La riforma della giustizia tributaria:
uno schiaffo al giudice non togato

Il disegno di legge governativo, recante “Disposizioni in materia di giustizia e di processo tributario” in discussione al Senato, costituirà una riforma epocale. Dopo la sua approvazione, che sembra certa ed imminente, la giustizia tributaria subirà un notevole stravolgimento, che, lungi dal completare il percorso, da tempo in atto, verso la sua piena giurisdizionalizzazione, le farà fare notevoli passi indietro, attraverso norme di dubbia costituzionalità, che comunque comportano un depauperamento delle garanzie del contribuente. Basti dire che non si fa alcun richiamo allo Statuto del contribuente, che pure avrebbe bisogno di correttivi, atteso che le sue principali norme spesso non vengono con estrema disinvoltura rispettate. Uno Statuto, che, pur non elevato a rango primario, dovrebbe essere la stella polare per ogni legislatore nel disciplinare la materia fiscale. Ignorato, ovviamente, anche il Garante del contribuente, la cui scarsa conoscenza da parte dei cittadini ed il suo limitato potere, gli impedisce di svolgere a pieno il ruolo che lo stesso Statuto gli assegna e che consiste principalmente nel sorvegliare affinché i rapporti tra fisco e contribuente siano improntati al principio della buona fede e collaborazione.      

La stagione delle riforme epocali o definite tali si è purtroppo ormai conclusa da oltre mezzo secolo.  

Il Parlamento vede sempre più affievolirsi il suo ruolo di legislatore e questo disegno di legge governativo ne è la prova inconfutabile. Giacevano e giacciono in Parlamento diversi analoghi progetti, che, pur partendo dalla comune, ma non condivisa, impostazione del giudice professionale tributario, costituiscono degli spunti tutt’altro che trascurabili, degni di un approfondito dibattito. Il disegno governativo li ignora tutti ed elabora una disciplina peggiorativa sul piano delle garanzie anche nei confronti dei giudici tributari.  

Ovviamente non si può escludere che nel dibattito parlamentare sarà approvato qualche emendamento, ma l’impianto dell’introduzione del giudice professionale, rimarrà inalterato.

Com’è noto, oggi le Commissioni tributarie hanno una composizione eterogenea con la presenza di giudici ordinari e speciali, nonché di esponenti di varie professionalità. L’incontro o lo scontro tra diversi saperi è stata la felice intuizione che ha dato indiscutibilmente risultati positivi. Negli ultimi venti anni è stato eliminato un arretrato di cinque milioni di ricorsi. Soltanto il 10% circa delle sentenze delle Commissioni Tributarie Regionali vengono impugnate in Cassazione, il che vuol dire che il 90% del contenzioso di merito viene accettato dalle parti, pubblica e privata. La più grossa patologia, a tacere delle altre, è la scarsa indipendenza dei giudici. È stato creato l’organo di autogoverno dei giudici tributari il Consiglio di Presidenza, ma la giustizia tributaria è gestita dal Ministero dell’Economia e delle Finanze che, pur essendo parte sostanziale in ogni ricorso, fornisce mezzi e personale per il suo funzionamento, determina i compensi ai giudici, ecc.

Con il progetto in esame ci si aspettava un massiccio intervento volto ad eliminare questa vera e propria anomalia che, anche sul piano dell’apparenza, condiziona l’immagine della terzietà del giudice. È stato invece apoditticamente ipotizzato un giudice professionale a tempo pieno, vincitore di concorso, ma di serie B. Infatti, definito ancora come magistrato addetto alle Commissioni tributarie e non magistrato di tribunale tributario o consigliere di Corte d’Appello tributaria, lo si rende addirittura più condizionato dal potere del MEF, che vede allargare le sue maglie di azione. 

Ma anche se si fosse immaginata una figura perfetta di giudice tributario, con tutte le garanzie riservate non dico a quello ordinario, ma a quelli speciali: amministrativi, contabili, militari (tra i quali senza ombra di dubbio rientra il primo), che hanno come referente la Presidenza del Consiglio dei Ministri, le perplessità sarebbero rimaste ugualmente da parte del sottoscritto, pur nella consapevolezza di rimanere una voce ormai isolata. Sembra che vi sia una larga condivisione su questa inversione di rotta, ma nessuno ne ha spiegato le ragioni vere. Anzi, nei vari scritti e convegni persino i proponenti la riforma, dopo essersi sempre ed ampiamente dilungati nel tessere gli elogi di questi giudici tributari (in particolare i non togati), del funzionamento delle Commissioni tributarie, dei tempi brevi di durata dei ricorsi di primo e secondo grado, concludevano dando per scontata la ineluttabilità di questa riforma.

La filosofia di fondo, basata sul principio che il giudice professionale sia la soluzione ottimale per dare un assetto istituzionale a tutte le giurisdizioni, da prendere a modello, dando quindi ad intendere che esso sia il migliore, appare superata, pur volendo (ma non si può) prescindere dal valutare la situazione attuale in cui versa soprattutto la giustizia ordinaria. È una figura non proiettata verso una dimensione futura nella quale il ruolo del giudice vedrà un progressivo ampliamento, sempre più complesso ed articolato, fuori dagli schemi preordinati. La sua persistente e permanente autoreferenzialità, svincolata di fatto da qualsiasi tipo di incisiva valutazione, ne continua a disegnare una figura che resta avviluppata nella sua corporazione, chiusa nella sua “torre d’avorio”.

L’evoluzione della società ha visto l’affermarsi esponenziale di molti diritti (forse a scapito dei doveri), che sottopongono al giudice una moltitudine di domande alle quali egli, anche per alcuni vuoti legislativi e per carenze culturali specifiche, non essendo in grado di adottare risposte tecniche, ne adotta altre che in alcuni casi riscontrano una certa valenza politica nel cui ambito legittimamente il giudice stesso si muove.

Gli esperti ed i consulenti, che pure forniscono dei dati scientifici, finiscono per lavorare a vuoto, poiché il giudice essendo peritus peritorum, può sempre prescindere nella decisione dalle soluzioni tecniche proposte. Insomma si avverte sempre di più l’esigenza di una partecipazione nell’amministrazione della giustizia di altre componenti professionali e sociali.

Del resto i nostri padri costituenti, scrivendo l’art. 102, avevano, con apprezzabile lungimiranza, previsto detta partecipazione, riservando al legislatore ordinario di disciplinarla.

È ovvio che non si intende sostenere la tesi che il giudice strettamente professionale abbia fatto il suo tempo, né si immagina di copiare il sistema anglosassone, magari ipotizzando un giudice elettivo.

Si vuole solo sostenere che “rebus sic stantibus”, anziché procedere allo smantellamento di un sistema che funziona e che è in linea con le prospettive future previste anche dalla Costituzione, sarebbe stato più opportuno correggerne i difetti ed inverare definitivamente una giustizia tributaria in una posizione paritaria  con le altre, nella quale ai magistrati professionali, selezionati attraverso concorsi (non presi in prestito da altre giurisdizioni), venissero affiancati, su un piano di assoluta parità, da professionisti di profilo altamente qualificato, con impegno a tempo pieno, magari  determinato, con una retribuzione adeguata.

Si è affermato che la riforma ci era imposta dal PNRR. Non è così. L’Europa, preso atto delle insopportabili lungaggini dei ricorsi in Cassazione, ha chiesto soltanto di intervenire per eliminare questa patologia, non una riforma integrale della giustizia tributaria. Peraltro il progetto non risolve il problema suddetto.

Con la composizione eterogenea si sarebbe salvaguardata anche la collegialità, unico strumento che può condizionare l’autoreferenzialità del giudice e che garantisce una maggiore certezza del diritto. Viceversa si prevede che il magistrato vincitore di concorso, una volta inserito nelle Commissioni tributarie, senza l’obbligo di alcun tirocinio, possa decidere, quale organo monocratico, sui ricorsi di valore fino a 5.000 euro. Sembra che i contribuenti meno benestanti – perché mediamente sono loro che propongono liti di valore modesto – non abbiano diritto alle stesse garanzie degli altri. Quando fu approvata la sciagurata riforma, definita impropriamente epocale, che ha introdotto la figura del tribunale in composizione monocratica!!! e che ha portato i disastri che sono sotto gli occhi di tutti, si affermò che la monocraticità determina una maggiore speditezza. Assioma mai dimostrato perché indimostrabile. La produttività di un magistrato è rapportata al numero dei provvedimenti che redige e che numericamente possono essere gli stessi sia monocratici che collegiali. Certo la camera di consiglio comporta qualche impegno in più, ma almeno la decisione è frutto di un confronto (da fare seriamente) e non espressione di un unico soggetto che alla fine può ritenersi depositario della verità.

Per concludere, non si può non sottolineare che le vere vittime di questa riforma sono i giudici non togati, che hanno svolto la loro attività giurisdizionale, anche per diversi anni, pronunciando sentenze in nome del popolo italiano, ipotizzando la illegittimità costituzionale di alcune norme, con rinvio alla Corte Costituzionale, potere attribuito solo ai giudici ed al Governo, e che ora si vedono ridimensionati ad aspiranti candidati dei primi tre concorsi, che si svolgeranno dopo l’approvazione della riforma e che riserveranno loro il 15% dei posti. Una capitis deminutio che non credo abbia precedenti. Anzi i precedenti sono di segno opposto. Il Ministro di Grazia e Giustizia, Palmiro Togliatti nel 1946 fece approvare una norma che consentiva l’accesso nella magistratura ordinaria ad un certo numero di soli laureati in legge con il massimo del punteggio, molti dei quali sono stati degli ottimi magistrati.

I giudici non togati hanno rappresentato da sempre la struttura portante della magistratura tributaria, anche se per un’illogica discriminazione non hanno mai potuto ottenere incarichi apicali, maturando la loro preparazione nel frequentare i seminari di studio che il Consiglio di presidenza e la stessa Associazione Magistrati Tributari hanno organizzato a partire dalla fine degli anni novanta. Uno schiaffo che non meritavano.

Angelo Gargani

magistrato, Garante del contribuente del Lazio, Presidente Associazione Garanti del contribuente

Registrato al Tribunale di Roma il 19/09/2018, n. 155
Direttore: Roberto Serrentino

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