Referendum sulla Giustizia 2022.
Perché votare NO

La riforma della giustizia negli ultimi 30 anni è stata al centro di un acceso dibattito non privo di un eccesso di conflittualità strumentale che in via definitiva ha bloccato le riforme. È il momento di voltare pagina. Poter fare affidamento su un servizio giustizia che funziona, partendo dalla priorità di assicurare tempi ragionevoli dei processi è un presidio irrinunciabile di tutela dei diritti dei cittadini, ed è una leva importante per la crescita, anche in relazione al perseguimento degli obiettivi del PNRR.

Alcuni progetti di riforma, come le deleghe sul processo penale e sul processo civile, sono stati già approvati dal Parlamento.

Altri, come la riforma del CSM, sono all’esame del Senato per “l’ultimo miglio”. Un passaggio importante, in cui la politica si è assunta le proprie responsabilità, giungendo – attraverso un confronto approfondito – a un testo votato a larga maggioranza che prevede molti interventi innovativi e incisivi.

La consultazione referendaria dunque si inserisce nella cornice appena delineata: a fronte di quesiti di difficile lettura e necessariamente vincolati alla semplice abrogazione di norme, c’è una riforma – per quanto riguarda il CSM – già approvata alla Camera e ora in Aula al Senato per l’ultimo passaggio definitivo il 15 giugno.

Nel rispetto assoluto dello strumento è lecito domandarsi se il referendum in questo caso sia il mezzo più adatto a intervenire su una materia così complessa.

Intanto, occorre distinguere tra i tre quesiti attinenti all’ordinamento giudiziario e i due relativi alla legge Severino e alle misure cautelari personali.

I primi tre quesiti, come già detto, incidono su profili già affrontati con la riforma del CSM. In particolare sul voto degli avvocati sulle valutazioni di professionalità dei magistrati nei Consigli giudiziari la soluzione adottata attribuisce proprio tale facoltà raccordandola al Consiglio dell’ordine degli avvocati. Ma vi è di più: nella riforma Cartabia le valutazioni di professionalità eliminano gli automatismi attuali e accedono ad una maggiore articolazione. Lo stesso può dirsi per il superamento della necessità di sottoscrizioni per la candidatura al CSM; in questo caso la riforma innova mutando completamente la legge elettorale con una soluzione tecnica che, con il riequilibrio in senso proporzionale e per la parità di genere, ha l’obiettivo di rendere più contendibile e imprevedibile il risultato elettorale. Andando al tema politico: se si vogliono contrastare le degenerazioni del correntismo, ovvero gli accordi di potere per il potere, l’antidoto è favorire il pluralismo delle idee piuttosto che annichilirlo. Non solo: nel testo della riforma vengono introdotti lo stop alle nomine a pacchetto per i dirigenti degli uffici (d’ora in poi saranno fatte solo in ordine cronologico), così come la impossibilità di far parte contemporaneamente della commissione disciplinare e della commissione nomine.

Quanto al passaggio dalle funzioni requirenti alle funzioni giudicanti (erroneamente indicato come separazione delle carriere) – che il quesito referendario vorrebbe azzerare – la soluzione prescelta dalla riforma appare maggiormente equilibrata: il passaggio di funzione potrà avvenire una sola volta (e non più 4) ed entro i primi 10 anni dall’assunzione delle funzioni.

Non sfugge il valore simbolico che viene attribuito a tale quesito, altrimenti non spiegabile a fronte delle attuali percentuali di passaggi attorno al 2%. Ma se il tema è contrastare un certo protagonismo della fase delle indagini a discapito della centralità del dibattimento, ancora una volta ritengo che sia ad esempio più efficace e pertinente la norma recentemente approvata, che evita i processi mediatici con la limitazione delle conferenze stampa ai casi di rilevanza pubblica. Rilevante poi la scrittura della regola che non si chiede il rinvio a giudizio se non si ha una ragionevole certezza di ottenere una condanna. Il nostro orientamento al voto contrario dunque è perché riteniamo le riforme Cartabia migliori.

Su legge Severino e misure cautelari personali, la posizione contraria attiene direttamente al merito dei quesiti stessi. Infatti, l’integrale abrogazione della Severino avrebbe l’effetto negativo di consentire a persone condannate definitivamente per reati anche gravi di candidarsi ed essere elette.

Diversa è invece la fattispecie che riguarda gli amministratori pubblici, soprattutto i sindaci, per i quali oggi è prevista la sospensione dall’incarico già dopo la sentenza di primo grado. Questo punto va modificato e il PD sta lavorando sia alla Camera che al Senato con due proposte già incardinate in Commissione, bloccate da chi oggi è seduto in Parlamento e sta promuovendo i referendum. Inoltre abbiamo presentato modifiche sui reati omissivi degli amministratori, oltre che sull’ abuso di ufficio. Il PD è pronto ad approvare subito queste norme.

Quanto invece al quesito relativo alle misure cautelari personali avrebbe conseguenze decisamente negative escludere del tutto – come chiedono i proponenti – la possibilità di applicare qualsiasi misura quando vi sia il pericolo concreto e attuale di reiterazione del reato. Voglio precisare che non si abrogherebbero solo le misure cautelari in carcere. L’approvazione del quesito priverebbe il sistema processuale penale di strumenti come ad esempio il braccialetto elettronico, l’obbligo di firma, i domiciliari, il divieto di avvicinamento e l’obbligo di allontanamento anche nel caso di reati gravi e purtroppo spesso seriali come lo stalking, i maltrattamenti in famiglia, le truffe agli anziani, per citarne solo alcuni. Ci battiamo da sempre per il carcere come extrema ratio, ma non sarebbe questo l’effetto dell’approvazione del quesito. La nostra posizione, concludendo, colloca l’istituto referendario come un fondamentale strumento di partecipazione politica da valorizzare nel solco della Costituzione, ma in questo caso scegliere il riformismo radicale e convinto, anziché richiamarsi genericamente al popolo quando si tratta di giustizia non è solo un metodo, è una scelta di campo.

Anna Rossomando

Vicepresidente Senato e Responsabile Giustizia e Diritti PD

Registrato al Tribunale di Roma il 19/09/2018, n. 155
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