La responsabilità del medico davanti alla Corte dei conti

I medici e gli infermieri del Servizio Sanitario Nazionale, come tutti coloro che operano nella pubblica amministrazione, sono esposti, oltre che alla responsabilità penale e civile, anche alla responsabilità amministrativo-contabile.

Quest’ultima si configura, per lo più, quando l’errore medico determina un danno alla salute dei pazienti, i quali agiscono nei confronti dell’azienda sanitaria per ottenere il dovuto risarcimento.

In questi casi, il personale responsabile della malpractice, all’esito di un giudizio che si svolge davanti alla Corte dei conti su iniziativa del pubblico ministero, può essere condannato a rifondere la struttura sanitaria delle somme che essa ha dovuto erogare ai danneggiati, subendo, in tal modo, un danno erariale.

Sussistono, in effetti, alcune importanti differenze tra questa forma di responsabilità e le ordinarie obbligazioni risarcitorie.

In primo luogo, il termine di prescrizione, che decorre dal giorno in cui l’amministrazione ha risarcito il terzo danneggiato, è di cinque anni, e non di dieci, come prevede in termini generali il codice civile.  

Se, poi, il danno è stato causato dal comportamento di più persone, ognuna di esse è chiamata a risarcire unicamente la quota che il giudice, valutate le singole responsabilità, pone a suo carico, mentre il predetto codice stabilisce la regola della solidarietà passiva, per cui ogni corresponsabile può essere chiamato a corrispondere al danneggiato l’intero risarcimento. 

Nella determinazione della somma dovuta – quantum debeatur – il giudice deve, inoltre, tener conto dei vantaggi che la pubblica amministrazione o la comunità di riferimento abbiano comunque tratto dal fatto illecito. Nel contempo, può applicare la c.d. riduzione dell’addebito, ossia condannare il responsabile a ristorare una parte soltanto del danno cagionato, alla luce delle circostanze del caso concreto.

Infine, in caso di morte dell’autore dell’illecito, la responsabilità non si trasmette agli eredi, a meno che la condotta dannosa non abbia procurato al de cuius, e di conseguenza ai suoi successori, un arricchimento.

Il più importante elemento di specialità consiste, tuttavia, nella previsione per la quale l’agente pubblico risponde solo se ha agito con dolo, ossia nella consapevolezza di danneggiare l’erario, o con colpa grave, cioè disattendendo le più elementari regole di diligenza e di prudenza o trascurando le leges artis fondamentali dell’attività espletata. Nella legislazione recente è stata introdotta una misura transitoria di ulteriore favore, che circoscrive la responsabilità alle sole condotte dolose, salvo che non si tratti di danni cagionati da omissione o inerzia.

Il peculiare regime così sintetizzato è stato introdotto allo scopo di evitare che il personale dell’amministrazione, per non incorrere in responsabilità, sia indotto a una cautela eccessiva, che finisca per rallentare o paralizzare l’azione amministrativa o per rendere meno efficace il servizio erogato alla collettività. Si tratta di quell’atteggiamento che, in termini giornalistici, viene descritto come “paura della firma”, e che in ambito sanitario corrisponde alla c.d. medicina difensiva.

Ebbene, proprio alla prevenzione di quest’ultimo fenomeno è stata dedicata la riforma della responsabilità medica apportata dalla legge n. 24 del 2017 (nota come legge “Gelli-Bianco”), attraverso innovazioni che hanno interessato l’intero spettro delle conseguenze cui l’attività sanitaria può dare luogo, nonché il relativo regime assicurativo.

Concentrando l’attenzione sulla responsabilità amministrativo-contabile, possiamo notare che una prima novità attiene alla determinazione del risarcimento, ai fini della quale il giudice, fermo l’esercizio dei poteri già descritti, deve tener conto «delle situazioni di fatto di particolare difficoltà, anche di natura organizzativa, della struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica, in cui l’esercente la professione sanitaria ha operato». La norma impone, dunque, uno “sguardo d’insieme”, che inquadri la condotta del sanitario nel contesto, spesso disagevole, in cui si è svolta, e vi ricollega una proporzionale graduazione delle conseguenze risarcitorie.

Una seconda, rilevante, misura consiste nella fissazione di un vero e proprio “tetto” all’entità della riparazione, stabilito, per le sole fattispecie colpose, nel triplo del valore maggiore della retribuzione lorda o del corrispettivo convenzionale conseguiti dal condannato nell’anno di inizio della condotta causa dell’evento o nell’anno immediatamente precedente o successivo.

Sotto un distinto, ma connesso, profilo, la legge si è preoccupata di disciplinare l’incidenza dell’illecito sulla carriera del sanitario. Quest’ultimo, più in particolare, non può essere preposto a incarichi professionali superiori per un periodo di tre anni; la condanna al risarcimento, inoltre, è fatta oggetto di specifica valutazione da parte dei commissari nei pubblici concorsi per l’assegnazione di detti incarichi.

Il complesso di queste previsioni, per lo più inedite nel settore della responsabilità sostanziale per danno erariale, appare diretto a circoscrivere l’impatto dell’illecito sul patrimonio del sanitario (favorendo, nel contempo, la relativa copertura assicurativa), e a bilanciare tale contenimento con l’introduzione, quale effetto accessorio dell’accertamento della responsabilità, dell’influenza diretta del medesimo sulle prospettive di avanzamento e di sviluppo professionale dell’interessato.

Di pari rilievo sono le disposizioni di carattere processuale.

Affrontando un problema da tempo emerso nei giudizi di responsabilità amministrativo-contabile nei confronti dei medici, il legislatore ha previsto che la Corte dei conti può utilizzare le prove assunte nel precedente giudizio, instaurato in sede civile dal danneggiato nei confronti della struttura sanitaria, soltanto se il medico o l’infermiere chiamato a rispondere del danno erariale ha, a sua volta, preso parte a quel processo (e, proprio per favorire tale partecipazione, ha stabilito che la struttura debba avvisare il personale interessato delle eventuali iniziative risarcitorie dei terzi).

In tal modo, il sanitario che non abbia preso parte al giudizio civile potrà richiedere che la Corte svolga una autonoma attività istruttoria, disponendo, in particolare, una nuova consulenza tecnica d’ufficio nel contraddittorio delle parti.

Arturo Iadecola

Magistrato presso la Procura generale della Corte dei conti

Registrato al Tribunale di Roma il 19/09/2018, n. 155
Direttore: Roberto Serrentino

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