Dentro alla digitalizzazione. L’occhio del cittadino e delle professioni legali

Digitale. Transizione. Trasformazione. Pubblica amministrazione. Società. Mercato. Un’aggettivazione ricorrente, ripetuta, carica di aspettative e di significati, sia tecnici, sia giuridici, sia sociali ed economici. Quasi ci si potrebbe chiedere se l’uso di un aggettivo fatto in modo così indifferenziato risulti, oggi, insufficiente se pensato con la finalità di aiutare cittadino e istituzioni a capire meglio e in che modo coadiuvare o partecipare alla esperienza di una rivitalizzazione dello stato di diritto e del diritto ad un giusto processo.

Cosa vi è dentro alla parola digitale? Scopriamo, se guardiamo alla realtà dal punto di vista del cittadino, che vi sono molti aspetti e tutti, in un modo o nell’altro, legati alla effettività della tutela dei diritti fondamentali.

Vi è certamente un effetto di traduzione linguistica. Una grammatica, quella del digitale, che ci permette di aggregare significati che provengono da filiere di azioni molto diverse fra loro. Possiamo trovare nel linguaggio digitale il risultato di azioni comunicative verbali, trascritte, di azioni comunicative video registrate, di testi scritti, e la lista potrebbe continuare. Anche a prescindere dalla loro storia e dalla loro origine, tutti questi elementi diventano dati, ossia sono trattabili nel loro insieme aggregato. Ma sono davvero capaci in questo passaggio qualitativo di conservare il loro potenziale di significato?

Vi è poi l’elemento della dematerializzazione. Disconnettere l’azione dalla sua materialità e dal suo contesto territoriale significa per esempio che posso immaginare di potere svolgere una azione anche a distanza, non importa quanto consti la distanza. Posso accedere a documenti e servizi che sono stati resi disponibili da istanze che hanno rispetto, a quella nella quale mi trovo in una posizione spaziale non così tanto significativa. In fondo il risultato dell’accesso è egualmente raggiungibile.

Vi è infine anche l’elemento della immediatezza. Senza intermediazione – o almeno questo appare – è possibile interagire con dati, contenuti, documenti, funzionalità.

Nella realtà di cui il cittadino fa esperienza, alcuni aspetti intervengono. Il primo riguarda il fatto che digitale significa un mondo il cui linguaggio non è egualmente gestito e noto a tutti. Non si tratta di una buona ragione per pensare in senso deteriore del digitale. al contrario, si tratta di un’ottima ragione per pensare che proprio perché il Paese si addentra in una grande stagione di trasformazioni attraverso la digitalizzazione (è questa, riteniamo, la vera modalità con la quale andrebbe definito ciò che accade davvero nella realtà, una modalità scientificamente corretta e fondata), allora occorre accompagnare tutto questo con politiche che investano sulle barriere di carattere culturale e cognitivo, talvolta finanche emotivo, che si frappongono fra il cittadino e i servizi nel nuovo mondo trasformato. Un investimento, che ci appare ancor più promettente nel momento in cui parliamo di giustizia e teniamo in considerazione altissima la tutela effettiva dei diritti di quelle parti della società che, per varie ragioni, sono più vulnerabili. Il digitale potrebbe essere per queste parti della società una sorta di opportunità, se accompagnata da politiche adeguate, di grande valorizzazione e di riconnessione con le istituzioni. Il secondo aspetto riguarda il fatto che vi è una soluzione nella continuità fra servizi erogati per via digitale e su piattaforma e quelli che sono erogati o parzialmente prodotti attraverso delle filiere che sono ancora materiali. Questa disomogeneità di supporti, linguaggi, modalità di controllo, archivio, produzione, induce una necessaria ibrida gestione, che per il cittadino implica un costo aggiuntivo. Ancora una volta riteniamo che si tratti di un costo iniziale, ossia di una barriera che andrà a risolversi nel tempo. Ma occorre andare ad incidere subito su quelle parti dei servizi che necessitano urgentemente di interoperabilità, come per esempio nel neo-istituendo tribunale delle persone, dei minorenni, della famiglia.

I rilievi appena fatti vanno intesi, secondo noi, non come una ragione ostativa alla trasformazione attraverso la digitalizzazione del sistema della giustizia. Esattamente al contrario, riteniamo che la trasformazione sinora tratteggiata a sommi capi sia una opportunità strategica straordinaria per il Paese per riconsiderare – nel suo insieme, in modo organico, e con una prospettiva rigorosamente centrata sulle persone, in ottemperanza a quanto ormai da anni anche le istanze e i fora internazionali sottolineano e promuovono – come possa essere resa effettiva la risposta di giustizia ad una domanda che si fa sempre più importante, saliente, e differenziata.

E le professioni legali? Le professioni sono chiamate a svolgere una cruciale funzione di doppia garanzia. Garanzia nella intermediazione con gli attori che co-progettano i dispositivi digitali, gli applicativi, i software, le piattaforme, affinché non vi sia un by design, che si impone in modo cieco rispetto alle prassi e alle esperienze della e con la giurisdizione nei territori. Garanzia nella intermediazione in favore e in accompagnamento dei cittadini, non solo nell’accesso alla giurisdizione, ma anche – e ci verrebbe da dire, avvalendoci dei risultati delle ricerche che sono state in questi anni elaborate dall’Osservatorio nazionale permanente sull’esercizio della giurisdizione – una volta che il cittadino ha cominciato ad interagire nella giurisdizione con i suoi snodi processuali e funzionali.

E poiché la tutela effettiva dei diritti è un valore e un bene intangibile, che coadiuva il buon funzionamento di tutta la società e lo Stato, ci pare sia possibile affermare che fare della trasformazione del sistema giustizia attraverso la digitalizzazione una politica pubblica trasversale per tutto il Paese, sia un metodo di lavoro che si chiamerebbe, in termini tecnici, un gioco a somma positiva, dove vincono tutti, anche le generazioni che verranno.

Piana Daniela e Bertollini Stefano

Daniela Piana - Ordinario di Scienze Politiche presso l'Università Alma Mater Studiorum di Bologna / Stefano Bertollini - Membro del Consiglio Nazionale Forense

Registrato al Tribunale di Roma il 19/09/2018, n. 155
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