Contante sì – contante no, scelta giuridica o “facite ammuina”

L’insediamento di un nuovo Governo in Italia ha determinato varie iniziative parlamentari, orientate a tener fede a quanto promesso nella campagna elettorale.

La molteplicità delle opinioni espresse, in quella sede, si è trasferita in conseguenza sulla necessità di disposizioni normative, sia nuove sia soltanto correttive di precedenti articolazioni.

Uno dei richiamati interventi ha come oggetto l’uso del danaro contante, la cui regolamentazione, più volte, ha subito modifiche che hanno indicato limiti diversi del suo uso.

Il problema torna, ancora di attualità riproponendo, in particolare, gli interrogativi legati alla reale utilità di una sua generale configurazione nonché quantificazioni diverse del limite del suo utilizzo.

Le motivazioni poste a fondamento delle diverse previsioni troverebbero, secondo alcuni fondamento nella strategia volta a contrastare il lavoro nero, l’evasione fiscale e pericolose manifestazioni criminali, riconducibili a mafie e terrorismo. Altre vedrebbero, nell’utilizzo di un tetto all’uso del danaro contante, un mezzo per incentivare e favorire nel Paese il ricorso alla transazione digitale.

Le soluzioni prospettate, pur contenendo punti di condivisione validi, offrono tuttavia argomenti di perplessità, che sembrano predominanti rispetto agli altri.

In primo luogo va osservato che l’insorgenza del problema, come del resto altre iniziative, malgrado la specifica natura giuridica, risentono del coinvolgimento nel campo politico, spesso più interessato, purtroppo, dalla ricerca di personali consensi piuttosto che dal conseguimento di reali esigenze dei cittadini.

Una tale riflessione rende evidente la sostanziale trascuratezza del principio costituzionale, che vuole il sistema propositivo di tutte le leggi volto a realizzare la volontà dei cittadini.

In particolare poi va sottolineato che la tesi orientata ad incentivare nelle varie forme di transazione e di rapporto il ricorso al mezzo informatico, quale mezzo di ricerca e realizzazione di rapporti più celeri e più semplici, comporta, in concreto, rilievi esattamente contrari. Invero, con la previsione della scelta predetta non si è infatti tenuto conto dei dati statistici e demografici, che indicano nella popolazione italiana una maggioranza di cittadini anziani, spesso disorientati dal ricorso ad un mezzo prevalentemente ancora poco conosciuto, fragili dinanzi a procedure fondate su diversa natura, preoccupati da errori, peraltro, burocraticamente possibili.

Oltre a ciò vanno pure considerati possibili inconvenienti scaturenti dallo stesso funzionamento del sistema, abilmente sfruttati, se non addirittura provocati, da soggetti orientati verso obiettivi diversi contrari alla puntualità ed efficienza delle operazioni da compiere.

Con obiettivi sostanzialmente diversi si pone la tesi orientata, come già detto, come mezzo di contrasto alla lotta al riciclaggio ed al lavoro nero.

La limitazione all’uso del denaro contante, comportando la conseguente ostensibilità delle operazioni, con importo superiore al limite stabilito, finirebbe per costituire valido elemento di sostanziale indicazione o denuncia di operazioni sospette di riciclaggio o in nero.

Anche tale proposta non si sottrae però a contrarie osservazioni.

Innanzitutto non sembra smentito il rilievo secondo cui il divieto di compiere operazioni, oltre un determinato tetto, finisce per orientare gli operatori verso le c.d. “operazioni a catena”, caratterizzate da più transazioni di importo inferiore al limite indicato, collegate tra loro con legami talvolta anche fantasiosi, diretti a sfruttare anche l’uso del tempo come motivazione e dimostrazione di una assenza di sottostanti accordi criminosi. Mezzi questi ben noti nelle varie strutture della mafia e della criminalità organizzata. Così pure, la volontà di fare emergere molte delle operazioni in nero finisce per essere destinata ad un limitato successo.

In molte occasioni, infatti, queste finiscono per essere aggirate in assenza di approfondimenti, sui vari soggetti interessati, legati tra loro da un sottile rapporto, talvolta di soggezione, talaltra di scelta, necessitata da contingenze urgenti e diverse.

A giustificazione del ricorso alla necessità di stabilire un tetto all’uso del denaro contante si è pure richiamata la volontà di correlare o uniformare la normativa italiana con quella di altri Paesi europei. L’intendimento manifestato, al di là dell’iniziativa ricercata, non ha però dato comuni spunti positivi, nel silenzio dell’Unione Europea condizionata da interessi e parametri diversi espressi dagli altri Stati.

Così analizzato il problema, la limitazione dell’uso del denaro contante appare poco idonea a risolvere gli obiettivi voluti e resi ulteriormente incerti dal ricorso alle monete virtuali. L’intervento normativo appare dunque trascurato, non produttivo di efficaci e reali garanzie, quanto invece di confusione che, si perdoni l’irriverenza, finisce per riproporre, di fatto, solo il vecchio e famoso detto, falsamente attribuito a Francesco di Borbone: “facite ammuina!”.

La ricerca di validi mezzi di contrasto a fenomeni criminosi, nocivi per una salda economia, sembra invece meglio attagliarsi ad una efficienza e validità di controlli che, lungi dal rappresentare forme di limitazione o di privazione dei diritti dei cittadini, garantiscano invece chiarezza e trasparenza di rapporti con la Pubblica Amministrazione.

Il rimedio qui suggerito offre inoltre l’occasione per alcune puntualizzazioni su di una corretta giuridica collocazione in termini di controlli.

Normalmente questi vengono percepiti sotto forme di comportamenti ed azioni, coattivamente subite, violatrici del rispetto del diritto di riservatezza, spettante ad ogni individuo, limitatrici dei generali principi di libertà.

Tali rivendicazioni vanno riconosciute come assolutamente ineccepibili per il loro assoluto valore ma, proprio perché tali, abbisognano di una specificazione quanto più approfondita e possibile, riguardo la loro giuridica rivendicazione di un proprio diritto di libertà e compimento di comportamenti improntati a libere scelte.

Queste non possono costituire mero esercizio di scelte superficiali, sciatte, non meditate, non correlate, a eguali riconoscimenti verso altri soggetti.

Il principio costituzionale affermato con i predetti requisiti è indissolubilmente legato alla reciprocità, ribadita come affermazione di democrazia.

La riflessione espressa non può dunque trascurare di tener conto di due differenti momenti: la prima relativa ad una scelta necessitata dei controlli, l’altra, spesso poco approfondita in ragione di una strumentale interpretazione e negativo giudizio sulla modalità di un suo uso. Ne consegue che il giudizio, sul modo di gestione di diritti rilevanti fondamentali, purtroppo spesso viene posta a fondamento della negazione di una sua corretta previsione dogmatica, contestandone e sostenendone di conseguenza la sua inammissibilità.

Confondere dunque la configurabilità di un principio con il suo pratico impiego, esprime confusione sostanziale e comportamentale.

Il richiamo a principi regolamentari, ha come sua esplicita conseguenza il rinvio operativo agli elementi esecutivi autonomi, caratterizzati dalle loro specifiche modulazioni. Sono queste ultime, che dispiegandosi nel loro pratico uso, offrono giudizio e motivazione della loro legittimità, non di certo, perciò solo, stabilendone o negandone la loro vigenza.

In buona sostanza la bontà e la giuridicità di una norma va misurata solo con la riscontrata corrispondenza con i principi giuridici voluti e non invece con le conseguenti articolazioni previste in sede esecutiva.

La loro erroneità o la mancata loro condivisione non può dunque ricondursi ad un sostanziale e conclusivo rifiuto della norma.

Ricollegandosi di conseguenza a quanto precedentemente espresso in relazione a limitazioni e quantificazioni dell’uso del denaro contante, può ritenersi che le proposte modifiche di soluzioni soddisfacenti, avverso fenomeni criminosi, possa utilmente essere ricercata, con migliori puntualizzazioni dei rimedi proposti, non dibattendo invece sugli effetti altalenanti delle previsioni di una norma generale.

Appare dunque utile, oltre che giuridicamente corretto, distinguere in ogni norma la valutazione del principio espresso da quello relativo ai mezzi del suo impiego.

Nel caso di specie il rigoroso ed esteso controllo sulle operazioni, specificamente tutelato da violazione della segretezza ed illecite propalazioni, sembra in conclusione poter conseguire gli effetti sperati dalla migliore previsione dei proposti rimedi positivamente riconosciuti nelle finalità volute dalla norma generale.

Luigi Ciampoli

Magistrato, docente di procedura penale Università di Urbino, già procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Roma

Registrato al Tribunale di Roma il 19/09/2018, n. 155
Direttore: Roberto Serrentino

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