Tra le pieghe del maxiemendamento governativo alla proposta di riforma dell’ordinamento giudiziario pendente in Parlamento, figura una previsione che, portatrice di pulsioni autoritarie, non era prevedibile.
Il Ministro della Giustizia, infatti, aveva esposto la sua visione dicendo che “il problema che si è creato nel nostro Paese è quello dell’indipendenza interna del singolo giudice all’interno della stessa magistratura” e aveva annunciato: “con la prossima riforma del CSM rafforzeremo proprio questo aspetto”.
Del tutto inaspettato, quindi, che il maxiemendamento governativo potesse contenere una norma secondo cui “All’articolo 2, secondo comma, del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511, le parole «per qualsiasi causa indipendente da loro colpa» sono soppresse e, dopo le parole «piena indipendenza e imparzialità» sono aggiunte le parole: «, salvo che per lo stesso fatto sia promosso procedimento disciplinare”.
È una previsione che, se approvata, ci riporterebbe indietro nel tempo, quando il potere di trasferire d’ufficio i singoli magistrati era in sostanza senza limiti.
Per avvedersene è utile una breve ricostruzione “storica” dell’istituto.
Prima che vedesse la luce la Costituzione repubblicana, non esistevano né il principio di soggezione dei magistrati soltanto alla legge né quelli, al primo correlati, della riserva di legge in materia di ordinamento giudiziario e della distinzione dei magistrati soltanto per diversità delle funzioni esercitate.
La magistratura era organizzata gerarchicamente e sottoposta al controllo politico del governo.
In quell’era, le “guarentigie della magistratura” erano regolate dal “decreto Togliatti” (r.d. 31 maggio 1946, n. 511).
L’articolo 2 disciplinava l’inamovibilità di sede.
Apparentemente il 1° comma stabiliva che i magistrati erano inamovibili. Ma il 2° subito si rimangiava la regola, prevedendo che i magistrati potevano essere trasferiti (dal Ministro della Giustizia), su parere del Consiglio Superiore della Magistratura (organo, all’epoca, in tutto diverso dall’attuale), «quando, per qualsiasi causa anche indipendente da loro colpa, non possono, nella sede che occupano, amministrare giustizia nelle condizioni richieste dal prestigio dell’ordine giudiziario».
Così regolata, l’inamovibilità dei magistrati era chiaramente una burla: «Qualsiasi causa anche indipendente da loro colpa» nient’altro significava che «qualsiasi causa».
Quanto alle «condizioni richieste dal prestigio dell’ordine giudiziario», l’esperienza ha insegnato che si tratta di formula vuota, i cui contenuti, determinabili solo a posteriori, assecondano l’arbitrio di chi debba decidere il trasloco della toga.
In definitiva, nel regime pre-costituzionale delineato dall’art. 2 della legge sulle guarentigie, i magistrati potevano essere trasferiti “per qualsiasi causa”: ad nutum o, se si preferisce, ad libitum.
Formalmente, questo sistema venne travolto dalla Costituzione.
Infatti, l’art. 107 Cost., oltre ad assegnare il compito al (nuovo) Consiglio Superiore della Magistratura, aveva disposto che il trasferimento potesse essere deciso soltanto “per i motivi stabiliti dall’ordinamento giudiziario”, ossia soltanto per i motivi che la legge avrebbe dovuto predeterminare, in ossequio alla riserva di legge posta dall’art. 108 Cost. in materia di ordinamento giudiziario, che altrimenti sarebbe rimasto privo di contenuto anche l’art. 101 secondo cui i giudici sono soggetti soltanto alla legge.
Per essere effettiva, però, la protezione costituzionale necessitava di un contenuto la cui determinazione il Costituente aveva rimesso espressamente al Parlamento, con la VII disposizione transitoria.
La realtà è piuttosto “resiliente” al diritto, si mostra più affezionata al potere.
L’inerzia del Parlamento protrattasi per decenni ha disatteso proprio quella disposizione transitoria della Costituzione, ha in sostanza mantenuto il previgente sistema, con l’unica differenza che, nella procedura di trasferimento, le veci del Ministro vennero assunte dal CSM.
Latitante la legge, mancarono anche le guarentigie che la Costituzione volle per i magistrati, in primis quella dell’inamovibilità.
Non è un caso, pertanto, che il trasferimento per c.d. “incompatibilità ambientale” abbia rappresentato per cinquant’anni il migliore strumento per osteggiare magistrati non in linea col pensiero dominante.
Un comodo e più agile duplicato, insomma, del procedimento disciplinare al quale poteva farsi ricorso solo se il magistrato avesse compromesso «il prestigio dell’ordine giudiziario».
Basti pensare che Paolo Borsellino, per avere denunciato l’affossamento del pool antimafia, rischiò l’intervento del CSM proprio in forza dell’art. 2 della legge sulle guarentigie, scampando in extremis il trasferimento, anche grazie al fatto che Giovanni Falcone, in battaglia durissima con il CSM, mise sul piatto della bilancia la richiesta di trasferimento dall’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo.
La contrarietà dello strumento, in quei termini, al sistema costituzionale era generalmente condivisa. Per tutti, Marco Ramat bollò l’istituto come autoritario e incostituzionale.
Sarà per questo che, di fatto, nessuno ha denotato una sincera volontà di espungerlo dall’Ordinamento.
Solo con la riforma del 2006, che ha inciso profondamente sul sistema disciplinare, sulle valutazioni di professionalità e, non ultimo, sulla spinta gerarchizzazione delle procure, è stato rimodulato anche l’istituto del trasferimento per incompatibilità ambientale.
La cd. tipizzazione degli illeciti disciplinari, più apparente che reale, accompagnata tuttavia dall’inserimento del trasferimento tra le sanzioni disciplinari (e tra le misure cautelari disciplinari), sarebbe stata la giusta occasione per sopprimere l’istituto.
Sebbene questo non sia accaduto, l’ambito lasciato all’art. 2 della legge delle guarentigie è stato meglio e più logicamente precisato.
Infatti, riservati i fatti “colpevoli” all’ambito disciplinare, con una specifica direttiva contenuta nella legge delega per la riforma dell’ordinamento giudiziario (l. 150/2005), il Parlamento ha previsto che al trasferimento per incompatibilità ambientale potesse ricorrersi «solo per una causa incolpevole tale da impedire al magistrato di svolgere le sue funzioni, nella sede occupata, con piena indipendenza e imparzialità».
Sostanzialmente irrilevante l’abbandono dell’assai fumoso riferimento alla compromissione del “prestigio dell’ordine giudiziario”, essendone stato il posto occupato dal criterio, non meno vago, dell’impossibilità di esercitare le funzioni con piena indipendenza e imparzialità nella sede di assegnazione del magistrato, l’apprezzabile novità introdotta dal Legislatore del 2005 risiedeva nel passaggio da “qualsiasi causa anche indipendente da colpa”, quale presupposto del trasferimento coatto, alla “causa incolpevole”.
La resilienza della realtà, tuttavia, è tornata subito a farsi valere.
Incaricato di attuare quella volontà parlamentare, il Governo ne ha frenato la portata.
Infatti, nella previsione delegata, il trasferimento dei magistrati “solo per una causa incolpevole” è divenuto trasferimento “per qualsiasi causa indipendente da loro colpa”.
E il CSM, dal canto suo, ha agito come se la norma dicesse “indipendentemente da colpa” e ha trasferito i magistrati anche per condotte “colpevoli”, sebbene non addebitabili come illeciti disciplinari, sostanzialmente abrogando ogni portata innovativa della nuova disciplina.
Così, in definitiva, il CSM ha continuato a ricorrere al trasferimento per incompatibilità ambientale esattamente come faceva il Ministro di Grazia e Giustizia in era pre-costituzionale.
In barba alla tassatività dei motivi la cui determinazione il Costituente aveva riservato alla legge, ancor oggi inadempiente.
In tale contesto, a fronte di un Ministro desideroso di rafforzare l’indipendenza interna dei magistrati (quella, cioè, dallo stesso CSM), tutto ci si sarebbe potuto attendere tranne che la regressione del livello delle garanzie, anche formalmente, a un’epoca nella quale la Costituzione repubblicana non era stata neppure pensata, così tradendone platealmente l’univoca indicazione di migliorarle.
La nuova previsione, infatti, legittimerebbe il trasferimento d’ufficio dei magistrati per qualsiasi causa.
Che possa farlo il CSM, in luogo d’un Ministro, non rassicura affatto, soprattutto alla luce delle cronache recenti.
Inevitabile, pertanto, è l’auspicio che l’ultima novità uscita dal cilindro del maxiemendamento sia oggetto di un pronto e salutare ripensamento.