Le elezioni politiche del 25 settembre si sono concluse da pochi giorni, ma le considerazioni e le riflessioni sui risultati elettorali continuano ad alimentare un vivace dibattito. Il confronto è non solo sui numeri, ma soprattutto su cosa c’è dietro questi numeri e su quale sia il messaggio trasmesso dal Paese. Il voto rappresenta, infatti, anche in un mondo che sta divenendo sempre più digitale e virtuale, ancora il primo veicolo di comunicazione tra cittadini e politica e la prima cartina di tornasole dello stato di salute del Paese. Così come la decisione di non andare a votare.
In questo senso le ultime elezioni ci hanno insegnato molto.
La lezione più importante che si può trarre dal voto è che i cittadini hanno bisogno di risposte concrete e di soluzioni ai problemi ed è questo che chiedono a gran voce alla politica. Il mondo sta diventando sempre più complesso e viene percepito spesso come minaccioso. Per questo gli imprenditori, i lavoratori, i pensionati, le famiglie hanno tutti necessità di avere accanto uno stato “amico” che riesca a fornire loro il supporto necessario in questa difficile fase di transizione e non uno stato “nemico” da cui guardarsi le spalle. I rischi e le incertezze derivanti dalla guerra, l’esplosione dei rincari dei prezzi delle materie prime e le grandi sfide derivanti dalla globalizzazione hanno reso ancora più urgente questa necessità, poiché ci si sente tutti più smarriti e spaventati rispetto al futuro. La richiesta è di una classe politica che riesca ad essere vicina ai cittadini con competenza, coerenza e affidabilità. Che non aggiunga nuovi livelli di complessità, ma che semplifichi, guardando con slancio e fiducia al futuro.
In questo la proposta del centrodestra è risultata più credibile. Il risultato elettorale non ha lasciato spazio a dubbi: la vittoria è andata nettamente alla coalizione di centrodestra, che ha ottenuto il 44% dei voti sia alla Camera che al Senato. La vittoria è stata ancora più evidente nei collegi uninominali dove la scelta di presentarsi uniti ha consentito di ottenere oltre l’80% dei collegi.
Gli elettori hanno premiato la capacità di individuare delle soluzioni per i problemi dei cittadini, con un approccio improntato al pragmatismo ed all’efficacia. Ma gli elettori hanno anche premiato la capacità di collaborare nella cornice unitaria di una coalizione, come indicano chiaramente i risultati sui collegi uninominali. Questo ultimo aspetto non deve essere sottovalutato.
In un Paese nel quale si preferisce sempre valorizzare le differenze e le divisioni, per tentare di rivendicare la propria identità, essere riusciti a fare una proposta di coalizione e individuare dei candidati comuni è stato premiante. Andare uniti, pur con le proprie specificità, ha avuto, ha ed avrà un valore essenziale. Ciò non significa non sviluppare una sana dialettica di confronto, ma canalizzare questa fisiologica dialettica per individuare delle soluzioni comuni. Ciò consente infatti la governabilità del Paese, intesa come possibilità di governare con una maggioranza stabile per un’intera legislatura.
L’altra lezione che ci consegna il voto è la sfiducia di una grandissima parte dell’elettorato nei confronti della politica. Da un punto di vista squisitamente numerico, infatti, solo 29 milioni di italiani si sono recati alle urne, pari al 64% degli aventi diritto, il dato più basso della storia repubblicana. Il livello di astensione sta progressivamente raggiungendo quanto si sperimenta in paesi come gli Stati Uniti, dove questa tendenza è iniziata già da tempo.
Questo è un dato che deve fare profondamente riflettere e che desta molte preoccupazioni, perché ci segnala che molti cittadini non pensano più che la politica possa fornire delle risposte e soprattutto risposte credibili. Certamente negli ultimi anni si è sperimentato un cambio di paradigma, nel quale il voto dettato da ideologia e appartenenza sta progressivamente scomparendo. Ma gli elettori hanno ancora difficoltà a capire e ad identificarsi in alcune proposte.
La distanza sui numeri dell’astensionismo tra Nord e Sud del paese è in questo senso paradigmatica. Le regioni del Mezzogiorno erano state nel 2018 le uniche in cui l’affluenza si era mantenuta costante. Nel 2022 sono state invece quelle in cui la disaffezione al voto si è manifestata con maggiore evidenza: la partecipazione al voto si è fermata al 55%, quasi 10 punti sotto la media nazionale.
Su questo terreno molto può essere migliorato per trovare un dialogo più diretto con gli elettori, con i territori, con le comunità. Soprattutto con gli elettori che ritengono la politica un qualcosa di troppo distante. Come Lega questo è stato da sempre uno dei tratti distintivi della nostra proposta, e su questo terreno proseguiremo il nostro lavoro ancora con maggiore impegno. L’unico modo possibile per la politica di ritrovare il rapporto con gli elettori è quello di ripartire dal territorio valorizzando l’esperienza della base per realizzare il principio di: “pensare globale, agire locale”.
Il rapporto con il proprio elettorato poi non può in alcun modo restare confinato al solo periodo della campagna elettorale, ma deve consolidarsi lungo l’arco della legislatura. Solamente un ininterrotto scambio di prospettive tra la dimensione territoriale e quella nazionale con il pieno coinvolgimento della prima, può condurci ad una virtuosa azione di governo.
La Lega nel corso della sua storia ha saputo perfettamente coniugare l’amministrazione delle più importanti realtà economiche locali con una decisa azione amministrativa a livello nazionale rappresentando al meglio la voce dei tanti territori, piccoli e grandi, amministrati lungo il paese.
Questa esperienza diventa quindi la base naturale sulla quale poggiare la realizzazione di un ambizioso programma politico in vista della nuova legislatura.