Concorso universitario truccato? No, la cooptazione è legale

Si ha notizia di una singolare richiesta di archiviazione che la procura della Repubblica di Milano ha avanzato per chiudere un’inchiesta su uno dei tanti concorsi universitari cd. “truccati”.

Quale che fosse la fattispecie in concreto presa in considerazione (abuso d’ufficio, associazione per delinquere, corruzione o altro), il sostituto procuratore Luca Poniz (già presidente dell’ANM nell’epoca dell’esplosione del Palamara-gate) ha messo nero su bianco che, a suo avviso, non fossero ravvisabili reati nella condotta dei commissari di concorso i quali, anziché valutare oggettivamente i titoli dei candidati, ne privilegiassero l’appartenenza a questa o a quella cordata capeggiata dal “barone” di turno.

Si, perché secondo l’ex presidente dell’ANM è disdicevole, ma legale, farsi gioco delle aspirazioni dei candidati ad un concorso (qualsiasi concorso, a questo punto) sull’altare della “cooptazione”, vale a dire dell’arbitrio non sindacabile di chi ha il potere di favorire il destino del proprio adepto.

Nulla di scandaloso secondo l’ufficio dell’accusa milanese, il posto arriverà per tutti, basta aspettare il proprio turno.

Fatta la tara al resoconto giornalistico, peraltro proveniente da una testata solitamente affidabile, questi sono i concetti espressi dal dott. Luca Poniz poi ovviamente disattesi dal giudice che ha chiuso, sì, il procedimento penale contro i commissari, ma per prescrizione dei reati e non certo per la loro insussistenza negli sconcertanti termini prospettati dal pubblico ministero.

Il quale si è spinto oltre.

Se, in determinati ambiti, la cooptazione è la prassi, sarebbe ora che il Legislatore si svegliasse e ne prendesse atto, non già per arginare qual fenomeno bensì per legalizzarlo, formalmente.

La posizione, dissacrante a dir poco, deve avere una sua spiegazione, una giustificazione, un’origine plausibile.

Perché divora in un istante una non breve serie di norme costituzionali (spiccano gli artt. 3 e 97).

Non dev’essere estranea alla genesi di una simile negazione del diritto ed esaltazione del potere l’esperienza vissuta dal sostituto milanese quale presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati proprio nella fase in cui esplose lo “scandalo” suscitato dalle chat sbirciate nel telefonino del dott. Luca Palamara.

Dalle quali poteva scorgersi proprio la sistematica “cooptazione” dei magistrati appartenenti alle correnti agli incarichi direttivi in ambito togato.

Se lo fanno i magistrati, perché non dovrebbero gli universitari?

Questo, verosimilmente, il retropensiero che ha orientato la richiesta di archiviazione giustamente respinta dal giudice.

Perché vede, dott. Poniz, la sua idea di rendere, oltre che legale, nemmeno disdicevole (come potrebbe esserlo se legalizzato?) un sistema che tradisce, oltre le aspirazioni dei candidati, fondamentali valori sui quali si basa la Costituzione, appare essa stessa molto disdicevole.

La discrezionalità, per quanto ampia, che caratterizza il giudizio sui candidati, non solo nei concorsi universitari o in quelli per il conferimento degli incarichi ai magistrati, deve esercitarsi in conformità alla legge e non può essere il varco del clientelismo.

Almeno in quei rarissimi casi nei quali un trojan, un’intercettazione, un qualsiasi documento oppure un’inattesa confessione dimostri che se ne è abusato, l’accusatore dispone di armi possenti da far valere contro l’illecito.

Sempre se si concorda che le prassi distorte vanno represse, non legalizzate.

Nicola Saracino

consigliere di Corte d’Appello a Roma

Registrato al Tribunale di Roma il 19/09/2018, n. 155
Direttore: Roberto Serrentino

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