Sviluppo economico, ma anche giustizia sociale

Keynes nella Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta afferma che il problema politico dell’umanità è come combinare tre cose: Efficienza economica, giustizia sociale e libertà individuale.

Nella diversità delle posizioni politiche che contraddistinguono i partiti rappresentati nel Parlamento italiano, ritengo che questi tre principi trovino condivisione all’interno dei vari schieramenti, perché principi profondamente radicati nel tessuto sociale del nostro Paese e nelle attese dei suoi cittadini.

Il problema è sempre stato ed è tuttora quello di dosare in modo idoneo questi fattori, perché il giusto equilibrio degli stessi dia risposte adeguate ai problemi della nostra società.

Una società che – ricordiamolo – è cambiata e nella quale i vecchi schemi di identificazione delle categorie sociali con l’appartenenza alla sinistra o alla destra – ai quali hanno fatto riferimento le generazioni che ci hanno preceduto e in parte la nostra – non sono più utilizzabili.

È cambiato nella percezione delle persone, e soprattutto dei giovani, il modo di concepire il valore prodotto dall’economia di un paese ed il prodotto interno lordo non è più indice soddisfacente rappresentativo della crescita, perché non riesce ad interpretare la richiesta di una diversa e migliore qualità della vita, che non può essere rinchiusa in dati meramente quantitativi, ma che deve dare spazio all’individuazione di un benessere al quale tutti noi aspiriamo.

Ancora di più è cambiato il lavoro, il significato dello stesso e il valore che al lavoro attribuiscono le giovani generazioni. Chi opera all’interno di un’impresa lo percepisce quotidianamente mentre politica e sindacato spesso non riescono a leggere questo cambiamento e corrono il rischio di avere come riferimento modelli che appartengono al passato.

Lo evidenziava in una recente intervista il presidente di Confindustria che – pur confermando che il contratto nazionale di lavoro continua a costituire presidio importante per i minimi salariali e per i diritti dei lavoratori – metteva l’accento sulla necessità di un diverso ruolo dei contratti integrativi aziendali, del welfare aziendale, della necessità di commisurare il salario ai reali costi territoriali.

E il problema del lavoro rimane un problema strutturale del nostro Paese, nonostante nel 2022 si sia raggiunto il 60,5 % che è il valore più alto del tasso di occupazione in Italia dal 1977.

Ciò nonostante rimaniamo ultimi in Europa – quasi 10 punti sotto rispetto alla media europea – con una percentuale di occupazione femminile che evidenzia una distanza dalle medie europee ancora più marcata.

Il 2022 ha visto il nostro Paese protagonista di performances superiori a quelle della Francia e della Germania, ma tale risultato eccezionale non potrà risultare duraturo se non ci sarà una crescita degli investimenti delle imprese, che solo parzialmente è stata supportata all’interno della manovra finanziaria del Governo.

Crescita degli investimenti, fisco di impresa, cuneo fiscale, politiche attive del lavoro, formazione, sono aree da promuovere organicamente per poter dare continuità di sviluppo in un 2023 che si preannuncia più difficile del 2022.

Ed il recente rapporto Excelsior (Unioncamere – Arpal) evidenzia con chiarezza gli effetti negativi dello scollamento fra formazione e mondo produttivo, con il peggioramento dell’alternanza scuola – lavoro frutto di scelte non condivisibili dei primi due governi della passata legislatura. Serve una alleanza più forte tra imprese e mondo della formazione dal momento che registriamo in prospettiva una carenza di alcune decine di migliaia di laureati e una difficoltà crescente di individuazione di profili professionali nelle imprese del nord- est e in alcune regioni centrali quali la Toscana, l’Umbria, le Marche, con alti fattori di rischio per la competitività del Paese, complice anche la crescente denatalità in atto.

Occorrono politiche familiari e occupazionali per donne e giovani e una comunità che ne riconosca il valore.

Occorre che il Paese si mobiliti in tale direzione unitariamente con un contributo, che può arrivare da una immigrazione che abbia la possibilità e la volontà di integrarsi nei processi di sviluppo.

Buoni propositi e buone politiche sono necessarie dopo un anno difficile – contrassegnato dalla pandemia, dalla guerra promossa dalla Russia, dal caro energia che ne è derivato, da un’inflazione crescente che preoccupa e rompe equilibri ormai consolidati. Eppure il sentiment del mondo delle imprese continua a rimanere positivo ma, come detto, occorre accelerare sugli investimenti perché senza investimenti non c’è lavoro, non c’è crescita e, in economia, non c’è futuro, come ricordano gli indicatori Ambrosetti.

E nel 2023 che inizia accogliamo con speranza alcune riflessioni autorevoli di importanti economisti, che registrano come il problema centrale dell’economia moderna è la sua portata limitata, perché il suo campo si è disancorato dalla sua vera base che è lo studio del benessere umano.

Lo sosteneva Amartya Sen evidenziando che l’economia ha preso una svolta sbagliata con la famosa e dominante definizione dell’economista britannico Lionel Robbins, che la definiva come allocazione di risorse scarse tra fini concorrenti.

E Amartya Sen giustamente contrapponeva la definizione di Robbins a quella dell’economista di fine 800 inizio 900 Arthur Pigou che scrisse: “Non è nella meraviglia ma piuttosto nell’entusiasmo sociale che si ribella alla sordidezza di strade malfamate e alla tristezza di vite avvizzite che si trova l’inizio della scienza economica”

E Angus Deaton – premio Nobel dell’economia 2015 – ricorda che dobbiamo superare la nostra idea fissa sul solo denaro come misura del benessere umano e che gli economisti hanno abbandonato gli ultimi due elementi della triade di Keynes (efficienza economica, giustizia sociale, libertà individuale).

E leggere le encicliche della dottrina sociale della Chiesa farebbe senz’altro bene a tanti economisti e li aiuterebbe a ritrovare la strada della triade di Keynes, soprattutto per quanto attiene la giustizia sociale.

Speriamo che il 2023 si muova in tale direzione.

Giancarlo Abete

imprenditore - Presidente di Fidimpresa Italia

Registrato al Tribunale di Roma il 19/09/2018, n. 155
Direttore: Roberto Serrentino

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