Dopo la grande crisi sanitaria, economica e sociale dovuta alla pandemia, l’Italia, al pari di tutti gli altri Paesi occidentali, è ora alle prese con una guerra all’interno dei confini europei dagli scenari e dalle conseguenze veramente imprevedibili. In questo contesto, le sfide che aspettano il nostro Paese nei prossimi anni sono da far tremare i polsi e richiedono senza ombra di dubbio un cambio di passo in tutta la nostra classe dirigente.
Le difficoltà pandemiche, che ancora non possiamo considerare superate, hanno avuto conseguenze sul piano economico e sociale davvero disastrose, che hanno messo in ginocchio anche le economie più solide dell’occidente. A queste si aggiungono ora gli effetti della guerra in Ucraina, che peseranno inevitabilmente sugli approvvigionamenti delle fonti energetiche, di materie prime e di tanti prodotti alimentari. In tale scenario si prospetta uno sconvolgimento economico forse ancora più grave di quello del 1929 o, in tempi a noi più ravvicinati, di quello del 2007.
Proprio per fare fronte a questa crisi straordinaria, l’Unione Europea ha previsto un programma di interventi a favore degli Stati membri, il c.d. Next Generation EU. Trattasi di un pacchetto da 750 miliardi di euro, costituito per circa la metà da sovvenzioni, la cui principale componente è rappresentata – come noto – dal dispositivo per la ripresa e la resilienza – Recovery and Resilience Facility, RRF – che avrà una durata di sei anni, dal 2021 al 2026.
Nell’ambito di questo programma, al nostro Paese dovrebbero arrivare nei prossimi anni circa 209 miliardi di euro, da intercettare attraverso il c.d. Piano Nazionale per la Ripresa e la Resilienza (PNRR).
Per superare gli effetti della crisi non possiamo, tuttavia, cullarci sulle ingenti risorse finanziarie che l’Europa ci mette a disposizione nell’ambito del Next Generation EU, attraverso il PNRR, e ciò non solo perché solo una parte di queste sono a fondo perduto, dovendo invece per la maggior parte essere restituite, ma anche perché per avere le stesse occorre presentare e realizzare, nei tempi prescritti ed imposti dall’Europa, progetti che richiedono a tutti i livelli una pubblica amministrazione estremamente efficiente ed efficace, capace di rispondere in tempi rapidi alle richieste dell’Europa.
Il leit motiv di tutto il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è l’innovazione, ed è per questo che il PNRR è stato da molti accostato al Piano Marshall. È un’occasione unica di crescita e questa passa necessariamente dall’innovazione, che, però, non deve limitarsi alla sola tecnologia, ma deve riguardare a 360° tutta la cultura amministrativa del nostro Paese, deve cioè essere un’innovazione di carattere generale. Solo attraverso un’effettiva e consistente innovazione della pubblica amministrazione, si potrà finalmente superare anche il peso rappresentato dalla burocrazia, che ha costituito un impedimento e un freno agli investimenti, scoraggiando non solo gli imprenditori italiani, ma anche quelli stranieri.
Il PNRR prevede un pacchetto di investimenti e riforme articolato in sei missioni. Il Piano promuove un’ambiziosa agenda di riforme e, in particolare, le quattro principali riguardano: a) pubblica amministrazione; b) giustizia; c) semplificazione; d) competitività. Il Piano è in piena coerenza con i sei pilastri del Next Generation EU riguardo alle quote d’investimento previste per i progetti green (37%) e digitali (20%). Le risorse stanziate nel Piano sono pari a 191,5 miliardi di euro, ripartite in sei missioni: a) digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura – 40,32 miliardi; b) rivoluzione verde e transizione ecologica – 59,47 miliardi; c) infrastrutture per una mobilità sostenibile – 25,40 miliardi; d) istruzione e ricerca – 30,88 miliardi; e) inclusione e coesione – 19,81 miliardi; f) salute – 15,63 miliardi. Per finanziare ulteriori interventi, il Governo italiano ha approvato un Fondo complementare con risorse pari a 30,6 miliardi di euro. Complessivamente gli investimenti previsti dal PNRR e dal Fondo complementare sono pari a 222,1 miliardi di euro.
All’interno del Piano, il Governo ha inserito un insieme di progetti, che puntano a rafforzare la crescita del Paese, favorendo gli investimenti in digitalizzazione, innovazione, competitività, formazione e ricerca. L’obiettivo è quello di porre le basi per uno sviluppo strutturale, duraturo e sostenibile dell’economia, garantendo la rapidità di esecuzione dei progetti attraverso una semplificazione degli strumenti in modo da favorire un aumento della produttività.
Per quanto riguarda specificamente i progetti relativi alla missione “Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura”, va rimarcato che essi hanno l’obiettivo di favorire l’innovazione in chiave digitale della pubblica amministrazione, sostenendo l’infrastrutturazione del Paese e la trasformazione dei processi produttivi delle imprese.
In tale contesto e alla luce di questa prospettiva, il nostro Paese ha, quindi, l’opportunità di intercettare e gestire un’ingente quantità di risorse finanziarie, oltre 200 miliardi di euro. Un’opportunità enorme per l’Italia e per le aziende che, muovendosi per tempo, saranno in grado di intercettare questa mole di finanziamenti per dare una spinta senza precedenti alle loro attività d’innovazione. Un’occasione unica non solo per finanziare iniziative specifiche, ma anche per ripensare il modo in cui si fa innovazione e prepararsi a farla in modo diverso, sfruttando le opportunità del PNRR in maniera più strategica e sinergica.
Ma come detto, per poter acquisire ed ottenere le risorse del PNRR, occorre una pubblica amministrazione quanto mai efficiente, tempestiva, rapida, il che richiede un radicale rinnovamento della stessa, notoriamente lenta ed incapace di soddisfare in tempi veloci le esigenze dei cittadini, delle famiglie e delle imprese.
Proprio la burocrazia che caratterizza la nostra pubblica amministrazione, le lentezze e le complessità procedimentali, le molteplici competenze per il rilascio delle prescritte autorizzazioni hanno da sempre scoraggiato gli investitori stranieri ad operare nel nostro Paese ed hanno rappresentato un inevitabile freno allo sviluppo della nostra economia.
L’Ufficio Studio della CGIA di Mestre ha calcolato che queste lentezze e complessità costano alle imprese italiane ben 57 milioni di euro all’anno, con le complessità amministrative per le imprese, che portano il nostro Paese a occupare il 136° posto nel ranking mondiale (fonte World Economic Forum).
È indubbio, quindi, che per l’acquisizione e la gestione delle risorse del PNRR, occorre un deciso cambio di passo e un radicale rinnovamento della pubblica amministrazione all’insegna della digitalizzazione, della semplificazione, della liberalizzazione e della celerità dei procedimenti.
Non a caso, una delle missioni più importanti prevista dal Piano riguarda un programma di riforme per modernizzare la pubblica amministrazione allo scopo di facilitare la fase di attuazione delle singole missioni e, più in generale, rendere il contesto economico più favorevole allo sviluppo dell’attività d’impresa. La responsabilità nell’attuazione delle varie missioni del Piano ricade direttamente sui ministeri e sulle amministrazioni locali, che sono responsabili della realizzazione degli investimenti e delle riforme entro i tempi concordati, nonché per la gestione regolare, corretta ed efficace delle risorse. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è articolato, infatti, in una serie di riforme organizzate a loro volta in 6 “Missioni”. La prima di queste riguarda i temi della Digitalizzazione, dell’Innovazione, della Competitività e della Cultura.
Per quanto concerne la transizione digitale, il PNRR deve comprendere la razionalizzazione e la digitalizzazione della pubblica amministrazione e lo sviluppo dei servizi pubblici digitali. In particolare, in riferimento agli obiettivi della Missione 1, un punto fondamentale riguarda proprio gli interventi tecnologici ad ampio spettro nella pubblica amministrazione, come cloud, interoperabilità dati, servizi digitali, cyber-sicurezza, accompagnati da incisive riforme strutturali.
Altro obiettivo è quello di abilitare gli interventi di riforma della pubblica amministrazione con investimenti in competenze, promozione del merito e semplificazione dei procedimenti amministrativi, riducendo tempi e costi.
È un’opportunità enorme per l’Italia, la pubblica amministrazione e le aziende che, muovendosi per tempo, saranno in grado di intercettare questa massa di finanziamenti per dare una spinta senza precedenti ad una innovazione ad alto impatto.
Il momento storico ci pone di fronte, quindi, ad un’occasione unica, non solo in termini di investimenti, ma anche per operare un rinnovamento culturale della pubblica amministrazione.
Non a caso, per dare attuazione agli istituti di semplificazione previsti dalla legge n. 241/1990, ci sono volute ben quindici riforme e numerose iniziative per superare le resistenze opposte dalla burocrazia. Per questo occorre una rivoluzione culturale, senza la quale nessuna innovazione tecnologica e nessuna semplificazione possono aver luogo.
Rivoluzione culturale significa che la funzione amministrativa non deve più essere intesa come potere. Il freno all’attuazione di alcuni istituti di semplificazione previsti dalla legge 241 è stato rappresentato proprio dalla burocrazia, perché la funzione amministrativa è stata assai spesso intesa come potere, il potere che agevola anche la corruzione, ancora assai diffusa nelle nostre amministrazioni.
Occorre una pubblica amministrazione che agisca secondo i più elementari principi dell’etica. E l’etica vuole che la funzione non diventi mai potere. La funzione è neutra. Essa diventa potere quando se ne abusa e quando la si indirizza a fini diversi da quelli stabiliti dalla legge.
Un profondo rinnovamento culturale è necessario anche per rendere effettive le funzioni amministrative attraverso il principio di sussidiarietà, che è un principio nuovo, introdotto con la riforma costituzionale del 2001, che non ha, tuttavia, trovato grande attuazione, soprattutto perché gli enti più vicini ai cittadini, quelli che dovrebbero svolgere la gran parte delle funzioni, non hanno avuto le risorse necessarie. E trasferire le funzioni senza trasferire le risorse significa trasferire solo le responsabilità. Un esempio lampante delle conseguenze nefaste di questo modo di procedere lo troviamo nella regimentazione del suolo, che è stata intestata agli enti locali, incapaci non solo dal punto di vista organizzativo, ma anche per mancanza di risorse. Il risultato, lo vediamo tutti, è che di fronte alle alluvioni e agli altri disastri naturali, che colpiscono sempre più frequentemente il nostro Paese, non si può far altro che la conta dei danni. Quello che occorre, invece, è mettere in grado l’ente territoriale, quale ente più vicino al cittadino, di assicurare un’erogazione effettiva ed efficiente dei servizi.
L’innovazione è una condizione necessaria alla riforma della pubblica amministrazione, ma deve coniugare l’efficienza con la tutela della privacy e la sicurezza dei dati, che sono principi e valori ugualmente fondamentali.
In questa ottica e in questa prospettiva l’innovazione e il rinnovamento della pubblica amministrazione possono veramente diventare un veicolo primario di sussidiarietà e di utilità generale per il Paese, le imprese, le famiglie e i cittadini.
Solo attraverso una pubblica amministrazione veramente rinnovata il nostro Paese sarà capace di intercettare le risorse finanziarie che l’Europa mette a disposizione nell’ambito del Next Generation EU, attraverso il PNRR, per riuscire a fronteggiare le gravissime conseguenze della crisi economica e sociale dovute alla pandemia e a una terribile e tragica guerra alle porte dell’Europa, che giammai ci saremmo aspettati e con le quali la nostra generazione si è trovata – ahimè – a dovere fare i conti.