Roberto Serrentino al Salone della Giustizia – “Professionisti e responsabilità civile”
Roma, 25 ott. (askanews) – Un appello al neoministro della Giustizia Carlo Nordio sulla richiesta presentata al suo predecessore Marta Cartabia da parte del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti di un intervento normativo per perimetrare la responsabilità civile dei commercialisti nei collegi sindacali e delimitare nel quantum i danni economici, cui possono essere chiamati a rispondere.
Questa la conclusione di Roberto Serrentino, commercialista e professore di diritto tributario, nonché Direttore di Dimensione Informazione, al suo intervento al Salone della Giustizia nel Convegno su “Professionisti e responsabilità civile”. La giurisprudenza ha assunto negli anni posizioni non sempre univoche. È passata dall’ascrivere responsabilità in capo al commercialista-revisore per il solo fatto di ricoprire la carica di sindaco, contestando una culpa in vigilando tout court, a cercare, invece, un sinallagma concreto tra comportamenti (commissivi o omissivi) dello stesso ed il danno effettivamente determinatosi.
Luigi Ciampoli
L’uso del danaro contante, la cui regolamentazione, più volte, ha subito modifiche che hanno indicato limiti diversi del suo uso. Le motivazioni poste a fondamento delle diverse previsioni troverebbero, secondo alcuni fondamento nella strategia volta a contrastare il lavoro nero, l’evasione fiscale e pericolose manifestazioni criminali, riconducibili a mafie e terrorismo. Altre vedrebbero, nell’utilizzo di un tetto all’uso del danaro contante, un mezzo per incentivare e favorire nel Paese il ricorso alla transazione digitale. Una tale riflessione rende evidente la sostanziale trascuratezza del principio costituzionale, che vuole il sistema propositivo di tutte le leggi volto a realizzare la volontà dei cittadini. In particolare va sottolineato che la tesi orientata ad incentivare nelle varie forme di transazione e di rapporto il ricorso al mezzo informatico, quale mezzo di ricerca e realizzazione di rapporti più celeri e più semplici, comporta, in concreto, rilievi esattamente contrari. Invero, con la previsione della scelta predetta non si è infatti tenuto conto dei dati statistici e demografici, che indicano nella popolazione italiana una maggioranza di cittadini anziani, spesso disorientati dal ricorso ad un mezzo prevalentemente ancora poco conosciuto, fragili dinanzi a procedure fondate su diversa natura, preoccupati da errori, peraltro, burocraticamente possibili. Confondere la configurabilità di un principio con il suo pratico impiego, esprime confusione sostanziale e comportamentale.
Andrea Reale
Fino ad oggi la maggioranza assoluta dei togati era in grado di raggiungere al suo interno, con l’aiuto di qualche componente di diritto, il quorum necessario per giungere alle deliberazioni, talvolta senza che i “laici” avessero peso determinante nell’adozione delle stesse. Dalla prossima consiliatura, invece, nessuno dei due schieramenti che connotano il bipolarismo togato nell’organo di governo autonomo riuscirà ad ottenere la maggioranza, se non grazie al voto dei componenti laici. Spetterà, pertanto, ai “non togati” l’immane compito di evitare ciò che i partiti della magistratura hanno compiuto nel corso di questi decenni, ossia minare alla radice l’indipendenza interna dei singoli magistrati. Qualche maligno ipotizza che lo strapotere dei “laici” nel nuovo CSM potrebbe mettere a rischio anche l’indipendenza esterna dell’Ordine giudiziario. Tanti di noi preferiscono al momento immaginare che il loro ruolo possa, piuttosto, essere beneficamente rivolto a “calmierare” le spartizioni correntizie e gli abusi praticati in passato dai gruppi, i quali hanno troppo spesso eluso la normativa se non anche i giudicati amministrativi, per favorire i loro accoliti. Proprio la piena conoscenza delle logiche che reggono la vita dei gruppi e delle loro deleterie degenerazioni dovrebbe indurre coloro che hanno il potere di designare gli esponenti del CSM esterni al mondo giudiziario a scegliere tra esperti di altissimo livello, piuttosto che tra rappresentanti dei partiti espressi in Parlamento, così restituendo l’organo consiliare al ruolo e alla funzione ad esso riservata dalla Costituzione.
Ugo Utopia
Il tetto al contante, se di 1.000, 2.000, 5.000, o anche 10.000 euro, si rileva essere ormai un tema meramente di carattere ideologico. Alla sinistra tradizionalmente statalista, volta a imporre leggi e sanzioni che regolano e limitano, quasi in una perenne psicosi culturale di sospetto, le attività imprenditoriali, commerciali e professionali, si contrappone una destra liberista, che con le sue aperture vuole stimolare la crescita economica, favorire la libera iniziativa, la concorrenza fra privati, la circolazione del denaro, ecc. È stato scritto fin troppe volte e non mi soffermo oltre, che non c’è alcuna correlazione empirica, netta e chiara tra uso del contante e riciclaggio di denaro di illecita provenienza, tra pagamenti cash ed evasione fiscale. Semmai è un tema di controlli e di tracciabilità delle attività lavorative da attualizzare e implementare attraverso procedure di alert e segnalazioni, che siano più stringenti e pervasive nel far emergere incongruenze o anomalie dei movimenti finanziari (versamenti e prelievi bancari, ovvero transazioni, ecc.).
Associazione Antigone
Ogni storia è a sé, frutto di personali considerazioni e sofferenze. Quando i numeri diventano così alti, non possiamo però non guardarli nel loro insieme, come indicatore di malessere di un sistema che necessita profondi cambiamenti. Seppur non è possibile ricondurre l’accelerazione del fenomeno di quest’anno a ragioni precise, alcune considerazioni possono esser fatte. Il carcere di per sé è un sistema a cui accedono persone con alle spalle situazioni già di ampia complessità, che la società il più delle volte è incapace di gestire. Una volta accolte queste persone, il sistema carcere non riesce a sua volta a sostenerne i bisogni, non avendo né le caratteristiche né le risorse necessarie. Per cambiare il sistema gli interventi da apportare sono molti. Oltre a favorire percorsi alternativi alla detenzione intramuraria, soprattutto per chi ha problematiche psichiatriche e di dipendenza, è necessario migliorare la vita all’interno degli istituti. Andrebbe a tal fine innanzitutto prevista una maggiore apertura con l’esterno, tramite più telefonate, videochiamate e colloqui. In tal senso si è espresso anche il Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria tramite una circolare. Questi sono solo alcuni dei tanti interventi necessari. Aspetti di una riforma di sistema in grado di migliorare la permanenza in carcere di tutte le persone detenute e, in particolare, di chi si trova in situazioni di profonda fragilità. Una riforma necessaria, per evitare che il carcere diventi sempre più catalizzatore di sofferenze e disperazione.