Le intercettazioni: un difficile problema

Pochi argomenti, come quello relativo alle intercettazioni nel campo del diritto penale, sono stati e sono tuttora oggetto di profonda disamina di suoi specifici aspetti.

Quando, dunque, le iniziative di riforma del Ministro Nordio hanno fatto riferimento ad esse, il dibattito ed i vivaci contrasti, puntualmente, si sono ulteriormente vivacizzati.

L’argomento, per il vero, non manca di presentare prospettazioni profondamente delicate sotto il profilo interpretativo ed applicativo, chiaramente riconducibili a fondamentali principi costituzionali, non facilmente correlabili con le altre previsioni indicate.

La libertà e la segretezza delle comunicazioni sembrano limitarsi ai soli casi o modi stabiliti dalle leggi, ma implicare la determinazione legislativa di specifiche ed ulteriori garanzie, tali da assicurare un bilanciamento tra i due richiami costituzionali.

L’esigenza di tutela della riservatezza dei vari soggetti appare infatti argomento arduo e di non facile soluzione dei suoi esatti limiti, quando si tratti di coniugarlo con l’altro principio costituzionale del diritto dei cittadini ad una informazione libera ed indipendente.

La ricerca di un bilanciamento tra i due principi, confliggenti in materia per esigenze diverse, lungi dal risolversi in una rispettosa ed armoniosa interpretazione, finisce per esprimere, invece, una costante e continua pretesa di prevalenza di un diritto sull’altro, trascurando, di volta in volta ed alternativamente, i sostanziali diritti dei cittadini egualmente tutelati dal previsto rispetto della riservatezza e dal diritto all’informazione.

Proprio per i suoi contenuti, dunque, e per le sue specifiche manifestazioni, l’argomento dimostra un’accentuata complessità essendo stato più volte oggetto di interventi, sollecitazioni ed avvertimenti, anche da parte della Corte Europea la quale, peraltro, dal canto suo, è sembrata più che da una comune e concorde applicazione di principi regolatori, mossa ed orientata da scelte e soluzioni dirette a singoli e specifici interessi nazionali.

I numerosi interventi di modifiche ed integrazione del dettato normativo sono stati conseguenti ad arresti interpretativi che hanno cercato, attraverso il richiamo al c.d. “diritto vivente”, migliore specificazione della sua previsione.

La metodologia dei riferimenti, infatti, non può ritenersi soddisfatta solo con il richiamo enunciato, riconducibile agli interventi normativi. Essa dovrà anche esprimersi con chiarezza e correttezza giuridica evidenziata dal richiamato c.d. “diritto vivente”.

Invero una legge esprime il suo valore, non solo con la dizione letterale, ma soprattutto con la sua corretta applicazione ed osservanza. Di conseguenza, il richiamo alle varie disposizioni adottate, in riscontro alle sollecitazioni scaturite dai vari impieghi della legge, più che suggerire nuove formulazioni, sembrerebbe meglio esser realizzato attraverso una generale regolamentazione dei principi costituzionali.

Il richiamo alle varie disposizioni normative adottato, conseguenti agli arresti interpretativi manifestatisi, non sembrano suggerire da sole definitive ed appaganti soluzioni, se non attraverso il riferimento alle previsioni del diritto indicato.

Infatti, sia gli interventi aggiuntivi che quelli integrativi del testo della legge si sono preoccupati in buona sostanza, di risolvere solo le specifiche difficoltà o perplessità applicative, riconducibili ad una ritenuta prevalenza di uno dei due diritti in precedenza richiamati.

Così facendo però la soluzione dei vari problemi interpretativi della legge sembra rimanga limitata ai vari richiami del citato “diritto vivente”, senza approfondire la sostanziale natura delle due previsioni costituzionali.

Occorre dunque, nel tentativo di esaminare compiutamente il problema in esame, non limitare l’indagine a riferimenti normativi che, seppur risolutivi di perplessità insorte nell’applicazione della legge, evidenziano una sostanziale limitatezza nel riferimento al caso di specie.

Per contro, la ricercata soluzione sembrerebbe meglio orientata verso indici che, partendo da una profonda e generale valutazione, superino visioni parziali, ribadendo i generali principi di legge.

La prospettata disamina della questione dovrà dunque partire dalla iniziale valutazione della natura giuridica del diritto controverso, ottemperando così ai ripetuti richiami di chiarezza e correttezza

della dizione normativa. In relazione a ciò non può non esser negativamente segnalato l’erroneo e disappropriato uso di un linguaggio che, con la presunzione di una giuridica definizione, pronuncia invece inesistenti ed aberranti concetti.

Si vuol far riferimento con ciò all’adottata e purtroppo invalsa definizione del c.d. “reato penale”. La negatività e la frequente gravità giuridica di un fatto si riferisce non all’uso dell’aggettivo penale, ma all’indicazione del termine “reato”, che di per sé assorbe tutto il rilievo penalistico, distinguendosi così dall’illecito civile. L’affermazione, dunque, di un “reato penale” contiene una erronea quanto inutile specificazione. Il rilievo espresso, con riferimento alla correttezza dei termini giuridici adottati, è servito a richiamare quanto già accennato in precedenza circa gli interventi normativi limitati, unicamente, al superamento delle eccezioni formulate che, seppur specifiche, hanno in buona sostanza trascurato di approfondirne i fondamentali contenuti costituzionali.

Il richiamo delle varie soluzioni adottate servirà, di conseguenza, attraverso una sia pur veloce disamina, a dare conferma di quanto rilevato.

Una prima considerazione muove dalla definizione della nozione di intercettazione, intesa come mezzo di ricerca della prova.

Una tale espressione tende ad offrire al giudice una risultanza probatoria di rilievo che sembra contrastare la definizione stessa di ricerca, come tale non collegata ad elementi certi.

Ulteriore argomento di perplessità scaturisce dalla disciplina delle intercettazioni, definite ambientali, in quanto riconducibili a dialoghi intervenuti tra soggetti contemporaneamente presenti., La loro individuazione, direttamente non legata alla utilizzabilità di strumenti tecnici, è stata ritenuta non garantire la tutela della riservatezza e la possibilità del controllo da parte dell’Autorità Giudiziaria.

L’intervento della Giurisprudenza ha provveduto a sanare la carenza normativa valorizzando gli apporti delle moderne tecnologie ritenute, senza ulteriori approfondimenti, sussumibile a conferma delle disposizioni precedenti.

Altro argomento di riflessione è stato sollevato in merito ad intercettazioni svolte nei luoghi definiti

di privata dimora. Nelle ipotesi predette la loro ammissibilità è stata ritenuta possibile in relazione ad una attività criminosa considerata grave.

Dottrina e Giurisprudenza hanno ricondotto il predetto giudizio ai reati elencati nell’art. 266, 2 c., c.p.p., soffermandosi sulla validità di intercettazioni disposte anche in relazione a reati consumati.

La risposta affermativa, nel caso in esame, ancora una volta, si è basata sugli elementi di fatto che sono stati ritenuti validi, se logicamente conseguenziali all’originario provvedimento di autorizzazione.

La considerazione sulla maggiore e più ampia utilizzazione delle attività di intercettazione, oltre a confermare la preferenza interpretativa, orientata verso criteri di oggettive risoluzioni, sembra dar conferma dell’originaria definizione della nozione di indagine comprensiva oltre che come mezzo di ricerca della prova, anche dell’acquisizione di conversazioni e comunicazioni.

Per il vero le modifiche alla legge sono state numerose. Tutte, come si è detto, pur sollecitate dalle perplessità applicative non hanno cercato di approfondire “ex funditu” il problema risalendo alla sua natura ed ordine costituzionale, limitandosi invece alla sola dizione letterale del testo di legge. I profili costituzionali, riconducibili alle norme giuridiche, interessate dai vari ricorsi, si sono quindi limitati a richiamare unicamente la tutela della riservatezza ed il diritto alla divulgazione di quanto acquisito.

L’osservazione che precede acquista ancor più rilevanza nel riferimento alla tutela dei due principi costituzionali richiamati e correlati con le moderne innovazioni tecnologiche. In particolare l’avvento delle nuove tecnologie, ha determinato un mutamento del concetto di privatezza trasformandone addirittura la stessa originaria concezione caratterizzata, di conseguenza, da principi diversi. Le moderne innovazioni tecnologiche si discostano, infatti, dalla vecchia concezione riconducibile ad un singolo soggetto destinatario, per assumere riferimenti generalizzati, non numericamente e facilmente quantificabili, ed in particolare non estinguibili, mediante il ricorso al c.d. diritto all’oblio.

Il concetto di “privacy” però pur avendo, di fatto, mutato la sua intrinseca manifestazione, non ha visto modificare, quantomeno sotto il profilo di una adeguata regolamentazione, i suoi giuridici riferimenti. In particolare nessun approfondimento è stato ricercato sotto il profilo costituzionale, la cui carenza invece sommessamente appare risolutiva, senza la necessità di approfondire o rivolgere attenzione agli adempimenti introdotti con le varie modifiche normative, limitate alla sola configurazione dell’illecito e non alla colpevolezza.

Queste, come si è detto, si sono pronunciate solo in linea di fatto risolvendone, di volta in volta, gli interrogativi. Nessuna ricerca, come detto, è stata rivolta alla natura dei principi costituzionali della segretezza e del diritto di cronaca, interessati dal ricorso alle intercettazioni.

Quanto al diritto di cronaca, in particolare, si è constatata addirittura una incentivata esasperazione della sua manifestazione rivolta, molto spesso, ed in maniera non condivisibile, a soddisfare sollecitazioni di gossip o di false e strumentali notizie.

L’ordinamento giuridico non fornisce definizioni delle intercettazioni, affidando a pronunce giurisprudenziali la sua specificazione definendole, in maniera limitata, solo “mezzo di ricerca della prova”.

Esse consentono, mediante l’impiego di mezzi meccanici o elettronici, l’occulta acquisizione e conoscenza da parte di estranei di conversazioni e notizie riservate o segrete. Con gli esempi richiamati si è fatto sempre riferimento alle modifiche normative rivolte alla soluzione di problemi pratici orientati alle valutazioni di fatti indicativi di una responsabilità piuttosto che, nel silenzio della legge, ad una definizione dogmatica delle intercettazioni.

Le norme introdotte con i vari interventi modificativi, ultime quelle del 29 dicembre 2022 e del gennaio 2023, hanno confermato il predetto orientamento.

Sul punto occorre tener presente la variazione del mutamento culturale delle “scale dei valori” costituenti il dettato dell’ordine comunitario, pur nelle trasformazioni occasionali e nel diverso grado di importanza che essi vengono ad assumere in modo non definitivo.

Nel diritto penale va infatti tenuto presente che è illusorio ritenere un generale e costante collegamento della responsabilità alla c.d. “certezza del diritto”, proprio in considerazione di quanto detto.

La dottrina e la Giurisprudenza, ad esempio, si sono soffermate sulla indicazione conseguente alla dizione degli articoli 266 e 266 bis c.p.p., relativa al requisito dell’indispensabilità delle indagini e sulla gravità degli indizi di reato. La mancanza di una distinzione fra le due definizioni ha orientato la Corte di Cassazione ad attribuire la riferibilità dei gravi indizi alla sussistenza del reato e non alla colpevolezza, dando rilievo così, ancora una volta ad elementi di fatto, piuttosto che all’esame della struttura giuridica della norma.

Al di là di quanto detto bisogna ribadire però che in campo penale nessuna certezza può esser ritenuta come assoluta, configurandosi soltanto come relativa. Vanno infatti, in tale valutazione, considerati i possibili spazi di incertezza derivabili dalla natura umana e quindi dalla sostanziale mancanza di una verità dovuta all’assenza di tutela della legge stessa. L’esempio riportato è servito a dar contezza di quanto più volte sostenuto, legittimando il richiamo ad altri arresti interpretativi, non di certo meno rilevanti, ma che ai fini di un loro esauriente approfondimento consigliano una successiva, meditata e diffusa trattazione.

Il rinvio a migliori approfondimenti servirà a chiarire la ricerca, nelle ulteriori problematiche, dei vari aspetti giuridici, ricollegandoli all’esigenza di chiarezza della legge. Occorrerà in questa sede, dunque, richiamare la indicazione di riferimento ai principi costituzionali sinora non affrontati compiutamente. Problemi quali, in primis, la definizione stessa del mezzo acquisitivo, la sua autorizzazione alla captazione, attuata in maniera casuale o fortuita di conversazioni tra parlamentari, Ministri, o del Presidente della Repubblica, l’acquisizione di tabulati telefonici, e non ultima, l’esatta configurazione e definizione del pericolo e della conseguente necessità di sua valutazione, richiamano l’esigenza di una legge costituzionale, che affronti compiutamente il problema, pronunciandosi chiaramente sull’alternatività dei due principi fondamentali della segretezza e riservatezza della libertà di acquisizione.

Le disposizioni di legge ed i richiami costituzionali, operati in sedes materiae, pur specificandone le motivazioni e le modalità, costituite dal fondato motivo, non vanno oltre il mero riferimento a quegli elementi, che nelle diversità delle circostanze di tempo, di luogo, di variazioni scaturenti dalle differenti aree territoriali e culturali, non offrono, in definitiva, sicuri riferimenti a quei valori di base indicati dalla carta costituzionale.

Luigi Ciampoli

Magistrato, docente di procedura penale Università di Urbino, già procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Roma

Registrato al Tribunale di Roma il 19/09/2018, n. 155
Direttore: Roberto Serrentino

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