Anna Rossomando
Alcuni progetti di riforma, come le deleghe sul processo penale e sul processo civile, sono stati già approvati dal Parlamento.
Altri, come la riforma del CSM, sono all’esame del Senato per “l’ultimo miglio”. Un passaggio importante, in cui la politica si è assunta le proprie responsabilità, giungendo – attraverso un confronto approfondito – a un testo votato a larga maggioranza che prevede molti interventi innovativi e incisivi.
La consultazione referendaria dunque si inserisce nella cornice appena delineata: a fronte di quesiti di difficile lettura e necessariamente vincolati alla semplice abrogazione di norme, c’è una riforma – per quanto riguarda il CSM – già approvata alla Camera e ora in Aula al Senato per l’ultimo passaggio definitivo il 15 giugno.
Nel rispetto assoluto dello strumento è lecito domandarsi se il referendum in questo caso sia il mezzo più adatto a intervenire su una materia così complessa.
La nostra posizione colloca l’istituto referendario come un fondamentale strumento di partecipazione politica da valorizzare nel solco della Costituzione, ma in questo caso scegliere il riformismo radicale e convinto, anziché richiamarsi genericamente al popolo quando si tratta di giustizia non è solo un metodo, è una scelta di campo.
Jacopo Morrone
Solo un messaggio forte e chiaro da parte degli elettori può spronare il legislatore ad agire sulla strada di una vera riforma strutturale di un sistema giustizia che da anni sta perdendo credibilità nell’opinione pubblica, tanto che circa il 66% degli italiani, secondo le ultime rilevazioni, non avrebbe fiducia nel suo funzionamento.
Questa la ragione principale per la scelta della strada referendaria, nella consapevolezza che gli interventi indispensabili per riformare il sistema mai si attiveranno su iniziativa di quegli ambienti, sia della giustizia che della politica, più reazionari e giustizialisti, dove si sono incancrenite forme di chiusura e autoreferenzialità ostili al cambiamento.
D’altra parte, per tacitare chi critica il ricorso al referendum, pur condividendo i contenuti dei quesiti, rispondiamo che il referendum è un fondamentale strumento di partecipazione che, in questo caso, si occupa di una materia che interessa trasversalmente l’intera comunità.
Crediamo fermamente nel referendum e nella partecipazione che, come è evidente, viene invece ostacolata da forze politiche, mediatiche, sociali, culturali per mere ragioni di bottega e di interesse a che il sistema rimanga uguale a se stesso.
Al Paese serve una giustizia più giusta, imparziale e efficace, che restituisca piena e legittima credibilità alla magistratura, che è per lo più composta da professionisti capaci che operano con grande diligenza e riserbo.
Giancarlo Abete
Roma deve ritrovare la sua dimensione di Città con proiezione di grande capitale internazionale.
Il PNRR e gli interventi per il Giubileo del 2025 – oltre alla conferma del Giubileo straordinario del 2033 – possono dare una spinta ad un periodo di forte sviluppo. Il progetto Roma Technopol ha visto protagonista il sistema associativo industriale insieme alle sette Università del Lazio e ai quattro Centri di ricerca Nazionale; l’obiettivo è la nascita di un polo per l’alta formazione e la ricerca di livello internazionale su trasformazione digitale, transizione energetica, biofarmaceutica e salute.
La recente notizia dell’intesa raggiunta da parte dei gruppi parlamentari sugli emendamenti alla riforma di Roma Capitale sembra aprire la strada al rafforzamento dell’autonomia normativa, amministrativa e finanziaria, individuando le funzioni garantite a Roma, lasciando la potestà legislativa in materia di sanità alla Regione, ma favorendo poteri legislativi a Roma senza necessità di intesa con la Regione stessa. Se questo percorso si dovesse realizzare – auspicabilmente nei primi mesi del 2023 – ciò favorirebbe un ruolo diverso di Roma e un’auspicata stagione di sviluppo.
Stefania Falasca
Il 4 settembre 1978, ricevendo gli oltre cento rappresentanti delle missioni internazionali, Giovanni Paolo I aveva sottolineato: “Il nostro cuore è aperto a tutti i popoli, a tutte le culture e a tutte le razze” e aveva affermato: “Non abbiamo, certo, soluzioni miracolistiche per i grandi problemi mondiali, possiamo tuttavia dare qualcosa di molto prezioso: uno spirito che aiuti a sciogliere questi problemi e li collochi nella dimensione essenziale, quella dell’apertura ai valori della carità universale… perché la Chiesa, umile messaggera del Vangelo a tutti i popoli della terra, possa contribuire a creare un clima di giustizia, fratellanza, solidarietà e di speranza senza la quale il mondo non può vivere”. Bastano queste limpide e basilari considerazioni pronunciate quarantaquattro anni fa da un Papa per soli trentaquattro giorni al Soglio di Pietro per riflettere sulla stringente attualità del suo messaggio che lo affratella a quello dell’attuale Vescovo di Roma. E quanto sia stato un gesto importante l’istituzione da parte di papa Francesco, il 17 febbraio 2020, di una Fondazione Vaticana dedicata a Giovanni Paolo I affinché la sua eredità teologica, culturale e spirituale possa essere pienamente ripresa e studiata. Perché Giovanni Paolo I è stato e rimane un riferimento inalienabile nella storia della Chiesa.
Wally Ferrante
Il potere di difesa e rappresentanza in giudizio delle Amministrazioni patrocinate è conferito dalla legge agli Avvocati dello Stato in funzione della loro qualifica, donde l’evidente impossibilità per soggetti privi di tale qualifica (quali i magistrati cessati da cariche elettive o apicali o di governo) di svolgere le funzioni di rappresentanza e difesa in giudizio, in assenza dello ius postulandi ed innanzi ad altri magistrati che restano comunque loro “colleghi”, tenuto conto che, a fronte del loro collocamento fuori ruolo, gli stessi rimangono “nella dotazione organica della magistratura”.
L’Avvocato Generale dello Stato, nel corso dell’audizione innanzi alla Commissione Giustizia del Senato del 12 maggio 2022, ha evidenziato come le disposizioni in esame siano distoniche rispetto al quadro organizzativo e funzionale dell’Istituto; nella stessa sede, l’Associazione Unitaria degli Avvocati e Procuratori dello Stato ha chiesto che venga espunta dal disegno di legge la possibilità che i magistrati cessati da cariche elettive, apicali o di governo possano essere collocati fuori ruolo o possano assumere incarichi fuori ruolo presso l’Avvocatura dello Stato.
Tale richiesta emendativa è confluita negli oltre 260 emendamenti presentati dalle forze politiche, il che lascia ipotizzare che una riforma di tale portata, calendarizzata per la discussione in aula il prossimo 14 giugno, meriterebbe una ben maggiore ponderazione, sganciata dall’intento di portare a casa il risultato, costi quel che costi.
Ugo Utopia
La giustizia tributaria è una giustizia molto tecnica, che può essere esercitata professionalmente soprattutto da chi ha competenze di contabilità, bilanci e fiscalità. Tematiche spesso non alla portata dei tanti giudici tributari che, a tempo pieno, sono pubblici ministeri, ovvero giudici di tribunali civili o presso la Corte dei Conti, o avvocati dello Stato, ecc. Prima di muovere, quindi, con queste riforme azzardate, è bene che i “nuovi” magistrati tributari vengano preparati e istruiti su questioni oggi a loro poco conosciute.
E se qualcuno volesse ribattere a queste mie brevi considerazioni, che provi a chiedere ai tanti magistrati di professione, ma anche giudici tributari, se sanno cos’è il plafond IVA nelle operazioni con l’estero, o il prorata IVA e come si determina, oppure i criteri di tassazione in Italia di una stabile organizzazione estera, o ancora se conosce la CFC (Controlled Foreign Company) la cui normativa specifica prevede la tassazione per trasparenza del reddito societario in capo al soggetto controllante italiano, e tutto ciò solo a mero titolo di esempio.
Gli otto esperti, nominati dal ministro Daniele Franco per quanto concerne il merito e dalla Guardasigilli Marta Cartabia per la parte di legittimità, avrebbero dovuto meditare di più e meglio sulle proposte di riforma, che si leggono solo come una reformatio in peius.
Non resta che confidare nell’iter parlamentare e nel lavoro delle Commissioni.