Andrea Prete
Anche il sistema camerale riveste un ruolo importante per far ‘decollare’ il PNRR, il piano di rilancio europeo cui è affidato in buona parte il futuro della nostra economia. Un decreto legge del novembre del 2021, approvato dal Governo Draghi, ha autorizzato, infatti, il coinvolgimento del sistema camerale nelle sue articolazioni (Unioncamere, Camere di commercio, Unioni regionali, organismi strumentali e Camere italiane all’estero) nella realizzazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Le Camere di commercio e gli enti ad esse collegate possono quindi dare il proprio contributo alle amministrazioni centrali, alle Regioni e agli enti locali, titolari dei programmi del PNRR, per l’attuazione dei progetti attraverso la propria rete territoriale. E sono diverse le ‘missioni’ che le amministrazioni dello Stato hanno affidato al sistema camerale. Una misura importante perché permette di mettere in campo le Camere di commercio che sono presenti nei diversi territori consentendo di raggiungere più facilmente le imprese, soprattutto quelle di piccole dimensioni, che rappresentano l’ossatura portante del sistema produttivo nazionale.
Luigi Ciampoli
L’argomento, per il vero, non manca di presentare prospettazioni profondamente delicate sotto il profilo interpretativo ed applicativo, chiaramente riconducibili a fondamentali principi costituzionali, non facilmente correlabili con le altre previsioni indicate.
La libertà e la segretezza delle comunicazioni sembrano limitarsi ai soli casi o modi stabiliti dalle leggi, ma implicare la determinazione legislativa di specifiche ed ulteriori garanzie, tali da assicurare un bilanciamento tra i due richiami costituzionali.
L’esigenza di tutela della riservatezza dei vari soggetti appare infatti argomento arduo e di non facile soluzione dei suoi esatti limiti, quando si tratti di coniugarlo con l’altro principio costituzionale del diritto dei cittadini ad una informazione libera ed indipendente.
La ricerca di un bilanciamento tra i due principi, confliggenti in materia per esigenze diverse, lungi dal risolversi in una rispettosa ed armoniosa interpretazione, finisce per esprimere, invece, una costante e continua pretesa di prevalenza di un diritto sull’altro, trascurando, di volta in volta ed alternativamente, i sostanziali diritti dei cittadini egualmente tutelati dal previsto rispetto della riservatezza e dal diritto all’informazione.
Angelo Camilli
Dobbiamo considerare il premio come una start-up, perché Filmimpresa può e deve diventare un’esperienza generativa, una vera e propria piattaforma che alimenta la creatività e sostiene gli investimenti del filone del film industriale.
Immagino la possibilità, ad esempio, soprattutto nella nostra regione di promuovere e incentivare il lavoro di giovani registi che decidano di cimentarsi su progetti che si inseriscono in questa speciale categoria cinematografica che oggi celebriamo.
Ed anche il premio stesso potrebbe lanciare un contest per la produzione di un corto ufficiale di apertura dell’edizione del prossimo anno.
Queste sono solo alcune idee su cui lavorare, ma credo che lo sforzo fatto da tutti per realizzare Filmimpresa debba essere un trampolino di lancio perché il premio cresca e abbia un ruolo importante per la filiera stessa.
E non potrebbe essere diversamente perché è il dna dell’imprenditore che ci porta ad immaginare sempre qualcosa in più, ad investire in un futuro più bello e più grande.
Andrea Reale
Le direttrici politiche che animano i propositi riformisti del nuovo Governo sembrano condizionate, oltre che dalle naturali vocazioni degli alleati politici, anche dai consiglieri tecnici del Ministro della Giustizia, suoi ex colleghi.
Ecco perché lo sbandierato “garantismo”, declinato nelle esigenze di privacy nelle intercettazioni e di segretezza delle indagini, nella massima presunzione di non colpevolezza in fase di indagini (persino nella redazione dei provvedimenti cautelari personali), sembra godere ampio seguito negli ambienti dei crimini dei “colletti bianchi” (reati contro la pubblica amministrazione in primis), mentre esso diventa recessivo una volta che la Politica tratti il tema della immigrazione o della gioventù “descamisada” (penso alla nuova normativa sui rave party o sull’imbrattamento dei muri).
Il colore politico del governo, poi, sembra quello che ha riportato in auge il tema tanto caro della separazione delle carriere tra pubblici ministeri e giudicanti, un cavallo di Troia, a parere di molti, per assoggettare definitivamente l’esercizio dell’azione penale alle linee guida del Parlamento o del (futuro) Procuratore generale della Corte di Cassazione o dei Procuratori delle Corti di Appello, vista la progressiva gerarchizzazione di quegli uffici e considerata la designazione “politica” che l’organo di governo autonomo della magistratura, ancora occupato dalle correnti, rivendica sempre più spesso.
Angelo Gargani
La legge 130/22 ha approvato frettolosamente e senza un’articolata discussione parlamentare, che la materia richiedeva, nel periodo estivo (31 agosto 2022), un’ampia riforma della Giustizia tributaria, definita epocale. In parte, purtroppo, lo è. È stata introdotta la figura del magistrato tributario addetto alle Corti di giustizia tributaria, vincitore di concorso, modificando la precedente composizione eterogenea delle Commissioni tributarie, nelle quali confluivano e confluiscono più professionalità (magistrati, avvocati, commercialisti, ecc.). Il legislatore ha ritenuto questa soluzione la panacea di tutte le problematiche che affliggono la giustizia tributaria, tralasciando però di eliminare la vera criticità, riconducibile ad una collocazione antistorica e non rispettosa delle garanzie che la Costituzione pone a tutela di tutte le giurisdizioni sul piano dell’indipendenza e della autonomia. Si lascia ancora nelle mani del Ministero dell’Economia e Finanze, che è parte sostanziale in quasi tutti i procedimenti tributari, il potere di indirizzo e di controllo sul funzionamento di questa giustizia. Anzi, la nuova legge concede spazi di manovra più ampi che consentono al MEF più incisiva ingerenza.
Eugenio Picozza
Normalmente, la gente pensa che non ci siano collegamenti tra diritto e musica anche se il primo fra parte delle scienze umanistiche o dello spirito, la seconda alle discipline artistiche, per eccellenza discipline dello spirito.
Ma non è così: in realtà un collegamento importantissimo è costituito dal concetto (che è anche una precisa categoria giuridica) della interpretazione. È interessante notare che della interpretazione musicale si sono occupati (per limitarsi ad un recente passato) insigni giuristi quali Emilio Betti e Salvatore Pugliatti.
Una solida base di confronto può essere costituita dai tradizionali canoni della interpretazione giuridica (prescritti anche dalle preleggi al codice civile): interpretazione letterale o grammaticale, interpretazione logica o sistematica, interpretazione storico-evolutiva ed infine interpretazione teleologica cioè di scopo.
Bene: tutti questi canoni sono presenti anche nella interpretazione musicale, anche se – probabilmente – con un peso reciproco differente rispetto a quello che hanno nella interpretazione della legge, del provvedimento, della sentenza.