindellate dell’abuso d’ufficio, sarà serenamente consumabile.

L’agente delle entrate potrà arbitrariamente danneggiare il contribuente zelante con un accertamento illegale; il vigile urbano potrà favorire l’amico, non elevandogli la contravvenzione che merita o annullandogli quella già legittimamente elevatagli dal collega che preferisce non guardare in faccia nessuno; il dirigente amministrativo potrà senza remore attribuire l’incarico speciale, con remunerazione maggiorata, all’amica/o di turno, svantaggiando l’aspirante più titolato; l’amministratore pubblico potrà impunemente punire il dipendente non adeguatosi alle sue direttive illegittime; il magistrato potrà serenamente sequestrare, senza che ce ne siano i presupposti, l’impresa che fa tanto gola al suo amico commercialista e dargliela in amministrazione.

Ma i sindaci saranno finalmente liberati da un incubo che non ha fondamento razionale e potranno dormire sonni tranquilli. Cosa non si deve fare per la serenità mentale dei nostri primi cittadini!

Più ancora di sindaci e amministratori locali in genere, però, favoriti dalla riforma saranno i magistrati. Per la prima volta, da decenni a questa parte, si vede una “riforma della giustizia” che non appesantisce il loro lavoro; e, soprattutto, i magistrati sono i pubblici ufficiali più infastiditi dal fantasma dell’abuso d’ufficio che ancora s’aggira nei palazzi del potere. Anche da quelli di c.d. giustizia, dunque, l’ectoplasma dell’abuso d’ufficio sarà scacciato; e, con esso, la preoccupazione di dare torto a chi ha ragione. Anche questo, dopo la cura ghostbusters, si potrà fare serenamente.

Sia consentito osservare, però, che nulla può autorizzare lo sventolamento, in questa scena, delle bandiere del garantismo e del liberalismo.

Proprio le ragioni esposte a fondamento dell’abrogazione dell’abuso di ufficio, ossia il numero limitato dei procedimenti che si concludono con condanna rispetto a quelli avviati per tale reato, dimostrano che essa non ha nulla a che fare col liberalismo e col garantismo.

La seria e severa punizione degli abusi di potere è un cardine fondamentale del liberalismo come la frammentarietà e residualità dell’incriminazione penale sono assi portanti del garantismo.

L’abolizione dell’attuale fattispecie dell’abuso d’ufficio sta al liberalismo e al garantismo come il pozzo, nella metafora sciasciana sulla verità, sta al sole e alla luna: nel fondo del pozzo non c’è né garantismo né liberalismo; c’è solo un tanto malcelato quanto malsano desiderio del potere di garantirsi.

Dissimulato da una pubblicità ingannevole a media unificati, c’è il danno enorme per la Comunità che l’assenza di freni agli abusi di potere, già nella sua annunciazione, porta con sé, corrodendo le fondamenta dello stare insieme.

Giuliano Castiglia

Magistrato tributario, già giudice ordinario

Registrato al Tribunale di Roma il 19/09/2018, n. 155
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