Hanno detto… sul numero 41, maggio 2022 • anno 4

Gian Marco Centinaio
L’Italia è il paese europeo con il maggior numero di prodotti agroalimentari a denominazione di origine e a indicazione geografica riconosciuti dall’Unione europea. Il nostro agroalimentare per i consumatori è garanzia di grande qualità e di alti standard produttivi. Nel 2021 il settore ha fatto registrare un record storico, tagliando il traguardo dei 52 miliardi di euro di esportazioni di cibi e bevande, con una crescita dell’11% sul 2020. Il vino è stato il primo prodotto del comparto per le vendite oltreconfine con 7,1 miliardi di export. Siamo uno dei paesi simbolo della Dieta Mediterranea, patrimonio immateriale dell’Umanità, che viene riconosciuta come la dieta migliore, non solo dal punto di vista della salute ma anche per la tutela ambientale del Pianeta.  Sufficienti ragioni per difendere i nostri prodotti e il nostro stile di vita da chi vorrebbe far adottare in Europa un sistema di etichettatura come il Nutriscore che – sulla base di un discutibile algoritmo – “promuove” alimenti ultra processati delle multinazionali e penalizza invece prodotti a denominazione d’origine, assegnando un punteggio alto a bibite gassate senza zucchero e penalizzando l’olio extravergine d’oliva di cui sono ben note le proprietà organolettiche. E che vorrebbe mettere un bollino nero a tutte le bevande alcoliche, incluse birra o vino. L’alternativa italiana, che sta convincendo sempre più paesi, è il Nutrinform battery, un sistema il cui obiettivo è quello di informare – e non condizionare – i consumatori e che non difende solo il Made in Italy ma tutto il “Made in” europeo.

Daniele Pitteri
Per il settore dell’arte, della cultura e dello spettacolo la crisi economica è rimasta ed ha assunto dimensioni rovinose, nonostante gli aiuti e i ristori dello Stato. Ma la crisi è servita, perché ha fatto capire quanto quei settori fossero avvinghiati e aggrappati con le unghie a forme e modalità, sia espressive che nella relazione con i pubblici, che si sono rivelate fragili, antiche, inadeguate, nonostante si pensasse, quasi religiosamente, che fossero le uniche possibili. È servito a dare impulso nuovo al settore, a rinnovarlo, a dargli una scossa in grado di catapultarlo nel XXI secolo, sradicandolo dall’equivoco dell’immutabilità dei propri format.
Questa crisi ha pienamente rivelato il segreto della potenza delle arti, soprattutto a tutti coloro, ossia la maggioranza degli esseri umani, che le arti e la cultura non le frequentavano tanto.
Nel momento più cupo che l’umanità ha vissuto da molti anni a questa parte, quelle che sembravano cose noiose, difficili o addirittura inutili hanno rappresentato l’unica forma di resistenza possibile, l’unica forza capace di ergersi oltre l’angoscia e il dolore. E il fatto che lo abbiano capito tantissimi di coloro che invece le ritenevano inutili e noiose e che oggi, quando tutto sembra tornato normale o quasi, non le vogliano più abbandonare, è la prova più forte che di quella straordinaria potenza immaginifica le nostre vite, le nostre anime, i nostri sentimenti non possono proprio farne a meno.
Ed è qui, in questa non banale circostanza, che fra arti e persone è nata una relazione nuova, quella che forse, definitivamente, scardinerà l’idea elitaria della cultura per pochi ed eletti.

Paolo Lembo
Questa guerra è molto di più che una minaccia per alcune sfere di influenza. È la natura stessa della nostra comune umanità ad essere minacciata. Le illusioni emerse dalla fine della guerra fredda hanno ridefinito la cultura occidentale, producendo – tra l’altro – un divorzio tra il concetto di potere ed il valore di compassione. I Governi hanno dimenticato che il valore principale di ogni istituzione democratica è di proteggere la vita umana e garantire un contesto di libere scelte che favorisca la piena realizzazione del potenziale di ogni esistenza. Sempre di più, dalla fine del secolo scorso, tale impegno è stato indebolito da preoccupazioni di egemonia politica, quando non di bruti interessi economici.
In un contesto come l’attuale, è comune liberarsi la coscienza attribuendo tutte le responsabilità a Putin. In realtà, la grande maggioranza di tutti coloro che sostengono la sua leadership (in Russia e fuori; per consapevole interesse o per ignoranza) sono egualmente colpevoli. Così come tutti coloro che hanno fatto molto poco per impedire questa guerra, o hanno coltivato dubbie relazioni di interesse con la leadership russa. Così come lo sono tutti quei leaders politici, che hanno mancato di immaginazione diplomatica nel formulare un’efficace strategia di cooptazione che potesse vanificare i fantasmi di Putin.
La pace non è soltanto assenza della guerra. È la sicurezza che ognuno avrà di che mangiare, i propri figli avranno di che essere educati e tutti avranno di che curarsi al bisogno. Per milioni di persone questa non è ancora la realtà e non solo in Ukraina. Una delle conseguenze certe di questa guerra è che la riconfigurazione dei budget di Stato renderà più difficile soddisfare i diritti ed i bisogni di coloro che già oggi sono più svantaggiati e che, dimenticati, potrebbero divenire la principale fonte di futura instabilità e conflitti.

Nicola Saracino
La commistione tra politica e magistratura, autorevolmente giudicata come “inammissibile”, altro non è che una conseguenza della politicità del CSM. Se ai magistrati è consentito di organizzarsi politicamente al fine di occupare l’istituzione che li amministra, la commistione è nella natura delle cose.
Su questo versante l’intervento che aspira ad essere riformatore pecca addirittura di banalità, esibisce una certa dose di rozzezza. Perché agisce sul solo versante delle candidature dei magistrati in politica, osteggiandole col divieto di riassunzione delle funzioni giudicanti o requirenti dopo la competizione elettorale. In questo caso senza quegli scrupoli d’ordine costituzionale, che hanno invece impedito di intervenire efficacemente sul sistema di “formazione” del CSM con il sorteggio temperato dei candidati, se è vero che la Costituzione consente di limitare il diritto di iscrizione a partiti politici dei magistrati, ma non quello di assumere cariche elettive.
Un togato eletto in parlamento non dà luogo ad alcuna “commistione”, perché se fa il parlamentare non fa il magistrato e viceversa. È quindi, un fenomeno del tutto diverso da quello denunciato dal Capo dello Stato ed in ogni caso il divieto di essere nuovamente assegnato a compiti giurisdizionali non elimina il sospetto che la pregressa attività del togato fosse ispirata da finalità improprie.
La commistione si realizza, piuttosto, attraverso la chiamata politica del magistrato a compiti che non sono quelli per i quali è stato assunto, quasi sempre meglio retribuiti rispetto al suo stipendio. Su questo non si è in alcun modo intervenuti e la cosa non deve sorprendere se si considera che proprio mentre era in corso il dibattito politico su questi temi, il Ministro della Giustizia ha illustrato la scelta del nuovo direttore del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria richiamando l’idea politica del togato prescelto in ordine al trattamento del detenuto.

Francesco Fimmanò
La composizione negoziata è precipuamente funzionale all’obiettivo del risanamento diretto in via principale e a quello del risanamento indiretto in via subordinata ed è ispirata al principio della salvaguardia e del recupero della continuità aziendale. L’esito favorevole delle trattative si rileva quando viene individuata una soluzione idonea al superamento delle difficoltà dell’impresa o alla riallocazione efficiente della stessa grazie alla figura dell’esperto.
In questa logica, l’Università Mercatorum è stata la prima, anche per il legame al sistema camerale, a erogare il corso di formazione per gli esperti organizzato a tempo di record prima ancora dell’entrata in vigore della norma e utilizzando il vantaggio competitivo del metodo telematico on demand. Ad oggi infatti a fronte delle poche istanze, gli esperti che hanno completato il loro percorso formativo e si sono iscritti nello speciale albo sono già quasi 2.000.
In tale contesto, dunque, l’esperto non sarà solo un tecnico del diritto e delle scienze aziendalistiche, ma dovrà essere anche un riferimento in grado di rappresentare, a tutte le parti coinvolte, i benefici della soluzione condivisa della crisi, anche mediante la prosecuzione dell’attività aziendale.
se nasce, soprattutto grazie alla formazione e ad organismi associativi, una virtuosa cultura di questo approccio, innanzitutto nelle imprese e nei suoi consulenti, la composizione negoziata con al centro la figura dell’esperto potrebbe essere finalmente la soluzione cercata da anni per far emergere tempestivamente lo stato di crisi senza quel ritardo da sempre esiziale e di trovare velocemente soluzioni funzionali alla riallocazione efficiente dell’impresa in crisi.

Alfredo Maria Becchetti
La pressione fiscale sugli immobili tiene conto di tre distinte variabili:
a)            La rendita catastale
b)           Il coefficiente moltiplicatore
c)            La percentuale della imposta.
La riforma proposta va nella strada di una modifica sostanziale di uno dei fattori, il cui effetto sarà matematicamente e necessariamente un aumento della imposta finale solo se non verranno abbassate e compensate le altre due variabili (coefficiente e percentuale).
L’Italia è un paese a altissimo tasso di investimento sugli immobili da parte delle famiglie e dei privati, quindi tassare la casa significa colpire per la seconda volta i redditi da lavoro.
A questo punto si impone una modifica generale, non solo del catasto ma anche della normativa fiscale generale, che attiene alla proprietà in senso stretto.
L’investimento immobiliare è stato e sarà sempre un motore economico del nostro Paese. Tassarlo e tartassarlo con una norma poco chiara o comunque potenzialmente idonea ad aggravare la posizione dei proprietari appare inopportuno ed inadeguato alla luce del momento storico in cui ciò accade.
Ci auguriamo un ripensamento generale della materia per armonizzare le norme e la pressione fiscale che incombe sui proprietari di immobili.

Andrea Ferretti
La BCE, nella sua lotta all’inflazione nell’Eurozona, si trova a dover affrontare in contemporanea due problemi. Il primo riguarda i tassi. L’inflazione europea, infatti, non è una inflazione da surriscaldamento dell’economia, ma è una inflazione da carenza di beni e servizi derivante, inizialmente, dalle strozzature post lock down e, successivamente, dalle conseguenze della crisi ucraina. Il punto è che in presenza di questo tipo di inflazione da offerta, la leva dei tassi azionata negli USA può limitare i danni causati da una spirale inflazionistica, ma non è certo in grado di risolvere il problema a monte. In sostanza, se i russi chiudono i rubinetti facendo esplodere il prezzo del gas, poco può fare l’innalzamento dei tassi di interesse. Il secondo problema è legato al fatto che l’inflazione dell’Eurozona è molto contagiosa, in quanto colpisce a monte i processi produttivi. Infatti, nel momento in cui a causa della crisi Cov-energetica lievitano contemporaneamente sia i prezzi delle materie prime e semilavorati, sia i prezzi di gas ed elettricità, è evidente che le conseguenze per il tessuto produttivo possono esser pesantissime. Più in particolare, da una parte, vengono attirati nella spirale inflazionistica un numero sempre maggiore di categorie di beni oltre a quelli energetici. Dall’altra, il contagio va a toccare direttamente le aziende. Infatti, specie in Italia il tessuto produttivo è spesso caratterizzato dalla presenza di grandi aziende energivore, che fungono da capostipite di lunghe filiere produttive.
Lo scenario si modifica perché l’inflazione da offerta si trasforma in una stagflazione caratterizzata dalla contemporanea presenza di elevata inflazione e stagnazione dell’economia. Il problema è che, in questa ipotesi, la BCE si trova di fronte ad un pericolosissimo bivio: aumentare rapidamente i tassi sulla scia della FED con conseguente riduzione del rischio inflazione ed aumento del rischio recessione. O, al contrario, rendere estremamente soft e graduale la manovra sui tassi in maniera da sostenere il tessuto produttivo europeo anche a costo di incrementare il rischio inflazionistico. E, nell’attuale situazione di incertezza senza precedenti, la decisione non è affatto facile.

Dimensione Informazione

Dimensione Informazione

Registrato al Tribunale di Roma il 19/09/2018, n. 155
Direttore: Roberto Serrentino

© Copyright 2024 | Dimensione Informazione
Tutti i diritti riservati

Privacy Policy Cookie Policy Cambia preferenze

Contatti:
Viale Giuseppe Mazzini, 134 - 00195 Roma
Telefono: 06.37516154 - 37353238
E-mail: redazione@dimensioneinformazione.com